lunedì 25 febbraio 2013
Chemioterapia
Gli stromatoliti da cui tutti deriviamo vivevano sulla terra 3.8 - 4 miliardi di anni fa
Ma si sono evoluti e differenziati in molteplici specie,nessuna uguale all'uomo simile forse ma con differenze peculiari
Sperimentare sugli animali per poi applicare sull'uomo si è dimostrato molto spesso assai pericoloso
Alcuni farmaci chemioterapici potrebbero indurre mutazioni anche nella progenie dei topi trattati.
Quali le ricadute per il trattamento dei tumori nell’uomo? Gli effetti delle terapie anti-tumorali sul nostro DNA rappresentano per i ricercatori ancora un grosso punto interrogativo.
Uno studio apparso sulla rivista PNAS dimostra, però, che alcuni farmaci chemioterapici potrebbero avere effetti che vanno oltre lo scopo per cui sono usati: talmente oltre, che le conseguenze potrebbero presentarsi persino nella progenie.
Un genoma in equilibrio instabile Lo studio si è focalizzato su tre comuni farmaci chemioterapici: ciclofosfamide, mitomicina C e procarbazina. Quando somministrati ai topi, questi farmaci hanno prodotto mutazioni nel DNA delle loro cellule.
L’effetto è quello di una destabilizzazione del genoma, i cui effetti si possono presentare molto tempo dopo l’esposizione al farmaco.
In particolare, queste mutazioni hanno interessato anche oociti e spermatozoi, le cellule responsabili della trasmissione dell’informazione genetica alla progenie, come dimostrato dall’analisi del DNA dei figli di genitori esposti al farmaco.
Questo risultato dimostra che è di fatto possibile la trasmissione di mutazioni indotte da un farmaco alle generazioni successive. Un effetto simile a quello descritto con i chemioterapici era già noto da tempo per un altro tipo di terapia antitumorale, la radioterapia.
L’esposizione a radiazioni ionizzanti ha un potente effetto mutageno, che nel caso dei tumori ha proprio lo scopo di destabilizzare le cellule tumorali al punto da farle morire.
La radioterapia viene tuttavia eseguita su aree limitate del corpo, in modo da focalizzare il più possibile la sua azione sul tumore, risparmiando (per quanto possibile) gli altri tessuti.
Non è però così per la chemioterapia: il farmaco viene in genere somministrato per via sistemica (ad esempio, attraverso un’iniezione in vena): una volta entrato in circolo, il farmaco andrà a colpire le cellule tumorali, ma sarà purtroppo libero di agire anche sui tessuti sani o, peggio ancora, sugli organi riproduttivi.
Quali conseguenze per le terapie nell’uomo?
In casi come questo, è inevitabile chiedersi quali siano gli effetti a lungo termine per l’uomo.
Gli stessi visti nei topolini e nella loro progenie?
Yuri Dubrova, il genetista che ha guidato lo studio nei topi, invita alla cautela. Ci sono molti elementi che distinguono il decorso terapeutico nel topo e nell’uomo, così come le eventuali conseguenze.
Innanzitutto, molte delle persone che vengono sottoposte a chemioterapia sono generalmente oltre l’età riproduttiva, mentre altri diventano purtroppo sterili proprio a causa del trattamento.
C’è però un gruppo di pazienti che meriterebbe, in questo contesto, di essere seguito con attenzione: si tratta dei pazienti pediatrici, bambini che sono stati curati con farmaci chemioterapici quando molto piccoli ma che, una volta guariti e cresciuti, possono essere nelle condizioni di avere figli.
Un recente studio epidemiologico sembra calmare almeno parte dei timori: in 4699 bambini esaminati (figli di persone curate con radioterapia o chemioterapia in età pediatrica), non c’è stato alcun aumento di difetti genetici alla nascita.
Anche la tempistica potrebbe giocare un ruolo nell’interpretazione dei risultati: nello studio di Dubrova i topi sono stati fatti riprodurre pochi mesi dopo l’esposizione al farmaco, cosa che normalmente non avviene nell’uomo.
Già ora, viene consigliato ai pazienti di attendere almeno un anno dopo il termine delle terapie prima di tentare di avere figli, un intervallo di tempo che si dilata ancora di più nel caso di pazienti pediatrici.
Attenzione ai vicini: l’effetto bystander Per ora, quindi, niente panico. Ma non c’è dubbio che il fenomeno mostrato nello studio di PNAS meriti di essere investigato a fondo, soprattutto perché gli effetti di radiazioni e farmaci sul nostro DNA potrebbero essere più vasti di quelli finora conosciuti.
Va ricordata, in proposito, l’ipotesi dell’effetto bystander, secondo la quale non è solo la cellula colpita direttamente dal chemioterapico o dalla radiazione ionizzante a risentirne gli effetti.
Le conseguenze si avvertirebbero anche nelle cellule vicine, molto probabilmente per effetto di molecole segnale, liberate dalla cellula colpita.
Ma si sono evoluti e differenziati in molteplici specie,nessuna uguale all'uomo simile forse ma con differenze peculiari
Sperimentare sugli animali per poi applicare sull'uomo si è dimostrato molto spesso assai pericoloso
Alcuni farmaci chemioterapici potrebbero indurre mutazioni anche nella progenie dei topi trattati.
Quali le ricadute per il trattamento dei tumori nell’uomo? Gli effetti delle terapie anti-tumorali sul nostro DNA rappresentano per i ricercatori ancora un grosso punto interrogativo.
Uno studio apparso sulla rivista PNAS dimostra, però, che alcuni farmaci chemioterapici potrebbero avere effetti che vanno oltre lo scopo per cui sono usati: talmente oltre, che le conseguenze potrebbero presentarsi persino nella progenie.
Un genoma in equilibrio instabile Lo studio si è focalizzato su tre comuni farmaci chemioterapici: ciclofosfamide, mitomicina C e procarbazina. Quando somministrati ai topi, questi farmaci hanno prodotto mutazioni nel DNA delle loro cellule.
L’effetto è quello di una destabilizzazione del genoma, i cui effetti si possono presentare molto tempo dopo l’esposizione al farmaco.
In particolare, queste mutazioni hanno interessato anche oociti e spermatozoi, le cellule responsabili della trasmissione dell’informazione genetica alla progenie, come dimostrato dall’analisi del DNA dei figli di genitori esposti al farmaco.
Questo risultato dimostra che è di fatto possibile la trasmissione di mutazioni indotte da un farmaco alle generazioni successive. Un effetto simile a quello descritto con i chemioterapici era già noto da tempo per un altro tipo di terapia antitumorale, la radioterapia.
L’esposizione a radiazioni ionizzanti ha un potente effetto mutageno, che nel caso dei tumori ha proprio lo scopo di destabilizzare le cellule tumorali al punto da farle morire.
La radioterapia viene tuttavia eseguita su aree limitate del corpo, in modo da focalizzare il più possibile la sua azione sul tumore, risparmiando (per quanto possibile) gli altri tessuti.
Non è però così per la chemioterapia: il farmaco viene in genere somministrato per via sistemica (ad esempio, attraverso un’iniezione in vena): una volta entrato in circolo, il farmaco andrà a colpire le cellule tumorali, ma sarà purtroppo libero di agire anche sui tessuti sani o, peggio ancora, sugli organi riproduttivi.
Quali conseguenze per le terapie nell’uomo?
In casi come questo, è inevitabile chiedersi quali siano gli effetti a lungo termine per l’uomo.
Gli stessi visti nei topolini e nella loro progenie?
Yuri Dubrova, il genetista che ha guidato lo studio nei topi, invita alla cautela. Ci sono molti elementi che distinguono il decorso terapeutico nel topo e nell’uomo, così come le eventuali conseguenze.
Innanzitutto, molte delle persone che vengono sottoposte a chemioterapia sono generalmente oltre l’età riproduttiva, mentre altri diventano purtroppo sterili proprio a causa del trattamento.
C’è però un gruppo di pazienti che meriterebbe, in questo contesto, di essere seguito con attenzione: si tratta dei pazienti pediatrici, bambini che sono stati curati con farmaci chemioterapici quando molto piccoli ma che, una volta guariti e cresciuti, possono essere nelle condizioni di avere figli.
Un recente studio epidemiologico sembra calmare almeno parte dei timori: in 4699 bambini esaminati (figli di persone curate con radioterapia o chemioterapia in età pediatrica), non c’è stato alcun aumento di difetti genetici alla nascita.
Anche la tempistica potrebbe giocare un ruolo nell’interpretazione dei risultati: nello studio di Dubrova i topi sono stati fatti riprodurre pochi mesi dopo l’esposizione al farmaco, cosa che normalmente non avviene nell’uomo.
Già ora, viene consigliato ai pazienti di attendere almeno un anno dopo il termine delle terapie prima di tentare di avere figli, un intervallo di tempo che si dilata ancora di più nel caso di pazienti pediatrici.
Attenzione ai vicini: l’effetto bystander Per ora, quindi, niente panico. Ma non c’è dubbio che il fenomeno mostrato nello studio di PNAS meriti di essere investigato a fondo, soprattutto perché gli effetti di radiazioni e farmaci sul nostro DNA potrebbero essere più vasti di quelli finora conosciuti.
Va ricordata, in proposito, l’ipotesi dell’effetto bystander, secondo la quale non è solo la cellula colpita direttamente dal chemioterapico o dalla radiazione ionizzante a risentirne gli effetti.
Le conseguenze si avvertirebbero anche nelle cellule vicine, molto probabilmente per effetto di molecole segnale, liberate dalla cellula colpita.
Magnifico!! si premiano pure gli imbecilli
Il Premio Ig Nobel (pronuncia inglese [ˌɪɡnoʊˈbɛl]), conosciuto in Italia anche come Premio Ignobel, è una parodia del premio Nobel. Viene assegnato annualmente, prima o dopo l'annuncio dei vincitori del vero Premio Nobel, a dieci persone per ricerche o risultati scientifici che siano inutili o ridicoli.
Come ogni anno, a ridosso dell’annuncio dei vincitori dei premi Nobel, sono stati consegnati gli altrettanto ambiti premi Ig Nobel, che premiano le ricerche che prima ci fanno ridere, poi ci fanno pensare.
Come di consueto la ventiduesima «prima annuale» cerimonia di consegna degli Ig Nobel (tema: L’Universo), un’esplosiva alchimia che miscela un rito di iniziazione goliardico, un catarsi collettiva e una Corrida di dilettanti allo sbaraglio, si è tenuto al Sanders Theater dell’Università di Harvard, sotto l’inflessibile direzione di Marc Abrahams, ideatore dei premi nonché editor della prestigiosa rivista Annals of Improbable Research a essi legata.
A consegnare i premi veri premi Nobel, tra i quali l’«habitué» Dudley Herschbach, premio Nobel per la Chimica nel 1986, che vanta una partecipazione nella serie televisiva I Simpson.
Tra una consegna e l’altra gli spettatori all’evento, trasmesso anche in diretta su Internet, hanno assistito anche a una mini-opera lirica in quattro atti, The Intelligent Designer and The Universe, dramma surreale di una stilista che deve confezionare un vestito per l’Universo, e deve naturalmente chiedere aiuto agli astrofisici.
Un’altro divertente intermezzo è stato fornito dalle 24/7 Lectures, dove quattro scienziati (due Nobel, un Ignobel e la biochimica fondatrice di Science from Scientists, già Miss Massachussetts) si sono esibiti declamando un rapporto tecnico completo del soggetto da loro scelto in precedenza in non più di 24 secondi e, a seguire, un sommario comprensibile a chiunque in 7 parole. Da segnalare a questo proposito l'intervento del premio Nobel per la Medicina Richard J. Roberts, che ha parlato del noto caso della vita basata sull'arsenico, il tutto con un linguaggio parecchio colorito.
Ora, in ordine di consegna, i vincitori degli Ig Nobel 2012.
Psicologia: ad Anita Eerland, Rolf Zwaan e Tulio Guadalupe per il loro studio Leaning to the Left Makes the Eiffel Tower Seem Smaller
(Piegarsi sul lato sinistro fa apparire la Torre Eiffel più piccola).
Pace: alla russa SKN Company per la conversione di vecchie munizioni in diamanti industriali.
Acustica: a Kazutaka Kurihara e Koji Tsukada [JAPAN] per l’invenzione dello SpeechJammer, un dispositivo che, puntato contro una persona, riesce a confonderne il discorso (ed eventualmente a interromperlo) facendole sentire le proprie parole con un leggero ritardo.
L’apparecchio è stato testato in diretta su Dudley Herschbach.
Neuroscienze: a Craig Bennett, Abigail Baird, Michael Miller e George Wolford, per aver dimostrato come chi studia il cervello, usando complicati strumenti ma statistiche troppo semplici, può vedere l'attività cerebrale ovunque, persino in un salmone morto.
Lo studio a cui si deve il premio, Neural correlates of interspecies perspective taking in the post-mortem Atlantic Salmon,malgrado le apparenze, è uno splendido esempio di ricerca che prima fa ridere e poi pensare, ed è infatti ben noto.
I quattro ricercatori intendevano denunciare le troppo frequenti forzature nell’applicazione della risonanza magnetica funzionale. Senza solidi strumenti statistici, si può arrivare a rilevare attività cerebrale anche in salmoni atlantici (Salmo salar) morti e a metterla in correlazione con le fotografie che venivano loro mostrate.
Chimica: a Johan Pettersson, per aver capito come mai in alcune case della città di Anderslöv, Svezia, i capelli degli abitanti sono diventati verdi.
Tutta colpa di tubature in rame non adeguatamente protette, che a ogni doccia calda rilasciavano nell’acqua elevate quantità dell’elemento.
Letteratura: all’ US Government General Accountability Office, per un report sui report sui report che suggerisce la preparazione di un report sui report sui report sui report: Actions Needed to Evaluate the Impact of Efforts to Estimate Costs of Reports and Studies
Fisica: a Joseph Keller, Raymond Goldstein, Patrick Warren, e Robin Ball per i loro studi sulle forze che danno movimento e forma alla coda di cavallo nelle acconciature. Si vedano a questo proposito i due articoli: Shape of a Ponytail and the Statistical Physics of Hair Fiber Bundles e Ponytail Motion.
Fluidodinamica: a Rouslan Krechetnikov e Hans Mayer per aver studiato la nota piaga del caffè che esce dalla tazza quando si cammina.
Anatomia: vince il noto primatologo Frans de Waal e alla sua (allora) dottoranda Jennifer Pokorny per aver dimostrato come gli scimpanzé si riconoscano tra loro anche di spalle.
Medicina: a Emmanuel Ben-Soussan e Michel Antonietti, per due paper che spiegano le misure cautelative che i dottori devono adottare nei trattamenti di elettrocauterizzazione via colonscopia: il rischio di esplosioni è raro, ma non da sottovalutare.
Come di consueto la ventiduesima «prima annuale» cerimonia di consegna degli Ig Nobel (tema: L’Universo), un’esplosiva alchimia che miscela un rito di iniziazione goliardico, un catarsi collettiva e una Corrida di dilettanti allo sbaraglio, si è tenuto al Sanders Theater dell’Università di Harvard, sotto l’inflessibile direzione di Marc Abrahams, ideatore dei premi nonché editor della prestigiosa rivista Annals of Improbable Research a essi legata.
A consegnare i premi veri premi Nobel, tra i quali l’«habitué» Dudley Herschbach, premio Nobel per la Chimica nel 1986, che vanta una partecipazione nella serie televisiva I Simpson.
Tra una consegna e l’altra gli spettatori all’evento, trasmesso anche in diretta su Internet, hanno assistito anche a una mini-opera lirica in quattro atti, The Intelligent Designer and The Universe, dramma surreale di una stilista che deve confezionare un vestito per l’Universo, e deve naturalmente chiedere aiuto agli astrofisici.
Un’altro divertente intermezzo è stato fornito dalle 24/7 Lectures, dove quattro scienziati (due Nobel, un Ignobel e la biochimica fondatrice di Science from Scientists, già Miss Massachussetts) si sono esibiti declamando un rapporto tecnico completo del soggetto da loro scelto in precedenza in non più di 24 secondi e, a seguire, un sommario comprensibile a chiunque in 7 parole. Da segnalare a questo proposito l'intervento del premio Nobel per la Medicina Richard J. Roberts, che ha parlato del noto caso della vita basata sull'arsenico, il tutto con un linguaggio parecchio colorito.
Ora, in ordine di consegna, i vincitori degli Ig Nobel 2012.
Psicologia: ad Anita Eerland, Rolf Zwaan e Tulio Guadalupe per il loro studio Leaning to the Left Makes the Eiffel Tower Seem Smaller
(Piegarsi sul lato sinistro fa apparire la Torre Eiffel più piccola).
Pace: alla russa SKN Company per la conversione di vecchie munizioni in diamanti industriali.
Acustica: a Kazutaka Kurihara e Koji Tsukada [JAPAN] per l’invenzione dello SpeechJammer, un dispositivo che, puntato contro una persona, riesce a confonderne il discorso (ed eventualmente a interromperlo) facendole sentire le proprie parole con un leggero ritardo.
L’apparecchio è stato testato in diretta su Dudley Herschbach.
Neuroscienze: a Craig Bennett, Abigail Baird, Michael Miller e George Wolford, per aver dimostrato come chi studia il cervello, usando complicati strumenti ma statistiche troppo semplici, può vedere l'attività cerebrale ovunque, persino in un salmone morto.
Lo studio a cui si deve il premio, Neural correlates of interspecies perspective taking in the post-mortem Atlantic Salmon,malgrado le apparenze, è uno splendido esempio di ricerca che prima fa ridere e poi pensare, ed è infatti ben noto.
I quattro ricercatori intendevano denunciare le troppo frequenti forzature nell’applicazione della risonanza magnetica funzionale. Senza solidi strumenti statistici, si può arrivare a rilevare attività cerebrale anche in salmoni atlantici (Salmo salar) morti e a metterla in correlazione con le fotografie che venivano loro mostrate.
Chimica: a Johan Pettersson, per aver capito come mai in alcune case della città di Anderslöv, Svezia, i capelli degli abitanti sono diventati verdi.
Tutta colpa di tubature in rame non adeguatamente protette, che a ogni doccia calda rilasciavano nell’acqua elevate quantità dell’elemento.
Letteratura: all’ US Government General Accountability Office, per un report sui report sui report che suggerisce la preparazione di un report sui report sui report sui report: Actions Needed to Evaluate the Impact of Efforts to Estimate Costs of Reports and Studies
Fisica: a Joseph Keller, Raymond Goldstein, Patrick Warren, e Robin Ball per i loro studi sulle forze che danno movimento e forma alla coda di cavallo nelle acconciature. Si vedano a questo proposito i due articoli: Shape of a Ponytail and the Statistical Physics of Hair Fiber Bundles e Ponytail Motion.
Fluidodinamica: a Rouslan Krechetnikov e Hans Mayer per aver studiato la nota piaga del caffè che esce dalla tazza quando si cammina.
Anatomia: vince il noto primatologo Frans de Waal e alla sua (allora) dottoranda Jennifer Pokorny per aver dimostrato come gli scimpanzé si riconoscano tra loro anche di spalle.
Medicina: a Emmanuel Ben-Soussan e Michel Antonietti, per due paper che spiegano le misure cautelative che i dottori devono adottare nei trattamenti di elettrocauterizzazione via colonscopia: il rischio di esplosioni è raro, ma non da sottovalutare.
I Mammuth si estinsero a causa dei cambiamenti climatici.
Ora ci sono anche prove scientifiche: è' stato un profondo cambiamento climatico, e non i cacciatori come si credeva, a provocare l'estinzione dei giganteschi animali preistorici, come mammuth, mastodonti e orsi.
L'estinzione della megafauna del Nord America e' iniziata quindi piu' di mille anni prima la comparsa del popolo Clovis, ed e' stata causa e non conseguenza dei grandi cambiamenti della flora e dell'incremento degli incendi che hanno trasformato il paesaggio del continente americano.
La scoperta che fa luce su questa enorme estinzione avvenuta circa 13.000 anni fa, durante la fine dell'ultima Era Glaciale, si deve a uno studio pubblicato su Science da un gruppo di ricerca coordinato da Jacquelyn Gill dell'universita' del Wisconsin-Madison. Si tratta di un lavoro molto importante, secondo uno degli autori dello studio, John Williams, della UW-Madison, perche' rappresenta la "prova piu' chiara per datare l'estinzione di un vasto gruppo di animali".
Inoltre, prosegue l'esperto, i cambiamenti del paesaggio successivi all'estinzione di questa popolazione animale puo' fornire indizi cruciali per comprendere le conseguenze della scomparsa di alcuni animali dal moderno ecosistema.
I ricercatori hanno analizzato, in antichi sedimenti sull'Appleman Lake in Indiana, fossili di pollini, carboni di legna e la Sporomiella, un fungo che cresce sullo sterco dei grandi erbivori e che fornisce un indice della biomassa prodotta dai grandi erbivori nel tempo. Queste informazioni hanno permesso di ricostruire una immagine di quello che era il paesaggio americano all'indomani del ritiro dei ghiacci.
E' stato cosi' scoperto che la popolazione di queste enormi creature ha iniziato a declinare piu' di mille anni prima la comparsa del popolo Clovis, la popolazione preistorica del Nord America.Il declino della megafauna, secondo lo studio ha preceduto anche i grandi cambiamenti nella flora e l'incremento degli incendi, smentendo le teorie ipotizzate finora.
Si riteneva, infatti, che i cacciatori Clovis e i cambiamenti ambientali avessero innescato il declino della megafauna nel Nord America. Alla luce dei nuovi dati sembra invece che l'estinzione a lenti passi della megafauna, avvenuta in un periodo compreso fra 14,800 e 13,700 anni fa, ha preceduto il popolo Clovis ed e' stata una causa e non il risultato di cambiamenti nella vegetazione dell'aumento degli incendi.
Dove arriva l'uomo fa danni
I gorilla di montagna (Gorilla beringei beringei), annoverati tra le specie attualmente a rischio di estinzione, non sono minacciati solo dal bracconaggio e dalla riduzione del loro ecosistema.
Al loro precario equilibrio esistenziale oggi si aggiunge anche un virus trasmesso dall’uomo, il Metapneumovirus.
Questi gorilla vivono in relativo isolamento, come ben rappresenta il film Gorilla nella nebbia, e raramente vengono avvistati dalle persone locali all’interno della foresta tropicale.
Oggi vivono in due zone protette, che appartengono agli Stati del Rwanda, dell’Uganda e della Repubblica Democratica del Congo.
In uno studio pubblicato su Emerging Infectious Disease si è visto che le malattie respiratorie sono in aumento nei gorilla, sia come numero che come gravità e oggi rappresentano la seconda causa di morte di questa specie.
Grazie a questa pubblicazione per la prima volta è stato anche possibile dimostrare che in qualche caso queste malattie respiratorie sono trasmesse dall’uomo.
Il Metapneumovirus si contrae per via respiratoria, questa volta siamo stati noi umani a trasmettere un nostro virus agli animali, e non viceversa come nel caso dell’influenza aviaria.
Infatti buona parte dei fondi per mandare avanti queste due aree protette vengono dai proventi dell’ecoturismo, e i gorilla in questo modo sono a contatto con un numero elevato di persone.
Dallo studio del virus a RNA si è capito che si tratta dello stesso ceppo presente in Sud Africa, che debilita i gorilla e li rende più vulnerabili a polmoniti batteriche letali.
«Ad oggi sopravvivono 800 esemplari di gorilla delle montagne, ognuno di loro è importantissimo per la sopravvivenza della specie», dice Mike Cranfield, direttore del Mountain Gorilla Veterinary Project, «ma questi sono circondati da persone, e questa scoperta rende chiara l’idea che la vita in un parco nazionale protetto non rappresenta una barriera nei confronti delle malattie umane».
Tuttavia qualche accorgimento si sta già prendendo: sono stati ridotti i visitatori e aumentate le distanze di osservazione dei gorilla, in più in Congo è richiesto l’utilizzo di mascherine protettive.
Sarà veramente un pianeta??
Si trova a cento anni luce di distanza dalla Terra, ha tagliato il cordone ombelicale gravitazionale con la sua stella madre e vaga solitario nella notte interstellare.
È questo l’identikit del pianeta che pensa di avere scoperto un gruppo di astronomi mettendo insieme le osservazioni del telescopio VLT (Very Large Telescope) dell’ESO e del telescopio CFH (Canada-France-Hawaii Telescope). Se la scoperta verrà confermata dai dati dei prossimi mesi, CFBDSIR2149, questo il nome dell’oggetto, sarebbe il pianeta interstellare più vicino al Sistema Solare mai osservato finora. I pianeti interstellari sono oggetti di massa planetaria che vagano per lo spazio senza legami gravitazionali con una stella.
Capire se si tratta realmente di pianeti alla deriva oppure di nane brune, cioè di stelle “mancate” prive della massa necessaria per innescare reazioni nucleari, non è però semplice.
Per riuscirci bisogna studiare la loro interazione con i corpi che li circondano. Come fare però nel caso di oggetti solitari, dispersi nelle profondità del cosmo? Per fortuna degli astronomi nell’universo non si è mai del tutto soli. Sebbene infatti non sia legato a nessuna stella, CFBDSIR2149 sembra far parte dell’Associazione AB Doradus, una “corrente” di stelle che si muovono insieme nello spazio e che hanno tutte la stessa età.
Il legame con questo gruppo stellare rappresenterà la chiave per ricavare la temperatura, la massa, l’età e la composizione dell’atmosfera dell’oggetto. Confermando o smentendo così la sua natura planetaria.
«Questi oggetti sono importanti perché ci aiutano a capire meglio come si possono espellere i pianeti dai sistemi planetari, o come oggetti molto leggeri possano derivare dai processi di formazione stellare», dice Philippe Delorme, astronomo presso l’Institut de planétologie et d’astrophysique di Grenoble e coordinatore della ricerca.
Che si tratti effettivamente di un pianeta cacciato dal suo sistema stellare originario oppure di un piccolo oggetto isolato come una nana bruna non sembra insomma interessare più di tanto gli astronomi.
Anche se, confessa Delorme, «se questo oggettino fosse un pianeta espulso dal suo sistema nativo, si evocherebbe l’immagine suggestiva di un mondo orfano, alla deriva nello spazio vuoto». Ma c'è di più.
Perché se le prossime ricerche dovessero confermare che CFBDSIR2149 è un pianeta, questo "mondo orfano" potrà essere usato concretamente come parametro di riferimento per comprendere la fisica degli esopianeti che verranno scoperti in futuro dai sistemi di immagini ad alto contrasto, tra cui lo strumento SPHERE che verrà installato sul telescopio VLT.
La sua relativa vicinanza e l’assenza di una stella molto brillante nei paraggi ha infatti permesso al team di ricercatori di studiarne l’atmosfera in gran dettaglio.
Come spiega Delorme, «questa possibilità è quasi sempre preclusa agli studiosi perché cercare pianeti che ruotano intorno alla loro stella madre è come studiare una lucciola che sta a un centimetro di distanza da un potente faro d’automobile. Il pianeta che pensiamo di aver scoperto invece è estremamente prezioso proprio perché ci offre la possibilità di studiare la lucciola in dettaglio, senza che la luce dei fari rovini tutto.»
È questo l’identikit del pianeta che pensa di avere scoperto un gruppo di astronomi mettendo insieme le osservazioni del telescopio VLT (Very Large Telescope) dell’ESO e del telescopio CFH (Canada-France-Hawaii Telescope). Se la scoperta verrà confermata dai dati dei prossimi mesi, CFBDSIR2149, questo il nome dell’oggetto, sarebbe il pianeta interstellare più vicino al Sistema Solare mai osservato finora. I pianeti interstellari sono oggetti di massa planetaria che vagano per lo spazio senza legami gravitazionali con una stella.
Capire se si tratta realmente di pianeti alla deriva oppure di nane brune, cioè di stelle “mancate” prive della massa necessaria per innescare reazioni nucleari, non è però semplice.
Per riuscirci bisogna studiare la loro interazione con i corpi che li circondano. Come fare però nel caso di oggetti solitari, dispersi nelle profondità del cosmo? Per fortuna degli astronomi nell’universo non si è mai del tutto soli. Sebbene infatti non sia legato a nessuna stella, CFBDSIR2149 sembra far parte dell’Associazione AB Doradus, una “corrente” di stelle che si muovono insieme nello spazio e che hanno tutte la stessa età.
Il legame con questo gruppo stellare rappresenterà la chiave per ricavare la temperatura, la massa, l’età e la composizione dell’atmosfera dell’oggetto. Confermando o smentendo così la sua natura planetaria.
«Questi oggetti sono importanti perché ci aiutano a capire meglio come si possono espellere i pianeti dai sistemi planetari, o come oggetti molto leggeri possano derivare dai processi di formazione stellare», dice Philippe Delorme, astronomo presso l’Institut de planétologie et d’astrophysique di Grenoble e coordinatore della ricerca.
Che si tratti effettivamente di un pianeta cacciato dal suo sistema stellare originario oppure di un piccolo oggetto isolato come una nana bruna non sembra insomma interessare più di tanto gli astronomi.
Anche se, confessa Delorme, «se questo oggettino fosse un pianeta espulso dal suo sistema nativo, si evocherebbe l’immagine suggestiva di un mondo orfano, alla deriva nello spazio vuoto». Ma c'è di più.
Perché se le prossime ricerche dovessero confermare che CFBDSIR2149 è un pianeta, questo "mondo orfano" potrà essere usato concretamente come parametro di riferimento per comprendere la fisica degli esopianeti che verranno scoperti in futuro dai sistemi di immagini ad alto contrasto, tra cui lo strumento SPHERE che verrà installato sul telescopio VLT.
La sua relativa vicinanza e l’assenza di una stella molto brillante nei paraggi ha infatti permesso al team di ricercatori di studiarne l’atmosfera in gran dettaglio.
Come spiega Delorme, «questa possibilità è quasi sempre preclusa agli studiosi perché cercare pianeti che ruotano intorno alla loro stella madre è come studiare una lucciola che sta a un centimetro di distanza da un potente faro d’automobile. Il pianeta che pensiamo di aver scoperto invece è estremamente prezioso proprio perché ci offre la possibilità di studiare la lucciola in dettaglio, senza che la luce dei fari rovini tutto.»
Compromesso =inciucio
«Che la politica sia inganno lo si sa da migliaia di anni: senz’altro da quando in Europa si è fatto avanti il cosiddetto “spirito critico”, cioè la filosofia.
Il tiranno, antico o moderno, non dice di agire per il bene dei suoi sudditi, anche se crede e fa credere che essi andrebbero in rovina se lui non ci fosse. Il politico democratico del nostro tempo (il politico della democrazia “procedurale”), invece, lo dice: deve dire che i propri progetti hanno come scopo il bene della comunità (e che sono i più idonei a realizzarlo); altrimenti gli elettori non lo voterebbero.
Se il suo scopo primario fosse effettivamente il “bene comune”, nel senso che egli subordina e sacrifica il vantaggio personale che egli potrebbe conseguire per il proprio maggior potere,al “bene comune” sarebbe un santo
Avete mai visto santi in politica????
Il tiranno, antico o moderno, non dice di agire per il bene dei suoi sudditi, anche se crede e fa credere che essi andrebbero in rovina se lui non ci fosse. Il politico democratico del nostro tempo (il politico della democrazia “procedurale”), invece, lo dice: deve dire che i propri progetti hanno come scopo il bene della comunità (e che sono i più idonei a realizzarlo); altrimenti gli elettori non lo voterebbero.
Se il suo scopo primario fosse effettivamente il “bene comune”, nel senso che egli subordina e sacrifica il vantaggio personale che egli potrebbe conseguire per il proprio maggior potere,al “bene comune” sarebbe un santo
Avete mai visto santi in politica????