domenica 9 giugno 2013

Amalfi, la Repubblica Marinara fondata da Ercole



 La leggenda racconta che la fondazione di Amalfi fu un tributo d'amore che Ercole, figlio di Giove, volle dedicare alla sua amata. La fanciulla che infiammò il cuore di Ercole, si chiamava Amalfi e aveva gli occhi dello stesso colore del mare. Fu per questo che alla sua prematura morte, l'addolorato compagno volle seppellirla in un luogo bellissimo, in cui il mare avrebbe per sempre abbracciato le spoglie mortali della sua donna. Sulla tomba della sua amata, Ercole fondò Amalfi, e la sua forza fu una qualità sempre evidenziata nella storia della città. 
 Questa forse è solo leggenda, mentre la storia reale di Amalfi è così antica che le sue origini vanno ricercate al tempo della lotta dei romani contro le popolazione barbare. La particolare posizione della città, ha fatto dell'attività marittima, la principale fonte di guadagno di Amalfi, permettendole inoltre, di stringere importanti rapporti commerciali con Bisanzio e l'Egitto.
 Delle quattro Repubbliche marinare, fu probabilmente la prima a riuscire ad ottenere l'indipendenza, a dotarsi di una propria struttura politica e darsi un codice giuridico, conosciuto come "Tavole amalfitane".
 La sua indipendenza risale al 839, ma già da diverso tempo la città amalfitana godeva di un buona flotta e di ottimi commercianti che stringevano rapporti economici con tutti i paesi del mediterraneo. E' stato sicuramente questo il periodo più florido della città di Amalfi che cadde rapidamente quando, nel 1137, fu saccheggiata dai militari della Repubblica marinara di Pisa dopo aver subito una serie di inondazioni che l'avevano già oltremodo indebolita.
 La città risorgerà con l'avvento del Romanticismo italiano, quando sarà riscoperta come luogo turistico dai grandi viaggiatori, soprattutto inglesi e tedeschi. Attirati dalla rigogliosa natura della Costiera e dallo storico passato, dal 1700 Amalfi ritorno ad essere un centro di grandissima attrazione per i viaggiatori di tutta Europa. Oggi Amalfi è il "capoluogo" della bellissima Costiera Amalfitana, dichiarata "Patrimonio dell'umanità in Italia" dall'UNESCO.

La cittadina non è molto grande e si gira a piedi in poco tempo. Dopo la visita d'obbligo al Duomo, le pause più frequenti sono quelle che riguardano le botteghe con souvenir e prodotti tipici di cui è piena la cittadina. Una sosta per una delizia al limone o per le altre squisitezze della Costiera Amalfitana, è d'obbligo. Partendo dalla parte bassa della città, che costeggia il mare, un arco conduce alla zona del centro storico e poi alla piazza principale da cui parte una leggera salita che porta verso la parte alta della città. Ristoranti e trattorie accompagnano il cammino dei turisti, richiamandoli come le mitiche sirene che vivevano nelle acque della vicina Sorrento.

Se qualcuno ha mai visto una foto o una cartolina di Amalfi, sopra c'era sicuramente l'immagine del Duomo che unisce due Chiese originariamente separate. 
I lavori di ristrutturazione alla quale è stata sottoposta la struttura, ne hanno alterato in modo significativo il disegno originale.
 Nel 1861, un tratto del coronamento, tenuto in pessimo stato, crollò a causa di un fortissimo vento. I danni alla cattedrale furono molto lievi, ma si optò lo stesso per operare un restauro completo. In seguito a questa decisione, la secolare stratificazione delle varie scuole scultoree che si erano alternate nell'abbellimento della facciata, furono completamente cancellate, per dare spazio ad una ricostruzione dello stile originale della Chiesa. 
Secondo alcuni studiosi, se ci si fosse limitati a restaurare la parte di coronamento, oggi la Chiesa presenterebbe uno stile unico, una sorta di mosaico dei tempi, nel quale si potrebbero ammirare le varie influenze. 
Gli stessi studiosi sostengono che sotto la facciata attuale, la Chiesa nasconda ancora tracce della stratificazione secolare che, per qualche motivo ancora sconosciuto, i politici del tempo hanno voluto cancellare senza alcun appello.

La carta prodotta ad Amalfi, chiamata "Charta Bambagina", è molto usata per pubblicazioni particolari quali edizioni editoriali di pregio, carta da lettera, inviti, biglietti da visita e importanti attestati. La sua pregiata fattura ha origini molto antiche: pare, infatti, che alcune cartiere fossero attive già al tempo in cui Amalfi era una Repubblica Marinara.
 Ottenuta con un procedimento molto particolare, rappresenta un pezzo di storia antichissima, che affonda le sue radici nella cultura e nel fascino di Amalfi. 
La "Charta Bambagina" è molto preziosa perché oltre alla normale cellulosa utilizzata per qualunque tipo di carta, viene mescolata con stracci di lino, canapa e cotone macerati. Un procedimento lento e meticoloso che richiede tecnica e pazienza, considerato che la poltiglia derivata dal trattamento delle stoffe, viene messa in forma di pagina rigorosamente a mano.
 Notizie ufficiali riguardante la pregiata carta di Amalfi, si trovano in un editto di Federico II che ne proibiva l'utilizzo per gli atti notarili, sia per il suo alto costo, sia per la delicatezza che la rendeva meno duratura della carta tradizionale. Il divieto non fu accolto e la carta continuò ad essere prodotta e utilizzata. 
L'alluvione che colpì la città di Amalfi nel 1954, tra gli altri gravissimi danni, causò la distruzione di quasi tutti i laboratori. Grazie alla passione e alla tradizione conservata da due famiglie amalfitane, la preziosa carta viene prodotta ancora oggi, con lo stesso procedimento che l'ha resa così famosa in passato.

La regata storica è una manifestazione durante la quale si sfidano le città delle ex Repubbliche marinare, e si svolge tutti gli anni in un giorno compreso tra la fine di maggio e l'inizio di luglio. 
Nata negli anni 50, la manifestazione itinerante, oltre alla gara, vede la rievocazione dei costumi dell'epoca, con figuranti in abiti del tempo, che ricreano situazioni tipiche dell'epoca. Ogni anno, a turno, le città di Amalfi, Pisa, Genova e Venezia ospitano la "Regata Storica", per onorare l'antica storia delle ex Repubbliche marinare.

ROCCIA D'ORO (Golden Rock) - Birmania (Myanmar)



Nell’insediamento birmano di Kin-pun, raggiungibile dopo una impegnativa camminata di una cinquantina di minuti in mezzo alla giungla con un caldo soffocante, si trova uno dei più incredibili fenomeni che si possono osservare in natura, la Kyaittiyo Paya, ovvero la Roccia d’Oro.
 Si tratta di un masso, che si trova sulla vetta del monte Kyaikto a circa 1.200 metri di altezza, che ospita sulla sua cima una stupa.

Questo luogo, famosa meta di pellegrinaggio per il popolo birmano oltre che a una visitatissima località turistica, si trova nello stato di Mon. La peculiarità del luogo consiste appunto in questo enorme macigno dorato che sta miracolosamente in equilibro sul bordo del precipizio. 
 I giovani del posto si divertono a spingerlo mostrando ai turisti quanto sia facile farlo oscillare di qua e di là. 
 Il colore dorato del macigno è dovuto alle migliaia di sottili foglie d’oro che i pellegrini birmani incollano in segno di devozione.

 Ma come è possibile che un enorme blocco di pietra resista in quella posizione? Sicuramente è un mistero, anche perché pare quasi che il masso non tocchi neppure la roccia dove poggia.

 La tradizione spiega il fenomeno con la presenza, sulla cima, della stipa Kaik-tiyo. Si dice che questa pagoda contenga un capello di Buddha e che sia grazie a questo che il masso rimane in equilibrio. La leggenda narra che un eremita donò al re Tissa un capello di Buddha a condizione di trovare un’enorme roccia che assomigliasse alla sua testa, metterla sull’orlo di un precipizio, costruirci sopra un santuario e metterci dentro il capello.
 Il re Tissa trovò la roccia che cercava in fondo al mare, con molta fatica la fece issare in cima al burrone dopo averla ricoperta d’oro e vi costruì la stupa.

Un’altra leggenda racconta che un giorno la bellissima Shwe-nan-kyin, moglie del re, stava passeggiando nella giungla proprio sotto la scarpata, quando una enorme tigre balzò davanti a lei; la regina, convinta che presto sarebbe morta sbranata dalla belva, alzò gli occhi verso la roccia d’oro affidando la sua sorte al destino, e a quel punto la tigre se ne andò.
 Il nome completo del santuario è Kayaik-l-thi-ro, che significa”pagoda portata sulla testa da un eremita”, ma col tempo il nome è stato accorciato in Kaik-tiyo. 

 Fonte : http://zloris.blogspot.it