lunedì 31 marzo 2014

La Corte dell’Aja al Giappone: «Sospendere la caccia alla balena»

Tokyo ha annunciato che rispettera' la sentenza della Corte di Giustizia Internazionale dell'Aja che ha ordinato l'immediato arresto della caccia alle balene nell'Antartico, negando che vi siano finalità scientifiche nel suo programma per la cattura dei cetacei.
 "Come Paese che rispetta lo stato di diritto e come membro responsabile della comunita' internazionale, il Giappone si atterra' alla decisione della Corte", ha assicurato il capo negoziatore, Koji Tsuruoka, all'uscita dall'aula, pur esprimendo "profonda delusione".
La sentenza della corte dell'Aja e' vincolante e non puo' essere appellata, quindi e' destinata a segnare uno spartiacque nella battaglia per la difesa delle balene.

Il caso era stato sollevato nel 2010 dall'Australia, che aveva denunciato il Giappone di fronte ai magistrati dell'Aja nel tentativo di bloccare un'attivita' prettamente commerciale, debolmente mascherata da spedizione scientifica. 
A differenza di Norvegia e Islanda, che continuano a cacciare balene nonostante la messa al bando internazionale del 1986, il Giappone aveva insistito nel difendere la sua attivita' con la giustificazione che avrebbe avuto finalita' scientifiche, pur senza nascondere che le 'prove' finivano nei piatti dei consumatori. 
Secondo i dati di Canberra, dal 1988 il Giappone ha macellato oltre 10mila cetacei, violando la messa al bando commerciale.

 Soddisfazione per il verdetto e' stata espressa dall'avvocato di Canberra, Bill Campbell, che ha ribadito la speranza che la sentenza non abbia ripercussioni sulle relazioni tra i due Paesi.
 "Oggi e' un grande giorno per la giustizia", ha commentato esultante Pete Bethune, ex attivista del gruppo ambientalista Sea Shepherd che ha passato cinque mesi in una prigione giapponese per le proteste contro la caccia.
 "Questa decisione manda un messaggio chiaro ai governi di tutto il mondo", ha affermato Claire Bass della World Society for the Protection of Animals, sottolineando che "tutti gli occhi sono ora puntati sul Giappone affinche' rispetti la sentenza". 
La lotta, ha aggiunto Claire Perry della Environmental Investigation Agency, si sposta ora sul Nord Pacifico dove le baleniere di Tokyo continuano ad avere i permessi di "uccidere fino a 500 cetacei ogni anno" grazie alla copertura di progetto scientifico. 
Cautela e' stata invocata invece da Geert Vons, direttore di Sea Shepherd, secondo il quale esiste il rischio che con "un programma per la ricerca scientifica costruito un po' meglio", dal Giappone o da un altro Paese, "la caccia alle balene possa riprendere".
 Da Tokyo, lo stesso portavoce del governo del Sol Levante, Noriyuki Shikata, non ha escluso la possibilita' di un ritorno alle fiocine, sottolineando che "per il futuro, dobbiamo esaminare attentamente il corpo della sentenza". (AGI) .

Yin e Yang simbolo della dualità esistente in ogni elemento di cui è composto l’Universo:



La teoria filosofica dello ying e yang è una concezione presente nelle due religioni cinesi del Taoismo e Confucianesimo.
Yin e Yang che letteralmente significano "ombra e la luce," rappresentano, nella filosofa cinese, i due principi fondamentali dell’universo.
Forze metafisiche supreme, opposte e complementari determinano, con il loro alternarsi ciclico, l'origine dell'universo e l'equilibrio vitale: il tempo è concepito come un'azione di trasformazione che, segnata dal mutamento di ogni cosa nel suo opposto, rende visibile la presenza dello yin, energia femminile, oscura e passiva, e dello yang, energia maschile, luminosa e attiva.
L'equilibrio di yin e yang è importante.
Se è più forte yin, yang sarà più debole, e viceversa.
Prima della creazione dell'universo esisteva solo il Wu Chi, energia cosmica primordiale senza spazio nè tempo ; da qui poi ha inizio il Tai-Chi che è la prima forza che nasce, poi dividendosi crea lo yin e lo yang.
L’unione di Yin con Yang è stata raffigurata graficamente in vari modi denominati T’ai Chi Tu. Yin e Yang nel racconto di una leggenda cinese.
Chang E e suo marito Hou Yi, il prodigioso arciere, vivevano durante il regno del leggendario imperatore Yao (2000 a.C. circa). Hou Yi era un valente membro della Guardia Imperiale che maneggiava un arco magico e scoccava frecce magiche.
Un giorno nel cielo apparvero dieci soli.
La gente sulla terra non riusciva più sopportare il caldo e la siccità che ormai continuavano da diversi anni.
L’imperatore decise allora di chiamare Hou Yi ordinandogli di tirare ai soli in soprannumero per eliminarli dal cielo e soccorrere così la popolazione.
Facendo uso della sua abilità, Hou Yi ne abbattè nove lasciandone solo uno.
La sua fama si diffuse, allora, fino giungere alla Regina Madre d’Occidente (Xi Wang Mu) nei lontani Monti Kunlun.
Essa lo convocò al suo palazzo per ricompensarlo con la pillola dell’immortalità, ma avvertendolo così:
"Non devi mangiare la pillola immediatamente. Prima devi prepararti per 12 mesi con la preghiera e il digiuno".
Essendo un uomo diligente, egli prese a cuore il consiglio e iniziò i preparativi nascondendo, prima di tutto, a casa sua la pillola. Sfortunatamente fu chiamato d’improvviso per una missione urgente.
In sua assenza, la moglie Chang E notò una luce fioca e un dolce odore emanare da un angolo della stanza.
Una volta presa la pillola nella mano, non riuscì a trattenersi dall’assaggiarla.
Nel momento in cui la ingoiò la legge di gravità perse il suo potere su di lei.
Poteva volare! Non molto tempo dopo sentì suo marito ritornare e terrorizzata volò fuori della finestra.
Arco e frecce in mano, Hou Yi la inseguì per mezzo cielo, ma un forte vento lo riportò a casa.
Chang E volò dritta sulla Luna , ma quando arrivò, ansimava così forte per lo sforzo compiuto, che sputò l’involucro della pillola, la quale si tramutò istantaneamente in un coniglio di giada, mentre Chang E divenne un rospo a tre zampe. Da allora vive sulla luna respingendo le frecce magiche che il marito le tira.
Hou Yi si costruì un palazzo sul sole ed essi si vedono il quindicesimo giorno di ogni mese.
Chang E e Hou Yi, simboli, rispettivamente della luna e del sole, sono divenuti espressione di yin e yang, negativo e positivo, buio e luce, femminile e maschile, ossia della dualità che governa l’universo.

Il Royal Ascot e i suoi bizzarri cappelli


Si chiamano «fascinator» questi cappelli coreografici sui quali si può applicare qualunque cosa, come si vede poi nelle foto pubblicate in tutto il mondo: da un enorme cono gelato di stoffa a un uccello impagliato.
 Se realizzati da uno stilista costano da 500 sterline in su. 

Stravaganza ed eleganza sono d’obbligo al Royal Ascot, ma l’etichetta può far sudare freddo ai non iniziati. 
Il «dress code» viene tradizionalmente dettato dalla Regina.
 Le donne devono avere ombelico e spalle coperti, niente scolli o spacchi superiori a un pollice (due centimetri e mezzo), minigonne proibite, mutandine obbligate sotto i vestiti trasparenti.
 Gli uomini, vestiti di nero o di grigio, devono togliersi il cappello nelle sale interne e quando sono in presenza dei reali. Ed esultare con moderazione per non offendere chi ha perso.
 Chi sgarra viene allontanato dalla sicurezza.
 La severità scatena la creatività: gli stilisti si sfidano in ambitissime passerelle negli intervalli fra un galoppo e l’altro











HÉLÈNE GRIMAUD. LA PIANISTA E I LUPI

“La musica è l’estensione del silenzio, ed è anche ciò che la precede e che ancora vi echeggia.
La musica è una via d’accesso a un altrove della parola, a quel che la parola non può dire e che il silenzio, tacendolo, dice.
Una musica senza silenzio, cos’altro è, se non rumore?” scrive Hélène Grimaud in Variations sauvages
(pubblicato in italiano come Variazioni selvagge).

Parlerei veramente molto a lungo di questa giovane donna, bella come una top model, pianista di fama internazionale, che alla passione ed alla disciplina della musica affianca quella per i lupi e divide il suo tempo tra le tournées che la portano da un capo all’altro del mondo e il Centro che lei stessa ha fondato nello Stato di New York, il Wolf Conservation Center, finalizzato all’allevamento ed alla salvaguardia dei lupi.
La conoscevo già come pianista, ho da qualche settimana letto i suoi due volumi autobiografici.
Li ho divorati anche perchè Hélène Grimaud si è rivelata anche una bravissima scrittrice.
Due volumetti molto densi nei quali Hélène parla di musica e dei suoi amati lupi, del suo essere una donna che ha sempre studiato e lottato tenacemente, che non ha mai voluto rinunciare alle due grandi passioni della sua vita.
Che ha sempre respinto chi, con sguardi o con parole, le lanciava messaggi del tipo: “Bella come sei, perchè non fai qualcos’altro?” o, peggio:
“Troppo bella per essere intelligente” o “affascinante come sei, non hai bisogno di lavorare” arrivando persino a manifestare una sorta di compatimento mescolato a velato disprezzo per tutte le ore della giornata che lei dedicava al pianoforte ed allo studio delle partiture. Verso la fine del secondo volume, Hélène Grimaud scrive:
“Avevo scoperto con stupore come alcuni ce l’avevano con me per i lupi, o per il piano, o per il fatto di essere una donna, o per lo scrivere, come se fosse necessario scegliere una cosa o l’altra, mentre io sceglievo tutto.
Come se il fatto di essere una donna mi obbligasse a ripudiare le note per il matrimonio, e il fatto di essere una musicista la penna a favore del pianoforte”.
In questo video Hélène Grimaud interpreta Rachmaninov, uno dei suoi autori preferiti



Questa storia parte dalla curiosità per un libro del 2003,
Variazioni selvagge, uscito da noi due anni fa per l'editore di Freud e Jung, Bollati Boringhieri.
L'autrice è una pianista che racconta di sé - della sua infanzia impaziente e della scoperta incandescente e liberatoria della musica - con una verità che mozza il fiato.
Da un certo momento in poi, Hélène Grimaud introduce d'emblée nel libro un nuovo filone della narrazione, che alterna all'autobiografia intima l'esplorazione documentata della sua fascinazione per i lupi, con tanto di nozioni di etologia e analisi di tutto ciò che l'immaginario collettivo ha abbinato nei secoli a questo animale gregario e misterioso, generoso e terribile.
Fino a descrivere in modo quasi magico l'incontro con la lupa Alawa - "sul piano affettivo", scrive, "una delle presenze più importanti della mia vita" - incontrata una notte a spasso con il suo bizzarro padrone a Tallahassee, in Florida, dove la Grimaud ha vissuto quando dalla nativa Aix-en-Provence (ma soprattutto da Parigi) è "fuggita" negli Stati Uniti.
Un incontro che ha in seguito ispirato la creazione del New York Wolf Center, il centro per la tutela dei lupi che lei ha creato nella metà degli anni Novanta.

Alle soglie del successo, con grandi riconoscimenti per il suo valore di pianista, Hélène sceglie, consapevolmente, l’isolamento, per permettersi di trovare la propria strada.
Sente il bisogno fortissimo e irrinunciabile di abbandonare la Francia dove ha vissuto fino a quel momento e si stabilisce negli Stati Uniti: mondo che le è completamente estraneo.
Qui vive abitando in piccoli appartamenti dove non dispone di un pianoforte, ma continua a studiare le partiture.
Si sente in attesa di qualcosa.
Un’incontro casuale in un parco con un reduce del Vietnam e il suo cane lupo: una femmina di nome Alawa, canadese con una pelliccia molto folta. "con lei mi sentivo felice, intera, assurdamente giovane e forte, Alawa è stata una delle presenze più importanti della mia vita.
Il nostro attaccamento e la nostra reciproca fiducia erano totali ed assoluti." Di questo particolare e forte attaccamento si stupiva lo stesso proprietario dell’ animale: è molto raro, infatti, se non impossibile che si sviluppi un tale attaccamento con una lupa che non si sia allevata fin da piccola.
E’ da questo incontro che Hélène sente molto forte il bisogno di un rapporto intenso con la natura e decide di fondare nel Nord America un centro per la tutela , lo studio e la custodia dei lupi selvatici.
Questo avviene con il superamento di molte difficoltà burocratiche ed economiche.



E’ questa la casa di Hélène, qui l’armonia interiore a lungo cercata viene raggiunta e lei si sente finalmente in equilibrio , in pace con se stessa,unita alla sua parte selvaggia,istintiva e più vera. "…ho compreso che certi esseri non sono una cosa sola, ma un puzzle di aspirazioni contrastanti…è menomante, suicida, rinnegare qualcosa di sé per adeguarsi ad una norma imposta da un modello.
Ogni essere ha in sé il mistero delle proprie contraddizioni, delle proprie lotte interiori…io l’ho trovato tra i lupi, la natura più selvaggia e la musica più raffinata…provo gratitudine.
" Dopo tre anni di isolamento nel centro, riprende la sua attività di concertista e ricomincia ad incidere dischi di successo.
"La storia dei lupi ha strane analogie con quella delle donne, quanto a passionalità e fatica… donne e lupi condividono certe caratteristiche: sensi acuti, spirito ludico e grande propensione alla devozione. Sono profondamente intuitivi. E soprattutto si esercita contro i lupi e le donne la stessa rapace violenza, generata dallo stesso malinteso.
Le due specie sono state perseguitate e tormentate.
Sono state bersaglio di coloro che vorrebbero ripulire non solo i territori selvaggi, ma anche i luoghi selvaggi della psiche, soffocando l’istintuale al punto da non lasciare traccia.
Sirene o streghe le donne sono state punite per la loro relazione primitiva, selvaggia, essenziale con la natura".
Così scrive Clarissa Pinkola Estes nel suo ‘Donne che corrono coi lupi ‘ Hélène Grimaud è riuscita a trovare il suo accordo perfetto unendosi alla natura non addomesticata, dentro e fuori di lei

A spasso nel Caribe Messicano…


Isla Mujeres é un’isola che troviamo nello stato del Quintana Roo in Messico, proprio di fronte a Cancun.
 Le spiagge, bianche o dorate che ne disegnano la forma, sono circondate da un mare di rara bellezza caratterizzato da parchi marini con incredibili scogliere che possono essere ammirate in barca oppure lungo la costa a bordo di piccole macchine elettriche, motorini o in biciclette.
 Le testuggini di mare sentono una forte attrazione per quest’isola dato che vi depositano le uova tra maggio e settembre e non è raro avvistare più di qualche delfino al largo.


Si trova quasi all’estremità settentrionale della seconda barriera corallina del mondo, almeno per quanto riguarda la sua lunghezza: in pratica un nastro di corallo che fiancheggia tutta la Riviera Maya e che si estende fino alle coste del vicino Belize.
 Stretta ed allungata con una serie di spiagge magnifiche a nord, mentre la parte meridionale è dominata da una costa di tipo rocciosa, non troppo alta… 
 Sulla costa dello Yucatan a nord di Cancun, incontriamo L’isola di Holbox.


Se Daniel Defoe l’avesse conosciuta, probabilmente il suo Robinson Crusoe non sarebbe mai tornato in Inghilterra insieme all’amico Venerdì…
 Lunga oltre 43 km l’isola di Holbox, lontana dalla civiltà e dalle strade trafficate, offre spiagge molto lunghe e deserte ed è perfetta per chi cerca una vacanza di mare lontano dalla confusione dei centri turistici più affollati.
 L’unico centro abitato dell’isola è il villaggio di Holbox che conta appena 1500 abitanti che vivono nelle casette di legno, mentre le vie sono sterrate e sabbiose.
 Se la natura è il vostro obiettivo principale Holbox è il posto giusto per voi... uno dei luoghi privilegiati per l’osservazione dello squalo balena, il docile pesce più grande del pianeta, che frequenta queste acque da maggio ad ottobre.




Per gli amanti del birdwatching consigliamo escursioni nella laguna di Yalahau, dove, soprattutto nell’Isola Pájaros, trovano un habitat incontaminato e nidificano numerose specie spettacolari di uccelli fra cui i fenicotteri rosa.


All’estremità della laguna, sulla terraferma si trova il famoso Ojo de Agua di Yalahau, un bel esempio di cenote e cioè di cavita carsica con il tetto crollato che si riempie delle acque freatiche dolci e cristalline per dei bagni freschi ed indimenticabili.
 I cenotes erano la riserva naturale di acqua dolce per i Maya e costellano l’intera penisola dello Yucatan.
 La terza isola messicana come grandezza e la seconda più popolata è Cozumel, dalla lingua Maya yucateca “cuzam” che significa rondine e “lumil” che significa terra di, formano la parola cuzamil: terra delle rondini.


L’isola, di carattere vulcanico lunga circa 50km, è un vero e proprio santuario del diving e dello snorkeling: qui troverete una flora e fauna marina incredibili ed una barriera corallina impressionante…Palancar Reef, situato presso Playa Palancar è uno dei più famosi al mondo 
La cittá piú importante di Cozumel é senz’altro San Miguel de Cozumel, una localitá dove é d’obbligo cenare pesce fresco in uno dei suoi tanti ristoranti e stendersi al sole delle sue magnifiche spiagge.

Salviamo Sunder

Sunder, ha 14 anni, è un elefante indiano, dovrebbe vivere in un santuario.
Invece, egli è stato incatenato e picchiato.
Riprese video Undercover appena pubblicato dalla PETA India rivela essere malnutrito dall'aspetto
Sunder,  si contorce dal dolore e non  riesce a stare in piedi mentre un  mahout (handler) lo colpisce ripetutamente con un palo di legno.
Per sei anni, Sunder fu incatenato e abusato al tempio Jyotiba in Kolhapur, India, ma il Dipartimento Forestale Maharashtra e Progetto Elephant diede l'ordine di ritirare Sunder al santuario. Invece, Maharashtra membro dell'Assemblea legislativa Vinay Kore, che aveva dato l'elefante come un "regalo" al tempio, doveva vivere bene invece fu  incatenato in un vecchio, pollaio scuro  vicino a dove è stato registrato questo filmato.

 

Sono rimasto allibito nell'apprendere che Sunder, il giovane elefante che è stato incatenato e abusato al tempio Jyotiba in Kolhapur per gli ultimi sei anni, non è ancora stato rilasciato dal  santuario.
Una nuova indagine sotto copertura condotta da PETA India ha rivelato scioccante video di un mahout che violentemente sta battendo Sunder, nonostante gli ordini del Dipartimento Forestale Maharashtra e Progetto Elephant di  rilasciarlo .
Hai il potere di fermare questo abuso. Si prega di prendere misure immediate per trasferire Sunder ad un altro santuario.
Per firmare la petizione andare qui:
https://secure.peta.org/site/Advocacy?cmd=display&page=UserAction&id=5187

Ci sono tante cose nel nostro piccolo, che possono fare la differenza e DOBBIAMO farla se aiamo un cuore umano
Tante volte gli appelli fatti da noi in rete hanno dato risultati soddisfacenti
Facciamo sentire la nostra voce anche questa volta
Grazie

domenica 30 marzo 2014

Storia della campana


La campana è uno strumento musicale appartenente alla classe degli idiofoni, famiglia degli idiofoni a percussione a battente ; la percussione può essere diretta o indiretta.

 Per quanto riguarda lo strumento occidentale (introdotto in Europa dall'Impero romano d'Oriente), è solitamente in bronzo, utilizzato nel mondo cristiano soprattutto per scandire il tempo dai campanili delle chiese o come richiamo per funzioni, particolari ricorrenze od eventi riguardanti la comunità. Le campane, fino a circa 30 anni fa, venivano suonate rigorosamente a mano (con uno speciale martelletto o tirando una corda) dai campanari. 
Oggi la maggior parte delle campane ancora in uso, per motivi pratici ed eonomici, sono state elettrificate e sono programmabili con un timer per regolare gli orari e il tipo di suono da diffondere. 

Le campane si distinguono per il loro suono caratteristico, prodotto dalla percussione di un pendolo di ferro dolce (detto batacchio) sulle pareti interne della campana stessa.

 Il nome 

Secondo gli studiosi, il nome italiano di "campana" deriva dal latino “vasa campa-na”, espressione che indicava dei catini emisferici in bronzo prodotti nella zona di Napoli, la cui forma era ricordata dalle campane. In latino la campana era chiamata “tintinnabulum,” con riferimento al suo suono. L'insieme delle materie inerenti allo studio delle campane (storia, tecniche, musicologia, significati) è racchiusa nel termine campanologico.

 La Storia 

Il modello organologico "campana" è diffuso in moltissime culture, a partire dalla preistoria. 
Tuttavia sembra che le più antiche campane, così come oggi le intendiamo nel mondo occidentale, risalgano alla Cina di alcuni millenni prima di Cri-sto. 

Secondo una leggenda, la campana con batacchio interno sarebbe un'invenzione italiana e sarebbe stata introdotta da S. Paolino Vescovo di Nola nel V° Secolo, anche se non vi è nessun documento che attesti la paternità dell'invenzione al Santo.
 In ogni caso, solo nell'VIII° - IX° secolo le chiese e le pievi incominciano ad essere dotate di campane e sorgono i primi campanili, diffusi sempre più dopo il Mille. 

Col tempo si va affinando anche l'arte dei fonditori e le differenze di suono fra un paese e l'altro: nascono così segnali associati alle campane e codificati dalla popolazione che durano ancora oggi.


Il suono è strettamente legato ad un complesso equilibrio di spessori che determinano il profilo della campana.
 Gli spessori formano, assieme alla nota fondamentale e ai suoni parziali, il suono della campana.
 La nota, invece, è determinata dal volume del vaso sonoro: più grande è la campana più grave sarà la nota ; più piccola è la campana e più acuta sarà la nota.
 Esistono diverse tipologie di campane a seconda dello spessore, della nota e della forma. 

Il profilo, che prende il nome di "sagoma", può essere diverso (ad esempio) a seconda delle esigenze del luogo nel quale la nuova campana sarà collocata e delle varie epoche storiche. 
Esistono "sagome leggere" e "sagome pesanti" usate dai diversi fonditori.
Il maggiore peso, e quindi il maggior spessore, permette una maggiore e prolungata vibrazione dello strumento oltre che un maggiore sostegno dei toni parziali, soprattutto quelli di ottava inferiore e di terza maggiore, che devono essere presenti in ogni campana.
 In genere la campana in proporzione più pesante risulta avere un suono in generale più caldo e più gradevole, mentre una campana "leggera" è talvolta stridente e spiacevole all'orecchio.
Una buona campana può arrivare ad emettere fino a 50 toni parziali, ma i più importanti e soprattutto i più riconoscibili sono (rispetto alla nota fondamentale): parziale di "Prima", di "Terza" (che può essere maggiore o minore), per finire con la "Quinta" (che può essere diminuita), "Ottava Superiore" e "Ottava Inferiore".


CURIOSITÀ E NOTIZIE UTILI

 Ogni campana collocata su un campanile è dedicata ad uno o più Santi e reca fregi e decori a tema.
 Sulle campane sono spesso presenti iscrizioni in latino o nella lingua del paese in cui la campana è fusa, riguardanti l'anno di fusione, il nome del fonditore e di coloro che hanno contribuito alla fusione di quel bronzo con offerte volontarie.
 In moltissimi luoghi, ogni venerdì alle 15, si usa suonare "l'Agonia del Signore" con una campana a distesa  o con 33 rintocchi sulla campana maggiore, per ricordare la passione di Gesù Cristo. 

Essendo l'Italia caratterizzata da sistemi di suono e di montaggio che variano a seconda dell'area geografica, sono nate diverse società ed associazioni di campanari nelle varie regioni d'Italia, per salvaguardare e promuovere questa antichissima arte.

 Nella civiltà rurale le campane hanno sempre avuto il compito di suonare all'arrivo dei grossi temporali o della grandine, nella speranza di allontanarli e quindi di salvare i raccolti; nelle tante preghiere scritte sopra le campane si trovano spesso queste formule: "a fulgure et tempestate libera nos Domine" (liberaci, o Signore, dalla folgore e dalla tempesta) oppure "recedat spiritus procellarum" (lo spirito delle tempeste si allontani) oppure "Defunctos ploro-nimbos fugo-festaque honoro" (piango i defunti, fuggo i temporali ed onoro le feste). 
In qualche paese del nord Italia, è ancora in vigore l'uso di suonare una o più campane campane per allontanare la grandine dai raccolti. 

S. Paolino vescovo di Nola è considerato il patrono dei suonatori di campane insieme a Santa Barbara e a S. Guido da Anderlecht, patrono dei campanari e sacristi (molto spesso si usava definire il sacrista – o sagrestano - come "campanaro", anche se i campanari veri e propri venivano ordinati, come i moderni diaconi, e facevano parte degli ordini minori assieme ai sacristi).
 Patrona dei fonditori di campane è Sant'Agata di Catania. L'introduzione dell'usanza di far suonare le campane nelle ore canoniche e e durante la celebrazione dell'Eucarestia viene attribuita a Papa Sabiniano (604-606 d. C.)


Nei tre giorni culminanti della Settimana Santa, nelle chiese cristiane, cattoliche e anglicane, vige l'uso di non suonare le campane (nel Rito Ambrosiano le campane suonano fino all'annuncio della morte di Nostro Signore durante il Venerdì Santo), che vengono sostituite dai cosiddetti instrumenta tenebrorum, derivanti dai semantron, ossia da tavole di legno, ancora oggi usate nella Chiesa cristiana, ortodossa e cattolica di rito orientale; vengono detti anche sacrum lignum.
 Si tratta di tavolette sulle quali sono attaccate delle maniglie in ferro, le quali creano un rumore sordo al loro scuotimento. 
Sono conosciute anche con i nomi dialettali di battuelle in Liguria, tocca-redi in paesi della provincia di Catanzaro, battole in Veneto, battistàngole nelle Marche o trocculi in Sicilia. 
In Spagna uno strumento simile è chiamato matraca ed è installato direttamente sul campanile. 

Nelle chiese che montano il sistema ambrosiano di suono delle campane, era uso portare a bicchiere le campane durante il Venerdì Santo e legare le corde in modo che rimanessero ferme a bicchiere. In questo modo le campane "legate" non potevano suonare ed erano il segno forte che il Mondo attendeva la gloriosa Risurrezione del Signore.
 Questa usanza è andata via via disperdendosi a causa della massiccia elettrificazione dei bronzi, ma in alcuni posti (quelli dove si conserva il suono manuale) la tradizione rimane e ancora oggi i campanari tirano su le corde dal piano di suono fino al piano della cella, in modo da avere il segno tangibile che non si debbano suonare le campane. 

Quale capitale internazionale era chiamata Edo?



Fotografia di Vincent Minkler da Nat Geo Photo Contest 2013

Edo è l'antico nome di Tokyo.
Già nel corso del XVIII secolo Edo era una delle città più grandi e importanti del paese.
Nel 1868 divenne capitale cambiando in nome Tokyo, che significa capitale dell'Est.
Attestato sin dalla fine del XII secolo, il nome Edo si riferiva alla roccaforte di un'omonima regione; dalla seconda metà del XV secolo Edo si trasformò gradualmente in centro commerciale mantenendo sempre un castello fortificato, finché, all’inizio del XVII secolo, lo shogun Tokugawa Leyasu intraprese l’unificazione del Giappone stabilendovi la propria residenza, e, di fatto, il potere reale del paese, nonostante la capitale imperiale rimanesse Kyoto. A metà del XIX secolo, con l’inizio del periodo Meiji (1868-1912), Edo divenne la nuova capitale cambiando nome e subendo una completa riqualificazione dal punto di vista urbanistico: le strade furono allargate, si costruirono nuovi ponti e palazzi adatti ad accogliere i nuovi apparati amministrativi.
Due importanti ricostruzioni cambiarono la fisionomia della città nel corso del Novecento: la prima dopo il disastroso terremoto del 1923, che rase al suolo gran parte dei quartieri; la seconda dopo i bombardamenti americani che posero fine alla Seconda Guerra mondiale.

Le nuvole comunicano tra loro?

Una nuova scoperta proverebbe che esiste una forma di organizzazione spontanea tra nubi che le porterebbe a piovere in sincronia.
E' un fenomeno che avviene nelle nuvole marine a cellule aperte ed è rilevante per il clima.
E' un processo simile a quello della crescita dei cristalli e della formazione degli sciami d'insetti.



Un nuovo studio della NOAA, l'ente del governo USA per gli oceani e l'atmosfera, suggerisce che le nuvole marine a cellule aperte (open cell) come quelle nell'immagine "comunichino" tra loro, oscillando e riorganizzandosi in uno schema sincronizzato.
All'interno delle nubi dense delle pareti di queste cellule si formano gocce d'acqua che poi precipitano sotto forma di pioggia, facendo dissipare le pareti.
Le gocce evaporano durante la caduta, rinfrescando l'aria e generando correnti discendenti.
Quando queste correnti colpiscono la superficie del mare fluiscono verso l'esterno ed entrano in collisione "costringendo l'aria a fluire nuovamente verso l'alto" e "formando nuove pareti a cellule aperte in un punto diverso”, spiega il coautore della ricerca Hailong Wang, fisico delle formazioni nuvolose al Pacific Northwest National Laboratory di Richland, Washington.
I risultati dello studio suggeriscono che le nuove nubi a loro volta genereranno pioggia all'unisono, parte di un ciclo riorganizzativo che può durare diversi giorni.



Una nube esagonale - un sistema "a cellule chiuse" tipico di una giornata coperta - ricopre una porzione del'Atlantico Meridionale. La nuova ricerca della NOAA sulle nuvole aiuta a chiarire il ruolo della pioggia nel determinare gli schemi nuvolosi, a loro volta responsabili della quantità di luce solare che raggiunge la superficie terrestre.
Se i sistemi nuvolosi a cellula aperta (come quello della foto precedente) sono alimentati dalla pioggia, le gocce nelle nubi a cellula chiusa sono solitamente troppo piccole per generare la pioggia, spiega il coautore dello studio Wang.
"Questi due sistemi nuvolosi riflettono la radiazione solare in maniera molto diversa”, dice.
“Le cellule aperte riflettono una quantità decisamente minore di radiazione solare nello spazio; permettono a una maggiore quantità di raggi di raggiungere l'oceano, e di conseguenza lo scaldano".



Nubi a cellula aperta sopra le Bahamas.
L'équipe impegnata nella nuova ricerca sulle nuvole aveva notato che le formazioni nuvolose a nido d'ape si riorganizzano in un ciclo sincronizzato.
Dopo aver simulato l'oscillazione delle nuvole con un modello computerizzato, i ricercatori hanno capito che con ogni probabilità è la pioggia a catalizzare ogni singolo evento riorganizzativo. L'ipotesi è stata verificata con l'uso di laser a scansione piazzati su navi in mare, che hanno fornito dati e misurazioni precisi sulle nubi marine.
Questo sistema di "comunicazione" tra nubi è un esempio dell'organizzazione spontanea della natura, ossia la formazione di una struttura con uno scopo apparentemente preciso senza l'intervento esterno dell'essere umano.
Lo stesso genere di processo avviene anche nella crescita dei cristalli, nella formazione planetaria e negli sciami d'insetti. Coprendo vaste aree oceaniche, questi sistemi svolgono un ruolo importante nel regolare la quantità di luce solare che raggiunge la superficie del pianeta.
E poiché non sappiamo molto dell'influenza delle nubi sulle temperature mondiali, la copertura nuvolosa rimane una sorta di "jolly" nelle previsioni sul riscaldamento globale.
La nuova ricerca potrebbe gettare luce sulle cause della formazione dei sistemi a cellula chiusa, che "rinfrescano", contrapposti a quelli a cellula aperta, che invece "riscaldano" l'atmosfera.
Secondo i ricercatori NOAA, le simulazioni al computer mostrano chiaramente che gli schemi nuvolosi sono fortemente influenzati dalla quantità di gas aerosol presenti nell'atmosfera.
Gli aerosol sono piccole particelle sospese, come quelle generate dalla combustione dei combustibili fossili.
L'acqua presente nell'atmosfera tende a concentrarsi attorno agli aerosol; di conseguenza, maggiore è la quantità di aerosol, più saranno le gocce d'acqua condensate, che a loro volta formano nubi a cellula chiusa più dense, che tendono a scatenare meno fenomeni piovosi.
E poiché la pioggia sembra essere l'elemento scatenante per la formazione e la riorganizzazione delle nuvole a cellula aperta, Wang sostiene che "meno pioggia potrebbe mantenere le nuvole in uno schema a cellula chiusa”

 

Gli attuali modelli climatici computerizzati non hanno la risoluzione sufficiente per ricreare con precisione le oscillazioni dei sistemi nuvolosi a cellula aperta.
Il risultato è che i modelli non sono in grado di prevedere quanta energia solare le nuvole rifletteranno dalla terra, una proprietà detta "effetto albedo". Wang sostiene che, se gli scienziati saranno in grado di determinare il modo in cui si formano i diversi schemi (e il nuovo studio aiuta a fare proprio questo), "i modelli climatici saranno in grado di calcolare meglio l'albedo totale e il bilancio energatico della Terra”, permettendo così previsioni climatiche più accurate.

Le immagini sono satellitari e fornite dalla NASA
Tratto da National Geographic Italia

Il palazzo Hofburg


Il complesso della Hofburg è formato da una serie di edifici, piazze, cortili e giardini ed è frutto di lavori e rimaneggiamenti che vanno dalla fine del ‘200 all’inizio del ‘900, periodo in cui venne completata la Neue Burg (ala nuova).
 Il palazzo, sede fino al 1918 della corte imperiale e talmente vasto da rappresentare una città nella città, racchiude elementi architettonici che vanno dal gotico al neoclassicismo, passando per il rinascimentale ed il barocco.


La visita della Hofburg inizia con i Kaiserappartements, ossia gli appartamenti imperiali. 
Sono aperti al pubblico il salone delle udienze, la sala delle conferenze, gli appartamenti privati di Francesco Giuseppe e di Sissi, nonché la sua palestra privata ed il bagno, che destò scandalo per la frequenza con la quale l’imperatrice si immergeva nella vasca (cioè una volta al giorno).


Dalla stanza da bagno si può accedere alle stanze di Bergl, finora praticamente sconosciute ai visitatori. 
Queste stanze, decorate da Bergl nel 1766, sono particolarmente variopinte, con paesaggi esotici e lussureggianti. Venivano probabilmente usate come spogliatoio. 
E' stato molto difficile recuperare tutti gli oggetti originari che facevano parte dell'arredamento delle stanze da bagno, in quanto molti erano proprietà dell'imperatrice e alla sua morte sono stati ereditati dai familiari.
 Sono stati comunque ritrovati il lavabo originale e il lettino da massaggio e le stanze sono state ricostruite con la massima fedeltà. Bellissima la sala da pranzo con la tavola imbandita.
 Questa parte della residenza ospita anche gli appartamenti di Maria Teresa e del figlio Giuseppe II, oggi residenza del Presidente della Repubblica.
 Nel cortile interno si erge la statua di Francesco II.


Dopo la visita agli appartamenti imperiali si può accedere alla Silberkammer, il museo che ospita l'argenteria e i gioielli di corte. Meravigliosi servizi da tavola, piatti e bicchieri pregiati in cui venivano serviti i pasti degli imperatori.
 Sono esposti anche piatti panoramici, maioliche di Faenza, oggetti in oro e porcellane di Sèvres, Meissen e dell'Asia, infine il servizio francese di Vermeil per 140 persone ed uno inglese donato dalla regina Vittoria.
 Nella Camera del Tesoro Profano e Sacro si trovano gli oggetti più importanti della Silberkammer, come la corona del Sacro Romano Impero (962 ca.), la corona dell'imperatore austriaco (1602), il tesoro dei Burgundi (XV sec.), il tesoro dell'ordine del Vello d'Oro ed una serie paramenti sacri usati alla corte asburgica e di reliquie tra le quali spicca un crocifisso del Giambologna, il chiodo della croce che trafisse la mano destra di Gesù e un tempietto con un dente di San Pietro.



La Hofburg ospita anche la scuderia di corte (Stallburg), famosa per l’antica Scuola di equitazione spagnola e i suoi bianchi cavalli lipizzani. 
A luglio ed agosto i cavalli non si esibiscono perché lasciano le stalle e vengono trasferiti in luoghi più freschi.


Nella Neue Burg si possono invece visitare il Museo Etnologico, il Museo di Efeso, la sala di lettura della Biblioteca Nazionale, la collezione dei ritratti e l’archivio delle immagini, la collezione di Armi e Armature e la collezione di strumenti Musicali Antichi. 

Dal balcone principale di quest’ala Hitler annunciò nel 1938 l’annessione dell’Austria al Terzo Reich. 
Nella Heldenplatz si trova il monumento equestre di Eugenio di Savoia e dell’arciduca Carlo mentre sull’altro lato, che si affaccia sul Burggarten, c’è il monumento in memoria di Mozart eretto nel 1896, quello dedicato a Francesco I, consorte di Maria Teresa, e un altro, più modesto e posto soltanto nel 1957, che rappresenta un vecchio e triste Francesco Giuseppe.
 Questo è l’unico monumento esistente dell’imperatore.


Per oltre 600 anni la Hofburg di Vienna è stata la residenza degli Asburgo.
 Nel corso dei secoli il palazzo originario fu sottoposto a varie trasformazioni, divenendo un complesso di edifici imponente, ampliato fino a comprendere 18 ali e quasi 2600 stanze.
 Il cerimoniale di corte prevedeva che ciascun membro della famiglia imperiale possedesse un proprio appartamento. 
Inoltre nella Hofburg di Vienna esistevano vari locali destinati al personale, alle argenterie e ai servizi da tavola di corte, alle lavanderie, o adibiti a cucine, cantine, saloni delle feste e uffici. 

Oggi gran parte dell’edificio ospita ministeri, uffici, musei e la cancelleria della presidenza. 
Degli ex appartamenti imperiali sono oggi aperte al pubblico le 19 camere private e gli uffici in cui vissero l’imperatore Francesco Giuseppe e sua moglie Elisabetta. 
 Queste stanze si trovano nell’ala detta della Cancelleria imperiale (Reichskanzleitrakt) e nell’Amalienburg, e furono utilizzate prevalentemente durante i mesi invernali.
 L’imperatore e consorte trascorrevano l’estate a Schönbrunn e in varie altre residenza di campagna.




Francesco Giuseppe si trasferì nel suo appartamento nel 1857, tre anni dopo le nozze con Elisabetta, e vi abitò fino alla morte, avvenuta nel 1916.
 Nelle stanze private si rispecchia l’umiltà che caratterizzava l’imperatore. Sono arredate con parsimonia, e pur dando l’idea dello splendore imperiale non suscitano l’immagine della dissipazione nello sfarzo.


Francesco Giuseppe si considerava il primo funzionario del suo stato. 
Egli era però anche attaccato alla famiglia, e amava circondarsi di quadri e ricordi.
 Nel corso di accurate ricerche e di un’intensa attività volta a reperire il materiale originale, la Schloss Schönbrunn Kultur- und Betriebsgesellschaft è riuscita a ridonare alle stanze dell’imperatore Francesco Giuseppe il loro carattere originario, e a trasmettere ai visitatori un’impressione autentica dell’ambiente in cui viveva l’imperatore e di come si svolgesse la sua giornata. Nell’appartamento dell’imperatore si può ammirare il celebre ritratto dell’imperatrice Elisabetta opera di Franz Xaver Winterhalter che ritrae Sisi con i capelli sciolti ed era per l’imperatore uno dei ritratti preferiti del suo ”angelo Sisi”, come egli amava chiamare l’adorata consorte.