giovedì 7 novembre 2013
Niccolò Paganini, il violinista del diavolo
Niccolò Paganini (1782 – 1840) è senza ombra di dubbio il più grande violinista della storia, ma non solo. Era anche un uomo strano, misterioso, inquietante.
Le caratteristiche che legano il famoso artista al sovrannaturale iniziano quando è un bambino, all’età di sei anni, quando fu considerato morto in seguito ad un violento attacco di morbillo: il bambino fu avvolto nel sudario e cominciò il servizio funebre, quando, inspiegabilmente ed all’improvviso, egli fece un piccolo movimento che venne notato, e così sfuggì ad una sepoltura prematura. Miracolo? Qualcuno nell'Italia superstiziosa di allora è sicuro di si.
Quando Niccolò cresce e diventa il genio che noi oggi conosciamo, la gente inizia a far girare strane leggende su di lui.
Il suo brillante modo di suonare viene attribuito ad un "Faustiano" patto con il Demonio. Il compositore non negò mai queste illazioni, anzi, fece di tutto per incoraggiarle.
Magrissimo, pallido in modo cereo, a causa della sifilide, e gli occhi rientranti nelle orbite; vestiva sempre di nero e si presentava ai suoi concerti su di una carrozza nera a sua volta trainata da quattro cavalli neri.
Aveva perso tutta la dentatura a causa del mercurio somministrato per curare la sifilide e la bocca gli era così rientrata e naso e mento si erano avvicinati (come i vecchi senza dentiera).
Quando Paganini suonava sul palcoscenico doveva davvero sembrare ad uno scheletro in frack con un violino incastrato sotto la mascella.
Nonostante la sua brutta figura ebbe moltissime amanti.
Grazie a tutte queste caratteristiche, l’immagine di Paganini era molto attraente e tutti accorrevano a sentirlo, o forse solo a vederlo. Ebbe un grande successo locale e internazionale.
La sua apparizione faceva lievitare il prezzo del biglietto d’ingresso e la sua immagine era sfruttata per la vendita delle “caramelle Paganini”.
Era in poche parole una “star”. Tutto ciò potrebbe naturalmente stimolare l’idea che la sua fama era dovuta più all’immagine e al suo virtuosismo che al suo talento artistico nei panni di “creatore”. Ma ciò non è vero perché le sue composizioni sono comunque molto originali e profonde.
Era dotato di una tecnica straordinaria e le sue composizioni erano considerate ineseguibili da un altro violinista.
Era velocissimo, compiva salti melodici di diverse ottave, eseguiva lunghi passi con accordi che coprivano tutte e quattro le corde, alternava velocemente note eseguite con l’arco e note pizzicate con la mano sinistra.
Eseguiva anche misteriosi e spettrali armonici artificiali. Ogni tecnica era portata all’eccesso e le sue violente esecuzioni finivano quasi sempre con la volontaria e progressiva rottura delle corde e la conclusione del concerto sull’unica corda superstite, quella di sol.
Nel letto di morte Paganini rifiuta l'estrema unzione Cattolica (infatti venne sepolto in terra consacrata molti anni più tardi).
Fra le sue composizioni più famose vi sono "Il trillo del Diavolo" e "Streghe" ed un'altra leggenda macabra si annida fra le corde del suo violino, il suo Stradivari.
Si dice infatti che queste fossero state fatte con le interiora di una delle amanti del musicista, che in preda alla follia si sia fatta uccidere in nome della musica, in modo che la sua anima diventasse un tramite fra i due mondi.
Ora quel violino appartiene al fenomenale musicista ungherese Edvin Marton
'Paganini non ripete'
Tutti conoscono queste parole ormai famose in tutto il mondo, ma pochi sanno quando e dove sono state pronunciate per la prima volta.
E' il febbraio del 1818 e al Teatro Carignano di Torino Niccolò Paganini esegue uno dei suoi straordinari concerti.
Tra il pubblico vi è anche Carlo Felice che, in seguito alla performance musicale del compositore, chiede la ripetizione di un brano.
Paganini, abituato ad improvvisare la sua musica e spesso -forse esagerando- lesionandosi i polpastrelli, decide di far pervenire questo messaggio al futuro re di Savoia:
"Paganini non ripete".
Al musicista genovese, in seguito a questo 'incidente diplomatico', viene tolto il permesso di eseguire il terzo concerto, previsto dalla sua tournée.
Offeso dal regale gesto, decide di annullare i concerti programmati a Vercelli e ad Alessandria.
All'amico avvocato Germi scrive:
"La mia costellazione in questo cielo è contraria. Per non aver potuto replicare a richiesta le variazioni della seconda Accademia, il Sig. Governatore ha creduto bene sospendermi la terza..." (25 febbraio 1818)
"In questo regno, il mio violino spero di non farlo più sentire" (11 marzo 1818)
Non sarà così però, poiché nel 1836 ritorna a Torino e ringrazia Carlo Alberto per la concessione di legittimazione del figlio Achille. Questa è la breve storia che ha determinato il successo di una della frasi più famose ereditate dal nostro passato.
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