sabato 9 novembre 2013

Amare troppo il proprio figlio è fuorviante per il bambino



La gestazione ha effetti diretti anche sul cervello e sugli altri organi del bambino, in quanto recenti ricerche hanno dimostrato che il feto è sensibile ad ogni modificazione umorale e ormonale della madre.
Un recente studio apparso su Developmental and Behavioral Pediatrics ha confermato che il livello di sviluppo del cuore fetale può essere influenzato negativamente quando la madre soffra di ansia cronica e situazioni stressanti che modificano i parametri cardiocircolatori, come la pressione sanguigna.
Quello che fare i figli sia un dato talmente acquisito, naturale da non aver bisogno di essere indagato è un equivoco culturale.
E l’equivoco non si ferma qui dato che nell’opinione comune si sottolinea la mancanza di cure come comportamento criticabile, mentre le eccessive attenzioni materne sono giudicate positive. Una stessa donna può vivere gravidanze diverse nel corso della sua vita, dal punto di vista del vissuto emotivo, che cambia a seconda del rapporto con la famiglia di origine, del rapporto col partner, del supporto sociale di cui gode, del lavoro, delle aspirazioni e ambizioni, delle relazioni con altri figli, aborti, ecc. ecc.
Non c’è dubbio che ogni gestazione porti con se aspettative elevatissime, sul figlio che sarà, sul fatto che stabilizzerà il rapporto di coppia o che al contrario arrivi in un momento inopportuno, che si sia pensato a rinunciarci, che il partner o la donna stessa non lo desideri, che sia frutto di una passione, di un amore consolidato o di una violenza.
Per ciascuna di queste situazioni c’è una madre diversa e un bambino assolutamente unico che in parte è figlio della situazione e della temperatura emotiva in cui viene al mondo.
La stessa madre non ama i diversi figli nello stesso modo e su ciascuno di essi investe in misura differente.
Molti studiosi dell’evoluzione ritengono che il piccolo dell’essere umano venga al mondo ancora immaturo e per tale ragione ha bisogno di lunghe cure materne prima di essere indipendente, cure che durano più a lungo di qualsiasi altro mammifero sulla terra.
Il ‘costo’ è quello di una estrema dipendenza dalla madre, che lo deve allattare e nutrire, con una dedizione che qualsiasi madre definirà molto faticosa.
Ma questo programma funziona grazie ad un processo chiamato ‘attaccamento’.
Come abbiamo detto, la madre che preoccupa è quella che mostra di non aver sviluppato un attaccamento nei confronti del bambino, quella che lo ignora, che non prova alcun legame, alcun sentimento, o al contrario, ha repulsione.
Non lo attacca al seno e in alcuni gravi casi nega di averlo partorito.
Al contrario, la madre che sta occhi negli occhi col neonato, lo allatta più volte al giorno e soddisfa ogni sua richiesta è, agli occhi del mondo, una buona madre che si dedica al bambino con abnegazione.
Come spesso accade però le cose non sono sempre ciò che sembrano e molto di questo rapporto è determinato dai sentimenti della madre.
La parola chiave per parlare di eccesso di attenzioni materne, quello che chiamerei “ipermaternage” e che gli anglosassoni definiscono “over-protection” è BISOGNO.
Infatti se un atteggiamento materno equilibrato mette al centro dell’attenzione i bisogni del neonato prima e del bambino poi, un rapporto diadico (termine della psicologia sociale) ) sbilanciato invece tiene conto dei bisogni della madre prima di tutto.
Sentite cosa dice la professoressa Marisa Malagoli Togliatti prof.ordinario di Psicodinamica dello Sviluppo e delle Relazioni Familiari e Psicoterapeuta familiare:
“Il neonato dalla nascita è in grado di costruire relazioni interpersonali.
La professoressa Elizabeth Fivaz dell’Università di Losanna ha dimostrato che i bambini già a tre mesi sono capaci di costruire interazioni significative che comprendono oltre la madre altre figure significative, come il padre o i nonni o chi si assume il ruolo di caregiver.
Esplorare il mondo attraverso le relazioni interpersonali è un processo evolutivo fondamentale per un corretto sviluppo.
Ci sono madri che manipolano il processo di attaccamento orientando l’attaccamento del bambino solo verso se stesse e impedendo di fatto che il neonato “esplori” altre possibili relazioni.
Si tratta, in genere, di donne che soffrono di insicurezza e ansia, che temono di essere giudicate ‘cattive’ o inadeguate, che hanno bisogno di rispondere ad un ruolo o di assumere quello di madre come compito unico, secondo uno stereotipo sociale
Ma può trattarsi anche di donne insicure della propria femminilità oppure che hanno problemi col partner e allora si legano al neonato in modo esclusivo”.
E’ noto che la gravidanza e la nascita di un bambino crea un certo “scompiglio” in una coppia, si rende necessaria una riorganizzazione dei ruoli e delle relazioni sia all’interno della coppia che della famiglia estesa.
Tale riorganizzazione è fisiologica e necessaria, ma in talune situazioni diventa problematica nel caso in cui il rapporto col figlio sia basato sulla soddisfazione di bisogni di dipendenza affettiva in modo in modo simbiotico.
In questi casi la madre sembra ‘usare’ il bambino per essere rassicurata, ribaltando i ruoli. “In genere” continua Malagoli “queste donne hanno avuto a loro volta, madri iperprotettive dalle quali hanno ‘ereditato’ un modello di comportamento.
Altra fattispecie è quella di donne che hanno avuto genitori non adeguati o abusanti in senso sia fisico che psicologico.
O ancora donne che non tollerano la solitudine, che inseguono un impossibile desiderio di essere “amate” o meglio di essere sempre al centro dell’attenzione”.
Il modello di comportamento è ‘totalizzante”, queste donne si ritengono le uniche in grado di capire il bambino, le uniche destinate al dialogo con lui, le uniche destinate a “salvarlo” dai pericoli del mondo.
Se “esagerano” a lungo in tali comportamenti possono inibire nel figlio la possibilità di esplorare il mondo ovvero i rapporti sociali. L’allattamento prolungato, oltre i canonici sei mesi sino a due, tre ma anche quattro anni è un ‘sintomo’ piuttosto comune di un atteggiamento ipermaterno.
Se anticamente era considerato un mezzo anticoncezionale e quindi il metodo aveva un suo razionale, dimostratosi poi privo di efficacia, oggi si riscontra spesso in soggetti con personalità anoressica che tentano di esercitare un controllo sul comportamento alimentare del bambino proprio come hanno fatto o farebbero con loro stesse.
In altri casi l’allattamento prolungato è una forma di autogratificazione, di narcisismo: l’allattamento è mediato da sostanze chimiche uguali a quelle dell’orgasmo e può dare sensazioni molto gratificanti affini al piacere sensuale, anche se molte donne non sono disposte ad ammetterlo.
Riprendiamo il discorso con la professoressa Malagoli: “Il bambino sottoposto a queste ‘attenzioni’ diventa spesso aggressivo, possessivo, ipercinetico oppure ‘evitante’ cerca di sfuggire a questo controllo che da rassicurante diventa opprimente e angoscioso.
Mette in atto insomma un tentativo non organizzato di sfuggire a queste attenzioni ma è destinato a scontrarsi con i propri sensi di colpa e le minacce di abbandono della madre.
Sono minacce talora sottili ma arrivano e raggiungono il segno: il messaggio che si veicola è la punizione negando l’amore, la madre minaccia di abbandonarlo, di andare via.
Il figlio è condannato ad una dipendenza che non prevede emancipazione né fisica né psichica.
La domanda è che uomo sarà in futuro?
Come si rapporterà socialmente? 

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