martedì 11 febbraio 2014
Saggezza antica ....elaborata da Indro Montanelli
La Scuola di Atene - affresco di Raffaello Sanzio
E' un affresco che, oltre alla mirabile prospettiva, rende omaggio alla sapienza antica, con Platone ed Aristotele al centro della scena. Oltre a Euclide e Pitagora vi figurano Socrate, Archimede, Epicuro, Anassimandro, Averroe', Alessandro Magno, Senofonte, Ipazia, Parmenide, Diogene, Plotino, Zoroastro, Apelle e lo stesso Raffaello, rappresentato come Apollo.
Questa è una traduzione di Indro Montanelli, il famoso giornalista, del maggio 1992. Da «La stecca nel coro», Rizzoli.
Quindi è possibile che si tratti di un’elaborazione del testo originale, al fine di avere un testo più conciso e semplice.
Per quanto so di Montanelli, era un giornalista affidabile, e leggendo ci si accorge che sia il libro originale di Platone che la “libera traduzione” di Montanelli hanno il medesimo significato.
Platone – La Repubblica Cap. VIII, Atene 370 A.C.
Quando la città retta a democrazia si ubriaca di libertà confondendola con la licenza, con l’aiuto di cattivi coppieri costretti a comprarsi l’immunità con dosi sempre massicce d’indulgenza verso ogni sorta di illegalità e di soperchieria;
quando questa città si copre di fango accettando di farsi serva di uomini di fango per potere continuare a vivere e ad ingrassare nel fango;
quando il padre si abbassa al livello del figlio e si mette, bamboleggiando, a copiarlo perché ha paura del figlio;
quando il figlio si mette alla pari del padre e, lungi da rispettarlo, impara a disprezzarlo per la sua pavidità;
quando il cittadino accetta che, di dovunque venga, chiunque gli capiti in casa, possa acquistarvi gli stessi diritti di chi l’ha costruita e ci è nato;
quando i capi tollerano tutto questo per guadagnare voti e consensi in nome di una libertà che divora e corrompe ogni regola ed ordine; c’è da meravigliarsi che l’arbitrio si estenda a tutto e che dappertutto nasca l’anarchia e penetri nelle dimore private e perfino nelle stalle?
In un ambiente siffatto, in cui il maestro teme ed adula gli scolari e gli scolari non tengono in alcun conto i maestri; in cui tutto si mescola e si confonde;
in cui chi comanda finge, per comandare sempre di più, di mettersi al servizio di chi è comandato e ne lusinga, per sfruttarli, tutti i vizi; in cui i rapporti tra gli uni e gli altri sono regolati soltanto dalle reciproche convenienze nelle reciproche tolleranze;
in cui la demagogia dell’uguaglianza rende impraticabile qualsiasi selezione, ed anzi costringe tutti a misurare il passo delle gambe su chi le ha più corte;
in cui l’unico rimedio contro il favoritismo consiste nella molteplicità e moltiplicazione dei favori;
in cui tutto è concesso a tutti in modo che tutti ne diventino complici;
in un ambiente siffatto, quando raggiunge il culmine dell’anarchia e nessuno è più sicuro di nulla e nessuno è più padrone di qualcosa perché tutti lo sono, anche del suo letto e della sua madia a parità di diritti con lui e i rifiuti si ammonticchiano per le strade perché nessuno può comandare a nessuno di sgombrarli;
in un ambiente siffatto, dico, pensi tu che il cittadino accorrerebbe a difendere la libertà, quella libertà, dal pericolo dell’autoritarismo? Ecco, secondo me, come nascono le dittature.
Esse hanno due madri.
Una è l’oligarchia quando degenera, per le sue lotte interne, in satrapia.
L’altra è la democrazia quando, per sete di libertà e per l’inettitudine dei suoi capi, precipita nella corruzione e nella paralisi.
Allora la gente si separa da coloro cui fa la colpa di averla condotta a tale disastro e si prepara a rinnegarla prima coi sarcasmi, poi con la violenza che della dittatura è pronuba e levatrice.
Così la democrazia muore: per abuso di se stessa.
E prima che nel sangue, nel ridicolo .
Un altro insigne filosofo della Classicità lancia un monito sui rischi di un’immigrazione non ben regolata. In ben due passi, “La politica” di Aristotele mette in guardia dall’uso strumentale degli immigrati: «Anche la differenza di razze è elemento di ribellione finché non si sia raggiunta una piena concordia di spiriti, per questa ragione:
come non si forma uno Stato da una massa qualunque di uomini, così nemmeno uno Stato può formarsi in un qualunque periodo di tempo.
Per questo motivo quanti hanno accolto uomini d’altra razza, sia come compagni di colonizzazione, sia parificandoli ai cittadini, in seguito sono caduti in preda alle fazioni» (V, 1, 1303 a);
«È anche proprio della tirannide avere come compagni di tavola e d’ogni occasione i forestieri al posto dei propri concittadini, poiché questi ultimi sono avversi al tiranno, mentre quelli non hanno motivo di contesa con lui.
Questi e simili mezzi sono caratteristici della tirannide e ne proteggono il potere; nessuna ribalderia è ai cittadini risparmiata» (V, 11, 1314 a).
Questo secondo passo è terribile, perché mostra con quanta facilità una politica che si ammanta di carità cristiana può essere funzionale a finalità di segno opposto.
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