sabato 7 dicembre 2013

I dieci giorni spariti ........

In molti paesi del mondo lunedì, 7 gennaio, si festeggia il Natale.
A Mosca, ad esempio, si sta preparando la Cattedrale di Cristo Redentore per la grande messa di mezzanotte che sarà celebrata quella notte.
Gli stessi preparativi sono in corso a Gerusalemme, in Serbia, Bulgaria, Ucraina e persino in Etiopia
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Tutti gli altri paesi che festeggiano il Natale il 7 gennaio appartengono alla grande famiglia del cristianesimo orientale ortodosso (anche se alcune chiese ortodosse, come quella greca, festeggiano il Natale il 25 dicembre come i cattolici).
Il motivo dell’esistenza di questa “linea del Natale” che separa con una certa precisione cattolici e protestanti da un lato e cristiani orientali e ortodossi dall’altro risale a Giulio Cesare e ha a che fare con un anno composto da 365 giorni e un quarto e ai giorni dal 5 al 14 ottobre 1582, che non sono mai esistiti.
Partiamo dall’inizio: 
 

Calendario Romano 
Pare che il calendario più antico descrivesse un anno di soli dieci mesi, chiamato “anno di Romolo”, risalente alle origini della storia di Roma. l’anno andava da marzo a dicembre ed era scandito dalle due principali attività della società romana arcaica: l’agricoltura e la guerra.
Tuttavia la prima forma storicamente accertata di un calendario romano di dodici mesi è attribuibile aNuma Pompilio, portandone anche il nome (“calendario di Numa”).
In realtà l’equivoco nasce per la volontà storiografica di assegnare al secondo re di Roma l’organizzazione della vita religiosa. L’organizzazione dell’anno nei canonici dodici mesi è ascrivibile a un periodo più tardo, probabilmente alla monarchia etrusca
Intorno al 450 a.C. venne effettuato un leggero ritocco al calendario di Numa,Il controllo dei mesi intercalari, infatti, era lasciato all' arbitrio di clero e magistrati e questo diede luogo nel tempo ad abusi di vario genere, perché si verificò spesso che qualcuno usasse il proprio potere sul calendario, aggiungendo o togliendo mesi intercalari, per fini personali.
Ci furono magistrati che ne beneficiarono ed altri che ne subirono le conseguenze. Verre, ad esempio, per fare eleggere alla carica di sommo pontefice un suo protetto, Climachia, accorciò l'anno di un mese e mezzo, facendo così anticipare le elezioni a data in cui il candidato favorito era assente per viaggio.
Giocando coi mesi intercalari si potevano sconvolgere le scadenze per i pagamenti e rovinare uomini d'affari o creare fortune. 
Gli abusi erano stati tanti e tali che nel 46 a.C: il calendario era "anticipato" di ben tre mesi rispetto ai tempi di Numa, tanto che i mesi della primavera, marzo, aprile e maggio, nonostante il loro nome, cadevano ormai in pieno inverno.
La prima vera riforma si ebbe con Cesare, il quale introdusse il calendario giuliano con i mesi di 30 e 31 giorni e l’anno bisestile (febbraio di 29 giorni ogni 4 anni)
Più o meno tutti noi siamo convinti che quello che noi chiamiamo “anno” sia composto da 365 giorni e da 366 ogni quattro anni.
Ma questo non è esatto: questa era la durata del cosiddetto calendario giuliano, che venne abbandonato circa 500 anni fa
Il calendario giuliano, venne elaborato nel primo secolo avanti Cristo dall’astronomo greco Sosigene di Alessandria.

Nel 46 a. C., Giulio Cesare, in qualità di pontefice massimo – cioè supremo sacerdote di Roma che aveva l’incarico, tra le altre cose, di tenere il conto ufficiale degli anni – decise di adottarlo come calendario ufficiale.
Ma il calendario voluto da Giulio Cesare e inventato da Sosigene aveva anche un grosso difetto.
Un anno giuliano aveva una durata media di 365 giorni e sei ore, cifra ottenuta facendo la media tra 3 anni da 365 giorni e uno da 366.
Il problema era che un anno, secondo le osservazioni astronomiche, è lungo in media 365 giorni, 5 ore e poco meno di 50 minuti, cioè è più breve di 11 minuti e qualche secondo.
Questo significava – e all’epoca già si sapeva – che ogni 128 anni il calendario giuliano si sarebbe ritrovato in ritardo di un giorno rispetto alla posizione del Sole (che è quello che il calendario misura).
Si arrivò così al 1582 in cui, secondo le osservazioni astronomiche, la primavera era già cominciata quando il calendario segnava ancora l’11 marzo. 

Ciò che fece decidere per un cambiamento di calendario fu che risultava sbagliato il calcolo della Pasqua e quindi le celebrazioni non venivano più officiate nel giorno giusto.
A prendere la decisione di cambiare le regole fu papa Gregorio XIII, che impose il calendario che usiamo ancora oggi, il calendario gregoriano.
Con la Bolla 'Inter gravissimas ' del 24 febbraio 1582, papa Gregorio XIII decretò che il giorno successivo al giovedì 4 ottobre 1582 fosse il venerdì 15 ottobre, "una scelta drammatica", scrive Maiello, "fatta per ribadire simbolicamente il potere della Chiesa sul tempo, nonostante molti l’avessero sconsigliata per timore di scandali e tumulti popolari".
La Francia, per esempio, aspettò due mesi e passò dal 9 al 20 di Dicembre.
La Bolla di Riforma del Calendario Giuliano, sostituito dal Gregoriano, fu emanata nel grandioso Salone degli Svizzeri di Villa Mondragone: in una lapide, tutt’oggi presente, si legge del Papa e della sua Commissione. i dieci giorni di mezzo, in un certo senso, non sono mai esistiti.
Con il nuovo calendario l’errore annuale veniva ridotto da 11 minuti e qualcosa a soli 26 secondi: il calendario gregoriano, quindi, necessita di correzioni soltanto una volta ogni 3.323 anni.
La riforma venne adottata dai paesi cattolici e dai territori ad essi sottoposti: Francia, Italia, Spagna, Portogallo, Polonia, Belgio, Paesi Bassi e gran parte della Germania meridionale.
I paesi protestanti si adattarono soltanto nel corso del 18° secolo, quando le rivalità religiose si erano affievolite e quando ormai gli scambi frequenti tra i paesi avevano reso avere due calendari diversi una vera seccatura.
I paesi ortodossi rimasero i soli a seguire il calendario giuliano, per almeno un paio di motivi. Erano molto più lontani e quindi avevano molti meno rapporti con i paesi che avevano adottato la riforma, e quindi la discrepanza tra i due calendari portava a meno equivoci, anche se qualche problema lo causò comunque: nel 1805, mentre facevano la guerra a Napoleone, Austriaci e Russi pasticciarono con le date dei due calendari, mancarono un incontro e facilitarono il lavoro a Napoleone che li sconfisse prima ad Ulm e poi nella famosa battaglia di Austerlitz.
Il secondo motivo fu che lo scisma tra la chiesa orientale e quella cattolica, avvenuto poco dopo l’anno Mille – la data convenzionale è il 1054 – venne fondamentalmente causato dal fatto che a Oriente non volevano riconoscere la supremazia del Papa.
Per gli ortodossi era molto difficile accettare di compiere i loro riti sulla base di un calendario introdotto proprio dal Pontefice.
A Oriente si mantenne il vecchio calendario e il divario di giorni salì nel corso dei secoli da 10 a 13.
Il calendario gregoriano venne introdotto in Russia soltanto in seguito alla Rivoluzione d’Ottobre, nel 1917: che in realtà, secondo il nostro calendario, dovrebbe chiamarsi rivoluzione di novembre. Ma numerose chiese ortodosse, in particolare quelle più legate al patriarcato di Mosca, come quella ucraina, georgiana e bulgara, non accettarono mai il calendario del Papa di Roma, quindi continuano a festeggiare il Natale 13 giorni dopo la data gregoriana, cioè il 7 gennaio (le altre feste “scalano” di conseguenza: l’Epifania è il 19 gennaio).
E allora gli armeni, che lo festeggiano il 6 gennaio? Si tratta di una storia ancora diversa, che non ha nulla a che fare con il calendario. Nei Vangeli non si parla della data della nascita di Cristo e per tutti i primi secoli di storia del cristianesimo vennero usate date diverse per la Natività. Queste date venivano spesso scelte perché coincidevano con festività preesistenti.
Le due più usate erano il 25 dicembre e il 6 gennaio.
Nel 330 Costantino stabilì che il giorno giusto era il 25 dicembre.
All’epoca però, l’Armenia era piuttosto oltre la portata di Roma e quindi vennero mantenute le antiche tradizioni, per cui Natività ed Epifania si festeggiano lo stesso giorno: il 6 gennaio.
Quindi, ricapitolando: gli ortodossi accettano il 25 dicembre come data del Natale, ma il loro calendario delle festività – il calendario liturgico – è indipendente da quello civile e basato sull’antico calendario giuliano, per cui festeggiano il Natale 13 giorni dopo di noi. Il risultato concreto è che festeggiano il 7 gennaio.
Gli armeni da tempo antico sostengono che Natale sia il 6 gennaio e hanno accettato il nostro calendario, quello gregoriano.
C’è un’ultima cosa da dire: a Gerusalemme invece vige ancora il giuliano, per cui va a finire che si festeggia il Natale… il 19 gennaio (6 gennaio + la differenza di 13 giorni). Tra l’altro gli armeni – e solo loro – festeggiano il Natale e l’Epifania insieme, il che ha senso, visto che niente vieta di pensare che i Magi siano arrivati da Gesù la sera stessa della sua nascita.
Rimane l’ultima domanda: in questi paesi, si scambiano i regali sotto l’abete il 7 gennaio?
Gli ucraini ortodossi si scambiano i regali la sera della vigilia di Natale, così come fanno in Georgia.
In entrambi i paesi si usano alberi addobbati; in Ucraina a portare i regali sono gli angeli, mentre in Georgia è Nonno Neve.
Ma non sempre il tradizionale scambio di regali annuale coincide con il Natale.
In Russia, ad esempio, il Natale è una festa esclusivamente religiosa. I regali si scambiano sotto un abete addobbato la sera del 31 dicembre, quando la tradizione vuole che passi di casa in casa la versione russa di Babbo Natale: Ded Moroz, o Nonno Gelo.

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