giovedì 19 settembre 2013

Popoli della valle dell'Omo....Dove la "civiltà" avanza a braccetto con i soldi i popoli muoiono in massa

Un gigantesco progetto idroelettrico minaccia i popoli della bassa Valle dell’Omo.
Hanno abitato nella valle per secoli grazie ad efficaci tecniche di sostentamento alimentate dalle piene naturali del fiume Omo.
Ma oggi le tribù rischiano di perdere la loro indipendenza e la sicurezza alimentare, senza esser state nemmeno consultate.

Accaparramento di terre e reinsediamenti forzati
Nel 2011 il governo ha cominciato ad affittare enormi appezzamenti di terra fertile nella regione della bassa valle dell’Omo ad aziende malesi, italiane, indiane e coreane, specializzate nella coltivazione di palma da olio, jatropha, cotone e mais per la produzione di biocarburanti.
Per far spazio al grande progetto statale chiamato Kuraz Sugar Project, che potrebbe fagocitare un’area di 245.000 ettari, le autorità hanno iniziato a sfrattare dalle loro terre i Bodi, i Kwegu e i Mursi, trasferendoli in campi di reinsediamento.
Sono in fase di reinsediamento forzato anche i Suri che vivono ad ovest dell’Omo, sfrattati per far posto alla piantagione di palma da olio “Koka”.
I granai delle comunità e i loro preziosi pascoli sono stati distrutti. Chi si oppone al furto delle proprie terre, viene sistematicamente picchiato e confinato in prigione.
Numerose sono le denunce di stupro e persino di uccisione degli indigeni da parte dei militari che pattugliano la regione per tutelare gli operai che lavorano alle infrastrutture e alle piantagioni.

A Bodi, Mursi e Suri è stato intimato di liberarsi delle mandrie, che rappresentano una parte essenziale del loro sostentamento, e che nei campi di reinsediamento (dove forse potranno tenere solo qualche capo di bestiame), dovranno dipendere totalmente dagli aiuti governativi.
La diga alimenterà centinaia di chilometri di canali di irrigazione deviando l’acqua verso le piantagioni.
Non è stato effettuato nessuno studio di valutazione d’impatto ambientale o sociale sulle piantagioni e sugli schemi di irrigazione, e i popoli indigeni interessati non sono stati consultati.
Nonostante abbiano incontrato rappresentanti dei Mursi e dei Bodi e abbiano potuto ascoltare le loro testimonianze sulle gravi violazioni dei diritti umani in corso, Regno Unito e Stati Uniti, i due maggiori donatori all’Etiopia, hanno rinunciato a investigare su queste accuse.

La bassa Valle dell’Omo è un territorio di grande bellezza, in cui ecosistemi diversi si intersecano con una delle ultime foreste pluviali sopravvissute nelle regioni aride dell’Africa sub-sahariana. Ad alimentare la straordinaria biodiversità della regione e garantire la sicurezza alimentare dei suoi popoli sono le piene stagionali del fiume, prodotte dalle piogge degli altipiani.
Seppur in modi diversi, tutti i popoli della valle dipendono da una varietà di tecniche di sostentamento che si alternano e completano a vicenda con il mutare delle stagioni e delle condizioni climatiche: le coltivazioni di sorgo, mais, fagioli nelle radure alluvionali lungo le rive dell’Omo, le coltivazioni a rotazione nelle foreste pluviali e la pastorizia nelle savane o nei pascoli generati dalle esondazioni. Presa singolarmente, nessuna di queste attività è sufficiente a garantire loro la sopravvivenza. Ma, nel loro insieme, riescono a scongiurare ogni avversità climatica dando un contributo vitale alle loro economie.
Questi popoli hanno tra loro una rete consolidata di alleanze etniche, possono accedere alle risorse generate dalle piene dell’Omo nei momenti del bisogno, specialmente in caso di siccità e carestie.
Senza voce I popoli della valle dell’Omo soffrono da anni per la progressiva perdita di controllo e di accesso alle loro terre.
Negli anni ’60 e ’70, nei loro territori sono stati istituiti due parchi nazionali dalla cui gestione i popoli indigeni sono stati esclusi.
Nelle aree protette, la caccia è permessa ai turisti ma non ai popoli indigeni, esposti in tal modo alla malnutrizione.
Negli anni ’80, inoltre, parte delle loro terre sono state trasformate in grandi fattorie irrigate e controllate dallo stato mentre recentemente il governo ha iniziato a convertire altre aree in vaste piantagioni per la produzione di biocarburanti.
Anche se la costituzione etiope garantisce ai popoli indigeni il diritto al libero, prioritario e informato consenso su progetti destinati ad avere un impatto sulle loro vite, di fatto le comunità indigene restano per lo più ignare delle politiche implementate dal governo e non vengono mai consultate in modo appropriato. 
I funzionari dell’USAID che hanno visitato la bassa valle dell’Omo nel gennaio 2009 per valutare l’impatto della diga Gibe III hanno reso noto che le comunità indigene locali non sapevano nulla del progetto. censurare il dissenso, nel febbraio 2009, il governo etiope ha varato il decreto 621/2009.
Il provvedimento impedisce a qualsiasi associazione o Ong locale che riceva più del 10% dei suoi finanziamenti da fondi esteri (quindi virtualmente tutte le associazioni esistenti nel paese) di lavorare in settori cruciali per la società civile tra cui quello dei diritti umani e della partecipazione democratica.
Nel luglio 2009, l’ufficio giudiziario della regione meridionale ha revocato il riconoscimento a 41 “associazioni comunitarie” locali con l’accusa di non cooperare con le politiche governative. Secondo molti osservatori, si è tratta di una manovra del governo effettuata per sradicare qualsiasi dibattito d’opposizione alla diga. 
 

La diga Gibe III Nel luglio del 2006, il governo etiope ha appaltato alla società italiana Salini Costruttori la realizzazione del più grande progetto idroelettrico mai concepito nel paese.
Con i suoi 240 metri di altezza, la Gibe III è destinata a diventare la più alta diga mai realizzata al mondo con quel tipo di tecnologia, capace di produrre energia per 6.500 GWh all’anno.
Iniziati nel 2006 subito dopo la firma della commessa da 1,4 miliardi di euro, oggi i lavori di costruzione sono già arrivati a circa metà del totale e i suoi costi continuano a lievitare.
La diga sbarrerà il corso centro-settentrionale dell’Omo, il fiume che scorre impetuoso per 760 km dall’altopiano etiope fino al Lago Turkana, al confine con il Kenya.
Il fiume attraversa i parchi nazionali Mago e Omo e, nel 1980, il suo bacino è stato inserito nell’elenco dei Patrimoni dell’Umanità dell’Unesco per la sua particolare importanza geologica e archeologica.
Le leggi ambientali etiopi vietano la realizzazione di progetti che non siano stati preventivamente sottoposti a complete valutazioni di impatto ambientale e sociale (Environmental Social Impact Assessment – ESIA).
Nonostante questo, l’Authority etiope per la protezione dell’ambiente (EPA) ha approvato retroattivamente le valutazioni d’impatto della Gibe III solo nel luglio 2008, con quasi due anni di ritardo, e senza effettuare le necessarie consultazioni pubbliche.
Il contratto tra la Salini e l’azienda energetica etiope EEPCo, inoltre, è stato concluso senza gara d’appalto, in aperta violazione delle severe leggi etiopi volte a prevenire la corruzione nel settore delle grandi opere pubbliche.
L’appalto a trattativa diretta è una grave anomalia che non si conforma nemmeno alle procedure di finanziamento previste dalla Cooperazione italiana allo Sviluppo né a quelle applicate in materia dalla Banca Africana di Sviluppo, dall’Unione Europea e dalla Banca Mondiale.
Gli studi di impatto della diga Gibe III 
(ESIA) sono stati effettuati dall’agenzia milanese CESI per conto dell’azienda energetica etiope EEPCo e della società costruttrice Salini.
Pubblicati in versione definitiva nel gennaio 2009, i suoi risultati sono saldamente favorevoli al progetto, il cui impatto sull’ambiente e sulle popolazioni interessate viene valutato come “trascurabile” o addirittura “positivo”.
Ma in molti ne hanno messo in dubbio l’attendibilità e l’indipendenza. ‘Le analisi [del CESI] si basano su una serie di false premesse e sono ulteriormente compromesse da massicce omissioni, distorsioni e offuscamenti.
AFRICA RESOURCES WORKING GROUP (ARWG) ’ Secondo numerosi esperti indipendenti, la diga, le piantagioni e i canali di irrigazione avranno un enorme impatto sui delicati ecosistemi della regione e sulle comunità indigene che abitano lungo le sponde del fiume fino al suo delta, al confine con il Kenya.
La portata dell’Omo – denunciano gli scienziati – subirà una drastica riduzione. Il fenomeno interromperà il ciclo naturale delle esondazioni che periodicamente riversano acqua e humus nella valle alimentando le foreste e rendendo possibile l’agricoltura e la pastorizia nei terreni rivivificati dalla acque.
Tutte le economie di sussistenza legate direttamente e indirettamente al fiume collasseranno compromettendo la sicurezza alimentare di almeno 200.000 persone in Etiopia.
Popoli come i Kwegu, che vivono solo di pesca e caccia, saranno devastati.
La competizione per le scarse risorse disponibili aumenterà anche i conflitti inter-etnici.
Gravissime, denunciano gli scienziati, anche le ripercussioni sul lago Turkana del Kenya, che riceve più del 90% delle sue acque dal fiume Omo.
Il drastico abbassamento del livello del lago potrebbe compromettere irreversibilmente le possibilità di sostentamento di almeno altre 300.000 persone tra cui i Turkana e i Rendille, che dal lago dipendono per pescare e procurarsi acqua potabile.

Dossier e documenti per approfondimenti:

- Il dossier di International Rivers La Diga Gibe III in Etiopia – Causa di carestie e conflitti (in italiano).
- Il dossier dell’associazione Campagna per la Riforma della Banca Mondiale (CRBML’Affare Gilgel Gibe – Tutto quello che la cooperazione non dovrebbe fare (in italiano).
Lake Turkana and the Lower Omo – Hydrological Impacts of Major Dam and Irrigation Projects (Il lago Turkana e la bassa Valle dell’Omo – Impatti idrologici di una grande diga e dei progetti di irrigazione) è stato pubblicato dal Centro Studi africani dell’Università di Oxford.
Humanitarian Catastrophe and Regional Armed Conflict Brewing in the Transborder Region of Ethiopia, Kenya and South Sudan (Catastrofe umanitaria e conflitto regionale armato nella zona di confine tra Etiopia, Kenya e Sud Sudan), pubblicato dall’Africa Resources Working Group.
The Downstream Impacts of Ethiopia’s Gibe III Dam – East Africa’s Aral Sea in the Making? (L’impatto a valle della diga Gibe III in Etiopia – Il futuro lago d’Aral dell’Africa Orientale?) pubblicato da International Rivers.
- Il dossier dell’Istituto Oakland Omo Land Deal Brief (in inglese).


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