mercoledì 6 novembre 2013

Il Monte Rainier e lo spettacolo dell’ombra del vulcano proiettata nel cielo


Il Monte Rainier, a pochi chilometri dalla città di Seattle, negli USA, è un vulcano non più in attività che ha sempre suscitato interesse scientifico, e stimolato la fantasia di tanti autori come George Lucas che aveva pensato di ambientarvi alcune scene di un film tratto da un videogioco (Zak McKracken and the Alien Mindbenders della Lucasfilm). Progetto poi abbandonato, con grande delusione dei tanti seguaci.
 Proprio in questo periodo dell’anno il Monte Rainer regala uno spettacolo unico, con la sua ombra proiettata sulle nuvole.

Il fenomeno si verifica quando il sole sorge più a sud, apparendo alle spalle del vulcano generando una caratteristica ombra che proiettata dall’alto verso il basso.
Grazie alla sua altezza, il Monte Rainier è una meta preferita dagli alpinisti più esperti, in quanto si tratta di una montagna molto difficile da scalare, non solo per i suoi estesi ghiacciai ma anche per il clima particolarmente freddo. Il fenomeno dell’ombra proiettata in cielo lo rende anche uno tra i più caratteristici siti naturali del mondo, preso d’assalto da centinaia di esperti di fotografia.

La papessa Giovanna


Attualmente gli storici sono praticamente tutti concordi nell'affermare che il pontificato della papessa Giovanna non sia mai esistito; tuttavia, è palese il fatto che questa leggenda è riuscita a sopravvivere per lungo tempo. 
La leggenda riguardante l'ascesa al soglio pontificio da parte di una donna fattasi passare per uomo fiorì in seno alle correnti anticlericali nel IX secolo, ma si diffuse a partire dalla metà del XIII secolo, trovando il suo splendore in occasione del trasferimento della sede pontificia ad Avignone.
In base alla versione più diffusa, il vero sesso della papessa Giovanna sarebbe stato inconfutabilmente rivelato quando, durante una cerimonia, diede alla luce un figlio.
 La leggenda narra, su una base totalmente di fantasia e assolutamente rispettosa della cronologia storica, che nell'anno 855 circa Giovanni VIII salì al soglio pontificio, rivestendo l'incarico che fino a quel momento era stato ricoperto da Leone IV.
 Il giorno dell'Ascensione doveva tenersi una processione e in quell'anno era particolarmente attesa e sentita, poiché accaddero varie calamità naturali a Roma. 
Ecco come si sarebbero svolti i fatti. 
Durante il rituale percorso, che si snodava lungo il Laterano, il Colosseo, sino alla chiesa di San Clemente, Giovanni VIII fu salutato con calore dalla folla, colpita in specie dalla sua bellezza e dai suoi raffinati lineamenti. 
Ad un certo punto, tuttavia, il papa accusò un malore, accasciandosi semi svenuto e dolorante al suolo; due cardinali, sorreggendolo, lo trasportarono nella chiesa di San Clemente.


Poco dopo, una voce si sparse tra il popolo: il papa era in realtà una donna e aveva appena partorito (riguardo al sesso del nuovo nato le fonti sono discordi).
 Inutile dire che la gente si sentì offesa e, per sedare il malcontento popolare, oramai degenerato in aperta rivolta, la giustizia romana dovette prendere provvedimenti subitanei.
 Ordinò che Giovanna venisse legata per i piedi agli zoccoli di un cavallo e trascinata fuori dalle mura della città. Secondo altre versioni, la donna venne lapidata dal popolo e inumata nel luogo ove morì. Il suo corpo fu coperto con una grande pietra sulla quale venne inciso il misterioso versetto delle sei P: Petre Pater Patrum Papissa Pandito Partum. 

Altre versioni indicano l'origine di quel versetto nelle parole che avrebbe proferito un indemoniato durante il passaggio della papessa nella cerimonia; una ulteriore variante aggiunge che la donna si sarebbe fermata davanti al posseduto per praticare un esorcismo, domandando al demonio quando avesse cessato di tormentare il poveretto. In risposta, il diavolo avrebbe gridato quella frase, che stava ad indicare, in pratica, che se ne sarebbe andato solo a parto avvenuto. 
Ora, un aspetto abbastanza sospetto che inficia la veridicità della vicenda è dato dal fatto che non vi sarebbero fonti coeve al periodo in cui la vicenda si sarebbe svolta, vale a dire il IX secolo.
 Sembra che il primo ad occuparsi della papessa Giovanna sia stato Mariano Scoto (1028-1086), benedettino, teologo e matematico, autore della Cronaca universale, nella quale scrisse che, nell'anno 854 morì Leone IV e a lui successe Giovanna, donna, per due anni, cinque mesi,e quattro giorni. Gli studiosi considerano inattendibile questa fonte, in quanto presenterebbe una serie di errori nella cronologia e nelle biografie dei papi.


La papessa Giovanna venne citata anche da Sigiberto di Ghembloux, un monaco morto nel 1112, autore della Chorographia. 
Anche il Boccaccio si interessò della vicenda della papessa Giovanna; verso la fine della sua vita, scrisse un'operetta in latino, De claris mulieribus, nella quale tracciò i ritratti di più di cento donne che ebbero un ruolo importante nel mondo classico e cristiano.
 Uno di questi ritratti è dedicato a una certa Giovanna Angelica papessa, la quale sarebbe stata ingravidata da uno dei suoi amanti e, dato che il parto era prossimo (più di quanto lei credeva), andò comunque alla cerimonia, dove accadde quel che accadde. Immediatamente sarebbe stato eletto un nuovo pontefice, Benedetto III e quando, 15 anni dopo, nell'872, un altro Giovanni fu eletto papa, venne chiamato Giovanni VIII anziché Giovanni IX. 

Chiaro che la vicenda, vera o no che fosse, fu ampiamente utilizzata in ambienti anticlericali e protestanti, con l'aggiunta di ulteriori coloriture: ad esempio, per i protestanti, Giovanna sarebbe assurta a simbolo dell'Anticristo.

 Per i cronisti cristiani dell'epoca, la storia della papessa Giovanna sarebbe stata possibile soltanto grazie all'appoggio del diavolo.
 A conti fatti, risulta assai difficile liberare l'intera vicenda dai tentacoli del mito, specie perché, dal periodo in cui Giovanni VIII fu eletto papa e la comparsa del primo documento riguardo alla papessa, trascorsero ben quattro secoli.
 Inoltre, parecchi scritti sono apocrifi e sovente i brani che riguardano la papessa sarebbero interpolazioni.
 Risultato? Le uniche fonti attendibili risalirebbero tutte al XIII secolo. 

Appare poi alquanto bizzarro che una donna, in una così elevata posizione e con una così grande responsabilità, fosse riuscita a celare il suo vero sesso e la sua gravidanza avanzata. 
E che dire della statua che sarebbe stata eretta tra il Vaticano e il Laterano, in memoria della papessa? In realtà sarebbe l'effigie di una divinità pagana con in braccio un bambino.
 L'unica cosa che si può dire con certezza è che l'intera vicenda non fa che alimentare una (demonizzante) tradizione alquanto diffusa, che pone in (stretta) relazione la nascita dell'Anticristo a tutte quelle narrazioni esprimenti valori fortemente trasgressivi e peccaminosi.

 fonte: ilportaledeltempo.it

La rosa dei venti



La Rosa dei Venti è una figura simbolica utilizzata per rappresentare i punti cardinali e le direzioni che essi indicano.
Viene raffigurata principalmente sulle bussole, e sulle carte geografiche o nautiche; per il Mediterraneo, essa viene centrata sull'isola di Malta.
I punti cardinali sono quattro, e si chiamano:
Sud, o Meridione;
Est, o Oriente o Levante;
Nord, o Settentrione
Ovest, o Occidente, o Ponente.
I punti vengono indicati con le loro lettere iniziali; nei paesi di lingua anglosassone e nelle carte internazionali, l'Ovest è indicato con la lettera "W", iniziale del nome inglese, "West".
Esistono Rose dei Venti a 4, 8, 16 e 32 punte.
La Rosa a 4 punte è la più semplice, e reca soltanto i punti cardinali principali.
Graficamente e simbolicamente, essa è assimilabile alla croce, oppure alla ruota a quattro raggi, ove sia presente anche il cerchio esterno.
La Rosa ad otto punte è la più diffusa; ai quattro punti principali si aggiungono altre quattro direzioni intermedie, poste a 45° rispetto alle principali: NE, SE, NO, SO.
Talvolta, tra gli otto punti precedenti, vengono inseriti altri 8 punti intermedi, che individuano altrettante nuove direzioni (in senso orario, da Nord: NNE, ENE, ESE, SSE, SSO, OSO, ONO e NNO. Alcune bussole più antiche, usate soprattutto in campo nautico, recavano una suddivisione in 32 parti, contemplando altri 16 punti intermedi che raffinavano la precisione della navigazione.
Ciascuna di queste suddivisioni prendeva il nome di "quarta", da cui le espressioni tipiche del gergo nautico come "virare di tre quarte a dritta".
Esse venivano anche chiamate "rombi", dalla forma che assumevano le punte nel disegno quando venivano aggiunte alla Rosa dei Venti.
L'appellativo "dei Venti" deriva dal fatto che ad ogni direzione è associato il nome del vento dalla quale spira.
Gli otto venti segnati dalla Rosa sono:
NORD: Tramontana
OVEST: Ponente
SUD: Mezzogiorno, o Ostro
EST: Levante
SUD-EST: Scirocco
SUD-OVEST: Libeccio
NORD-EST: Grecale
NORD-OVEST: Maestrale
I nomi delle quattro direzioni derivate NE, SE, NO, SO derivano dal fatto che anticamente le mappe del Mediterraneo centravano la Rosa dei Venti in prossimità dell'isola di Zante, più o meno al centro del bacino.
Da quella posizione, seguendo le diverse direzioni, troviamo la Siria (da cui "Scirocco") in direzione SE, la Libia (da cui "Libeccio") in direzione SO, e la Grecia (da cui "Grecale") in direzione NE. Quanto all'ultima, in direzione NO si giungeva a Roma, o a Venezia, la via maestra del porto di origine, da cui "Maestrale".

Ritrovata la bardatura di cuoio di un carro egizio


Le bardature di cuoio di un antico carro egizio, splendidamente conservatesi, sono state riscoperte in un magazzino del Museo Egizio del Cairo.
 I ricercatori dicono che la scoperta – che comprende anche guanti, custodia di un arco e faretra – è unica e aiuterà a chiarire come venivano costruiti ed utilizzati i carri.


Alcuni dei finimenti per il cavallo (André J. Veldmeijer/SCA/Egyptian Museum Authorities)


Porzione di guanto


Parte terminale della custodia dell'arco


Parte terminale della faretra 

 Gli antichi Egizi usavano carri – di solito con uno o due conducenti e trainati da due cavalli – per la caccia, la guerra e anche nelle processioni rituali.
 Sono spesso raffigurati nell’arte egizia e alcuni esempi della struttura in legno sono sopravvissuti, tra cui i sei carri smantellati trovati nella tomba di Tutankhamon, risalente a circa 3.300 anni fa. Ma i ricercatori sapevano poco degli ornamenti e dei finimenti in cuoio utilizzati su tali carri, dato che questo materiale si decompone rapidamente in presenza di umidità. 
Non è rimasto quasi niente delle parti in cuoio sui carri dalla tomba di Tutankhamon, anche se alcuni frammenti sono arrivati a noi dai carri trovati in altre tombe, come quello di Yuya e Thuya, i bisnonni di Tutankhamon.

 Poi, nel 2008, André Veldmeijer del Netherlands-Flemish Institute del Cairo, ha visto una fotografia in bianco e nero di alcuni finimenti intatti da carro in un libro degli anni ’50 sulla tecnologia antica. Erano stati etichettati come reperti del Museo Egizio, ma quando Veldmeijer ha chiesto al curatore, Ibrahim El Gawad, questi non ne sapeva nulla. 
Pochi mesi dopo, El Gawad li trovò per caso, lasciati dimenticati in alcuni cassetti nel retro del museo.
 Chiamò Veldmejier al museo e gli mostrò “strati su strati” di cuoio. “È un meraviglioso ritrovamento”, dice. “Quello che si vedeva nella foto non era nemmeno la metà di ciò che c’era nel museo. È stato stupefacente”. 
 La bardatura è completa al 90-95% secondo Veldmeijer. 
I segni di usura e le cuciture sono ancora visibili, mentre il design rosso, verde e bianco – l’unico esempio noto di questo tipo – è ancora chiaro dopo più di tre millenni
.

Veldmeijer sta lavorando con Salima Ikram, un’egittologa dell’American University del Cairo, per conservare, catalogare e studiare i finimenti nell’ambito del Chariot Project del Museo Egizio. Che comprende il tentativo di aprire i fragili pezzi – che erano stati piegati per entrare nei cassetti del museo – e proteggerli con materiali adatti.


Parte del rivestimento in cuoio, scoperto da Veldmeijer 

 Un mistero ancora da risolvere è scoprire da dove sono arrivati questi reperti. 
La documentazione del museo parla di un acquisto nel 1932 da un commerciante di antichità greco chiamato Georges Tano, ma non si sa da dove egli li abbia presi. 
Per essere sopravvissuti in così buone condizioni, presumibilmente erano stati rinvenuti in una tomba, e lo stile suggerisce un periodo intorno a quello di Tutankhamon.
 El Gawad pensa che appartenessero al padre di Tutankhamon, il faraone ribelle Akhenaton, mentre per Veldmeijer risalgono a poco più tardi, forse appartenuti a uno dei successori di Tutankhamon.

Fonte : http://ilfattostorico.com/

Reliquiari nella Basilica di Santa Croce in Gerusalemme, Rom



Sinistra: un chiodo usato nella Crocifissione.A destra: Titulus Crucis o titolo della croce
Il titulus crucis è una tavola di legno di noce, l'iscrizione, é riportata dai quattro vangeli canonici, sarebbe stata apposta sopra la croce di Gesù, quando egli fu crocifisso, per indicare la motivazione della condanna.
L'esibizione della motivazione della condanna, infatti, era prescritta dal diritto romano
E' una reliquia conservata nella Basilica di Santa Croce in Gerusalemme e secondo la tradizione sarebbe il cartiglio originario infisso sopra la croce.
Il legno, ritrovato in una nicchia nel 1492 durante lavori di conservazione condotti nella chiesa, reca una parte di un'iscrizione (presumibilmente, ma senza alcuna certezza, frutto di uno smembramento) in caratteri compatibili con quelli del I secolo, da destra a sinistra (compresi i righi in greco e latino), in tre lingue diverse: ebraico, greco e latino.
L'ordine appare diverso da quello riferito da Giovanni (ebraico, latino e greco). Il manufatto è stato datato attraverso un'analisi al carbonio-14 al X-XII secolo.

 

Il testo dell'iscrizione
Nelle rappresentazioni artistiche della crocifissione si riporta tradizionalmente come titulus le sole quattro lettere INRI, iniziali dell'espressione latina "Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum" (letteralmente, "Gesù il Nazareno, Re dei Giudei"), che traduce il testo greco del vangelo di Giovanni.
Similmente sui crocifissi delle chiese ortodosse l'iscrizione ha le lettere INBI, utilizzando il testo greco equivalente ("Ἰησοῦς ὁ Ναζωραῖος ὁ Bασιλεὺς τῶν Ἰουδαίων").
Secondo i vangeli, in realtà, il cartiglio apposto sulla croce riportava come motivo della condanna: "Questi è Gesù, il re dei Giudei :
Il giornalista e antropologo Michael Hesemann.
ha compiuto sulla reliquia un'indagine storica e l'ha sottoposta ad un'analisi di paleografia comparata, e, in seguito alle conferme di esperti studiosi (Carsten Peter ThiedeeLeah Di Segni), ha deciso di rendere noti i risultati delle sue ricerche: il legno della tavoletta è anteriore alIV secolod.C.; la scrittura, in particolare quella latina, risale molto probabilmente alI secolod.C.; il testo è sostanzialmente lo stesso del Vangelo di Giovanni, testimone oculare (secondo lo stesso vangelo) dell'evento.
La sacra reliquia, fu portata a Roma da Gerusalemme dalla madre dell'imperatore Costantino, Elena, nel 325.
Il Titulus Crucis è stato sottoposto alla datazione in laboratorio con il carbonio 14: il legno che lo compone è del 1020 circa.
I risultati sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista «Radiocarbon» n. 3, volume 44, (2002) dell'Università di Tucson (Arizona, USA); un ampio e dettagliato articolo in merito è pubblicato sulla rivista del CICAP «Scienza & Paranormale», n. 56, Luglio-Agosto (2004): A. Lombatti,Il Titulus Crucis è falso, pp. 48-50
Se ne deduce alla luce dei fatti che la reliquia sarebbe un falso