venerdì 17 gennaio 2014

Il Pd e la lobby del gioco d'azzardo

Dal bingo voluto da D'Alema fino all'emendamento che punisce i Comuni anti slot.
Ai dem piace l'azzardo.
Anche il Ncd non scherza. Ma Alfano fa marcia indietro. Chiavaroli: «L'ho fatto per l'Erario».

Il segretario Matteo Renzi dice che è inspiegabile.
Il premier Enrico Letta ha ammesso che è stato un errore.
Molti altri hanno preferito il silenzio.
Il Partito democratico ha votato a favore dell'emendamento del Nuovo centrodestra che taglia i fondi ai Comuni che hanno adottato regolamenti per limitare la diffusione di slot machine, videolotterie e simili e nessuno sembra sapere il perché.
Eppure una spiegazione, scavando nel passato del centrosinistra, si potrebbe trovare (leggi i legami tra alfaniani e lobby dell'azzardo). Nelle file del Pd, infatti, sono in molti a essere sensibili al tema. Soprattutto negli ambienti degli ex Ds.
Francesco Tolotti, deputato diessino e poi democratico dal 2001 al 2008, per esempio, è attualmente presidente della Fondazione Unigioco, organizzazione che promuove il gioco legale, nata nel 2009 dalla collaborazione tra la società Gamenet e Eurispes.
«Nel corso della sua attività parlamentare», si legge sul sito di Unigioco, «ha avuto occasione di maturare una approfondita conoscenza del settore».
TOLOTTI DALLA CAMERA AI CASINÒ.
E infatti Tolotti è stato vicepresidente e componente della commissione Finanze della Camera, dove si decidono le regole del gioco e dei giochi. A leggere gli interventi di Matteo Iori, presidente del Conagga, il «Coordinamento nazionale gruppi per giocatori d’azzardo» che si occupa della ludopatia, l'attività di Tolotti fu «di particolare rilievo per l’industria del gioco, in quanto grazie all’impegno suo e degli onorevoli Nannicini e Vannucci (Ulivo), di Salerno (La Destra) e Gioacchino Alfano (Forza Italia)», il 6 dicembre 2007 fu presentato e approvato un emendamento che modificò il comma sesto dell’articolo 110 del testo unico delle Leggi di pubblica sicurezza, quello che regola le slot machine.

IL CAMBIAMENTO DELLE REGOLE.
Secondo la nuova formulazione voluta da Tolotti, le vincite delle slot machine erano legate non solamente alla fortuna, ma anche a «elementi di abilità, che consentono al giocatore la possibilità di scegliere, all'avvio o nel corso della partita, la propria strategia».
Il cambiamento garantiva ai gestori di slot machine maggiori tutele di fronte a eventuali richieste di sequestro presentate dai magistrati sulle macchinette da gioco per vincite o perdite sospette.
Tolotti ha fatto una rapida carriera passando da responsabile del centro studi della Sapar, il sindacato dei gestori dei giochi, a Unigioco, dove tra l'altro promuove la diffusione di casinò e il 'turismo del gioco'.
Il senso di D'Alema per le sale da bingo La vicenda, tuttavia, non deve stupire. Le affinità col gioco d'azzardo dei democratici partono da lontano. E da interessi incrostati e stratificati.
Fu il centrosinistra, infatti, il primo a capire le opportunità del settore giochi. Il grande business iniziò il 31 gennaio del 2000, quando nella Gazzetta Ufficiale furono pubblicate le «Modalità per la partecipazione al pubblico incanto per l'affidamento in concessione della gestione del gioco del Bingo».
Un'eredità del ministro delle Finanze Vincenzo Visco e del governo dell'ex leader dei Democratici di sinistra Massimo D'Alema.

150 MILIARDI PER OGNI LOCALE.
Lo Stato, anche allora alla ricerca di denaro fresco per rimpinguare le casse dell'erario in rosso, aveva trovato la gallina dalle uova d'oro: per ogni sala bingo poteva incassare dai 70 ai 150 miliardi di profitti annuali.
Il piano dell'esecutivo prevedeva l'apertura di 800 locali in due anni. Gli italiani si sarebbero giocati i risparmi in favore delle casse pubbliche.
Tutti intuirono il business.
Tanto che, alla prima gara, le domande per aprire sale bingo furono 1.300.
Tra i primi protagonisti dell'affare figuravano Formula Bingo e Ludotech.
Nella prima società, che aveva sede nello stesso palazzo della fondazione di D'Alema Italianieuropei, sedevano molti uomini vicini all'ex presidente del Consiglio.
A fare da vicepresidente c'era Luciano Consoli, azionista della London Court guidata da Roberto De Santis, amico dell'allora leader Ds dai tempi della Fgci - fu lui che gli vendette la barca Ikarus - e uno degli snodi della rete di affari degli ex comunisti, abituato a colloqui a tu per tu con Pier Francesco Guargaglini di Finmeccanica, indagato nell'inchiesta pugliese su Gianpaolo Tarantini e costruttore nella Sesto San Giovanni di Filippo Penati. 

LA LONDON COURT DI DE SANTIS. La London Court - la banca che prima di fare delle scelte «sale le scale di Palazzo Chigi», come diceva Francesco Cossiga ai tempi in cui D'Alema era primo ministro - possedeva il 50% di Formula Bingo.
Il presidente della società era invece l’ex ministro democristiano Vincenzo Scotti (poi sottosegretario con Silvio Berlusconi).
Per Scotti le sale da gioco sarebbero dovute diventare il nuovo luogo ricreativo della provincia italiana, tanto da ipotizzare di aprirvi le università per anziani, come denunciò allora Famiglia cristiana.
La Ludotech non era da meno: partecipata da tre società di area Ds – Beta Immobiliare, Pielleffe (pubblicità) e Pluris (la finanziaria del partito) – e da due giganti del mondo cooperativo emiliano - Coopservice e il Consorzio finanziario per la promozione e lo sviluppo cooperativo (Ccfr), holding della Lega cooperative - la società si appoggiava alle tecnologie della Cirsa, big dei giochi, che aveva portato il primo bingo elettronico alla festa dell'Unità di Testaccio nel 1999.
COINVOLTE LE FEDERAZIONI DEL PARTITO.
Ludotech è fallita nel 2003, Formula Bingo nel 2004. Ma, intanto, l'idea di trasformare le lotterie di una volta in una macchina da profitti si era fatta strada in tutto il mondo dell'economia rossa.
A Reggio Emilia, per esempio, la cooperativa Tempo libero aveva presentato domande per aprire 36 sale. Attraverso la Beta immobiliare, il grande patrimonio dei Ds, e la Alfa finanziaria (in liquidazione dal 2003) nella gestione delle sale bingo entrarono proprio le federazioni del partito, anche se con cifre limitate: una sorta di crowdfunding per essere della partita.
«Mai visti tanti uomini vicini ai Ds davanti alle cartelle del Bingo», scriveva nel luglio del 2001 Avvenire.
Secondo la visura della Camera di commercio riportata nel libro Sottobosco di Claudio Gatti e Ferruccio Sansa (Chiarelettere, 2012), le federazioni che partecipano anche solo nominalmente all'affare erano moltissime: tra le altre Ancona, Bari, Bologna, Modena, oltre che Genova, Milano, Napoli e Padova.

Fonte LETTERA 43 - di Giovanna Faggionato

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