domenica 10 novembre 2013

L'italia non è menzionata poiché non ha leggi e se le ha non vengono minimamente considerate.

Dalle porte aperte del Canada all'irraggiungibile Australia che non lascia avvicinare i barconi alle sue coste, passando per la Danimarca che paga gli immigrati per andarsene.



Tutti i Paesi del mondo "combattono" (è proprio il caso di dirlo) con i flussi migratori che a seconda dei momenti storici si intensificano.
E' naturale che gli Stati che più si trovano a fronteggiare il numero di migranti in arrivo sono quelli con le economie più floride, dagli Usa al Canada, passando per l'Australia e la Germania.
Ognuno ha trovato un approccio diverso, a seconda delle necessità (vedasi richiesta da parte del mondo del lavoro) e, soprattutto, delle possibilità.
Si va dalle porte aperte del Canada al divieto di sbarco in Australia.

Vediamo Paese per Paese come viene affrontato il tema dell'immigrazione e quello dell'asilo politico, che comunque - a differenza delle leggi sull'immigrazione - è sancito dalla Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati, siglata dalla maggior parte dei paesi occidentali il 28 luglio 1951.

Canada. Per combattere la mancanza di manodopera qualificata, sin dal boom economico degli anni '70 il Canada ha scelto politiche per l'immigrazione che sono particolarmente flessibili e aperte. Secondo gli ultimi dati, risalenti a tutto il 2010, circa il 21.3% dell'intera popolazione canadese è composto da immigrati. Ad aprile di quest'anno Toronto ha poi reso ulteriormente flessibile l'accesso al Paese e i visti di studio e di lavoro per persone con qualifiche specifiche (si va da ingegneri e architetti a carpentieri e cuochi per intenderci), in modo tale da attirare anche gli imprenditori stranieri e convincerli a insediarsi in Canada per portare avanti il loro business.
In sostanza, tutti gli immigrati che ricevono fondi da aziende o gruppi di investimento canadesi per il loro start-up possono immediatamente richiedere una residenza permanente.
Qualora gli affari dovessero andare male, l'imprenditore non è comunque soggetto ad alcuna deportazione e mantiene la residenza nel Paese, così come la possibilità di iniziare un nuovo business. Diritto di asilo politico.
Sulla pagina del governo canadese che riguarda i visti di ingresso nel Paese si legge in evidenza che "Ogni persona che patisce una persecuzione ha diritto a essere protetta". Il Canada ha riconosciuto il diritto all'asilo politico dal 1951, quando è stata siglata la Convenzione sullo status dei rifugiati a Ginevra.
Il diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della persona è anche inscritto nella Carta canadese dei Diritti e delle Libertà. In virtù di questo lo scorso agosto il governo canadese ha incoraggiato i gay di Russia , affinché chiedessero asilo a Toronto per sfuggire alle "persecuzioni" perpetrate dal Cremlino ai danni degli omosessuali.

Australia. Se il Canada è una sorta di paradiso per gli immigrati, l'Australia è per certo il loro inferno. Secondo i dati forniti dalle Nazioni Unite, nel 2012 l'Australia ha ricevuto circa 15.800 richieste di asilo, segnando un 37% in più rispetto al 2011. Il Dipartimento per l'Immigrazione e la Cittadinanza sancisce in modo netto che, in base al Migration Act del 1958, tutti i non cittadini o tutte le persone che risiedono illegalmente nel Paese devono essere arrestate e deportate.
Anche tutti coloro che hanno un visto scaduto rientrano nella categoria degli "illegali", inclusi i bambini e i figli dei richiedenti asilo. Tutti, nessuno escluso, non possono restare sul suolo australiano e vengono "deportati" in centri di detenzione , come quello di Manus Island in Papua Nuova Guinea.
Qui, in attesa dell'asilo, possono restare per mesi o anche lunghi anni.
Le organizzazioni per i diritti civili e umani hanno denunciato più volte le politiche migratorie australiane, ma l'unica risposta finora ricevuta dal governo è stato lo spostamento di alcuni bambini (non tutti) dai centri di detenzione alle "comunità di detenzione" o in case famiglia.
Ma, a febbraio di quest'anno risultavano ancora 1.060 bambini tra la popolazione del centro di detenzione di Papua Nuova Guinea. Nessun barcone di disperati può approdare in Australia, questo è poco ma sicuro.
E anche i fratellastri neozelandesi non scherzano in quanto a inflessibilità: una volta ottenuto il visto, se non si rispettano certi criteri si può essere deportati.
Lo sa bene lo chef sudafricano sovrappeso che, non corrispondendo alle tabelle della "buona salute" sancite dal ministero della Sanità di Wellington, è stato invitato a lasciare il territorio della Nuova Zelanda quanto prima.

Giappone. Dire che l'impero del Sol Levante ha leggi sull'immigrazione "restrittive" è un eufemismo. Il Giappone da secoli è promotore dell'isolazionismo culturale e, pertanto, ha sempre messo in campo politiche anti-migratorie, per scoraggiare i flussi nella sua direzione.
Al 2010 risultavano migranti sul territorio nipponico l'1.7% della popolazione totale. Ma, esattamente come per il Canada, il Giappone sta assistendo a un lento e inesorabile declino della natalità di casa, con conseguente invecchiamento della popolazione.
Secondo le analisi, nel 2060 il numero di cittadini giapponesi si ridurrà di un terzo rispetto ai 128 milioni di oggi. Un vero dramma per l'economia nipponica e così il governo di Tokyo ha deciso di correre ai ripari, aprendo le porte agli immigrati.
Sostanzialmente, il Giappone ha un sistema a punti per ottenere il visto di residenza e di lavoro sul suo territorio. Il nuovo sistema è entrato in vigore quest'anno: gli immigrati guadagnano punti sulla base del loro curriculum accademico o sulla loro esperienza nel settore degli affari. 
Tutti quelli che hanno delle capacità specialistiche (come docenti, medici e manager d'azienda) possono godere di una corsia preferenziale per ottenere un visto di residenza e lavoro.
Insomma, l'impero del Sol Levante premia con la green card i più meritevoli in vari campi.
Per tutti gli altri le porte restano serrate.

Stati Uniti. Gli Stati Uniti sono l'unico Paese al mondo dove il visto di residenza può essere ottenuto anche grazie a una cospicua dose di fortuna.
Negli Usa esiste la lotteria degli immigrati, che - pagando una quota di partecipazione - sognano che il loro nome venga estratto. Ma solo i cittadini provenienti da un Paese "con un basso tasso di immigrazione verso gli Usa" possono partecipare alla lotteria.
Gli Stati Uniti sono terra di frontiera da sempre.
Eldorado dei migranti di tutto il mondo, possono "vantare" la prima legislazione in merito datata 1790 (Naturalization Act). Negli ultimi due secoli si sono susseguite norme per fermare il flusso di migranti da particolari Paesi del mondo (come il Chinese Exclusion Act) e per fissare delle quote.
Ma è nel 1952 che viene creato un Servizio per la Naturalizzazione e l'Immigrazione.
Gli Usa permettono a più di 1 milione di migranti ogni anno di ottenere la residenza legale e hanno due diversi tipi di visto: uno per tutti coloro che desiderano vivere nel Paese a termine e che non sono da considerare "immigrati", pertanto per loro non vale la logica del numero massimo di visti dato ai diversi Paesi del mondo, e poi ci sono tutti coloro che vogliono lavorare negli Usa e che devono presentare un'offerta di impiego sul territorio americano e, contestualmente, l'azienda che sigla l'offerta deve presentare al dipartimento per l'Immigrazione un certificato che attesta che non c'è nessun altro lavoratore americano che possa ricoprire quel ruolo.
Infine, ci sono i visti per studenti, famiglie e turisti, che appartengono a una categoria separata e sono limitati nel tempo. Le macro-categorie si suddividono poi in una serie di sottocategorie, che vanno a normare casi specifici o particolari.
A luglio 2013 il Senato Usa ha votato la riforma sull'Immigrazione voluta dal presidente Barack Obama, che adesso dovrà andare al vaglio della Camera, dove si preannunciano le barricate dei Repubblicani.
La riforma voluta dal Presidente sin dal suo primo mandato promette un percorso che arriva fino alla cittadinanza per milioni di immigrati illegali che vivono e lavorano sul territorio statunitense, la maggior parte dei quali sono latinos.
In più, vengono stanziati nuovi fondi per rafforzare i controlli di frontiera con il Messico.

E adesso passiamo all'Europa.

La Svezia è il primo Paese dell'indice MIPEX (Migrant Integration Policy Index) ed è nota per l'accoglienza riservata ai profughi musulmani provenienti da aree di guerra (come Somalia, Iraq e Siria).
Ma con la crisi economica, il tasso di disoccupazione tra gli stranieri è balzato al 16% e in concomitanza si sono tenute numerose proteste contro gli immigrati accusati di "rubare" il lavoro agli svedesi.
Il governo sta valutando se ritoccare le politiche migratorie rendendole più rigide, in modo tale da far diminuire il flusso degli immigrati e, allo stesso tempo, cercare di placare la piazza.
Per quanto riguarda il diritto d'asilo, si calcola che nel 2012 il numero dei richiedenti sia salito di circa il 50% rispetto all'anno precedente, sfiorando le 44.000 persone.
Causa delle diverse guerre in Medio oriente e in alcune zone africane, ma è anche vero che - visto che il lavoro in Svezia è diminuito - molti migranti preferiscono scegliere direttamente la strada dell'asilo politico che li mette a carico del governo svedese.  
Spagna. Un boom economico lungo un decennio ha visto aumentare la popolazione di immigrati in terra spagnola dal 2 al 12%.
A fine 2010 il numero degli immigrati in Spagna toccava i 5.6 milioni di individui. Merito non solo dell'economia che andava a gonfie vele, ma anche delle politiche socialiste volute dal governo di José Luis Rodríguez Zapatero che erano particolarmente attente ai temi dell'immigrazione e che in totale apertura garantivano scuole, servizi e sanità a tutte le persone legalmente insediate in Spagna.
Ma tra immigrazione e integrazione ci passa il mare e così con l'inizio della crisi i rappresentanti locali del Partido Popular (che oggi è al governo con Mariano Rajoy) hanno cominciato a chiedere la "riduzione" degli ingressi e, al tempo stesso, la diminuzione dei servizi erogati agli immigrati.
Cosa che il premier Zapatero si è rifiutato di accettare. La Spagna è tra i Paesi europei più aperti nei confronti degli immigrati, ma negli ultimi due anni il flusso invece che in entrata è stato in uscita.
Chi vorrebbe più vivere in un paese in crisi profonda dove trovare lavoro è un miracolo?
Così, il governo conservatore di Rajoy ha lanciato la "residenza per arabi e russi", come è stata soprannominata.
Sostanzialmente, è possibile ottenere un visto per residenti in Spagna contestualmente all'acquisto di un immobile dai 500.000 euro in su.
La nuova norma entrerà in vigore il 1 gennaio del 2014 e molti ricchi europei (come i vicini francesi) già stanno pensando di comprare casa in Spagna per godere della residenza e quindi di un regime fiscale più basso.

Francia. Eurostat stima che in Francia ci siano 7.2 milioni di immigrati nati all'estero, che corrispondono a poco più dell'11% della popolazione totale.
Recentemente (a gennaio 2013) il pacchetto di norme volute dal governo dell'ex presidente Nicolas Sarkozy, che punivano con la detenzione dalle 24 alle 48 ore gli immigrati illegali, è stato superato dal voto dell'Assemblea generale che ha cancellato anche il cosiddetto "reato di solidarietà", che colpiva tutti coloro che aiutavano un immigrato illegale con il carcere fino a 5 anni e una multa pecuniaria non superiore ai 30.000 euro.
Le nuove misure per l'immigrazione allineano la Francia con gli altri Paesi europei, portando le ore di custodia per un immigrato illegale arrestato a 16 e depenalizzando l'aiuto dato agli illegali, qualora "motivato da ragioni umanitarie" e dove non si ravveda sfruttamento del lavoro.
Il ministro degli Interni Manuel Valls, in seguito al voto di gennaio 2013, ha nettamente preso le distanze dalle politiche del governo Sarkozy, annunciando tre nuove misure: un processo più rapido per le deportazioni (solo un terzo degli immigrati illegali arrestati durante la presidenza di Sarkozy è stato deportato), un monitoraggio più stringente sul lavoro dei giudici per l'immigrazione, andando a bacchettare le sentenze "fallimentari", ossia quelle che sfociano in appello e, infine, il cambio del sistema di raccolta dati.
Ad esempio, i "ritorni volontari" degli immigrati ai loro Paesi d'origine fino a qualche mese fa venivano ancora classificati come deportazioni.
Diritto di asilo politico. Il governo socialista del presidente François Hollande ha anche promesso una riforma delle leggi sull'immigrazione che renda più ampie le possibilità per i richiedenti asilo politico e i residenti di lungo corso. La riforma doveva approdare in Parlamento a settembre di quest'anno, ma se ne riparlerà nel 2014.
Troppo forti le pressioni del Front National capeggiato da Marine Le Pen, che chiedono di ridurre il numero degli immigrati e non di dare loro più diritti.
La Francia è il secondo Paese in Europa per richieste di asilo politico, con un totale di 61.000 domande a fine 2012.

Germania. Berlino è l'Eldorado europeo di centinaia di migliaia di migranti ogni anno. L'economia va bene, il lavoro c'è, e in tanti sognano di trasferirsi in Germania, terra abituata da sempre a notevoli flussi migratori, basti pensare a quelli "interni" tra Est e Ovest dopo la caduta del Muro.
Ma, nonostante questo, non esiste alcun meccanismo formale per regolarizzare la posizione della maggior parte di questi immigrati. Tra il 1955 e il 1973 la Germania (occidentale) ha reclutato circa 14 milioni di immigrati come "lavoratori ospiti" (Gastarbeiter). Alla fine del programma molti datori di lavoro non hanno voluto cercare nuovi dipendenti provenienti da fuori e hanno preferito sostenere quelli già sul territorio tedesco e che avevano acquisito un'esperienza.
Ma il loro status non è stato formalmente sancito, e oggi la Germania si trova in una situazione in cui gli immigrati di terza generazione (nati sul territorio tedesco) vengono ancora classificati come "figli di lavoratori ospiti", e una volta diventati adulti devono aspettare a lungo, anche anni, prima di poter avere la cittadinanza.
La Commissione insediata ad hoc per definire le leggi sull'immigrazione nel 2001 ha suggerito un approccio più flessibile nei confronti dei non-cittadini. Sulla scia di ciò due atti, nel 2005 e nel 2007, sono stati fortemente criticati per non facilitare la naturalizzazione degli individui senza documenti, soprattutto quelli impiegati con bassi redditi.
Secondo la legislazione del 2007, per diventare cittadino tedesco un lavoratore al di fuori dell'Unione europea deve dimostrare di avere un reddito annuo di almeno 85.000 euro e deve essere in possesso di un passaporto (cosa praticamente impossibile per i richiedenti asilo politico).
Insomma, se paragonato a Francia, Italia e Spagna, il sistema tedesco punta a essere molto più restrittivo sulle regolarizzazioni generali e molto più flessibile riguardo alla naturalizzazione/regolarizzazione di piccoli gruppi di "immigrati privilegiati".

Danimarca. Il caso danese è considerato molto controverso ed è oggetto di feroci critiche da parte delle organizzazioni per i diritti umani.
Il governo offre incentivi per lasciare il Paese agli immigrati che non riescono a integrarsi con la cultura della Danimarca. Gli incentivi sono una "conquista" del partito xenofobo Danish People's Party, che sul suo sito recita: 
La Danimarca non è un paese per immigrati e non lo è mai stato. Per questo noi non accetteremo la trasformazione in una società multietnica".
Centrale nelle politiche anti-immigrazione danesi è la cosiddetta "legge dei 24 anni", secondo la quale uno sposo/sposa straniera di un cittadino danese può richiedere la cittadinanza solo se entrambi hanno compiuto il ventiquattresimo anno d'età.
Nel caso in cui lo sposo/sposa sia un rifugiato o abbia figli nati in Danimarca o sia gravemente malato o soffra di handicap, la norma decade.

Gran Bretagna. Il Regno Unito ha visto drammaticamente aumentare il sumero degli immigrati negli ultimi 10 anni. Sono passati dai circa 4.5 milioni del 2001 a 7.5 milioni a fine 2011 e le politiche sull'immigrazione sono entrate di diritto nel dibattito politico, proprio nella cosiddetta "patria del multiculturalismo". A breve il Parlamento britannico discuterà un disegno di legge contenente le ultime norme sull'immigrazione, ben più restrittive di quelle attualmente in vigore.
E' previsto il rimpatrio immediato per tutti coloro che arrivano in Gran Bretagna con precedenti penali o per coloro che commettono reati sul suolo britannico.
Vengono poi ridotte da 17 a 4 le motivazioni di richiesta d'asilo politico.

Panorama.it

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