lunedì 11 marzo 2013

Il fuoco greco

Il fuoco greco (greco ὑγρόν πῦρ - hygrón pyr) era una miscela incendiaria usata dai bizantini per dar fuoco al naviglio avversario o a tutto quello che poteva essere aggredito dal fuoco.


L'espressione "fuoco greco" era utilizzata soprattutto dai popoli stranieri, poiché i bizantini, in realtà «romei», cioè romani dell'impero romano d'Oriente, lo chiamavano fuoco romano, fuoco artificiale o fuoco liquido.
La formula della miscela che componeva il "fuoco greco" era nota soltanto all'imperatore e a pochi artigiani specializzati ed era custodita tanto gelosamente che la legge puniva con la morte chiunque avesse divulgato ai nemici questo segreto.Anche gli studiosi moderni hanno molte difficoltà a determinarne con precisione le componenti.
La sua invenzione si attribuisce a un greco originario della città di Eliopolis (oggi Baalbek in Libano), di nome Callinico - I Bizantini sfruttarono quest'arma che impiegarono con estremo successo nella loro resistenza contro gli invasori.
Il fuoco greco bruciava sull'acqua, su questo non ci sono dubbi.
Ne segue che esso dovesse essere composto da greggio a cui si può pensare fosse aggiunto del salnitro più dello zolfo e della pirite, come indicato nella formula trasmesse da Giulio Africano già a partire dal 300 d.C, ma probabilmente anche della calce viva
Rimane però ancora piuttosto oscuro il metodo di lancio di quest'arma davvero efficace nei combattimenti navali e negli assedi.
Secondo l'imperatore Leone VI nei suoi Tactica, il fuoco greco veniva lanciato contro il nemico attraverso dei tubi di rame.
Il lancio vero e proprio era preceduto da uno scoppio che serviva a incendiare ed espellere il fuoco.
Saremmo quindi di fronte a veri lanciafiamme dotati di una miscela d'innesco e d'espulsione probabilmente composta da gas e da una seconda miscela di combustione a base di petrolio greggio.
Non bisogna dimenticare che le terribili conseguenze provocate dal fuoco greco costituivano solo una delle cause del terrore che gli assaliti provavano alla vista del suo utilizzo.
Molto spesso i tubi di lancio venivano mimetizzati in statue di vario materiale aventi le fattezze di mostri mitologici come chimere, draghi e altro che colpivano subito l'immaginazione dei soldati semplici (e non solo) in particolare se non avevano mai avuto contatti precedenti con l'arma segreta di Bisanzio.
Una magia segreta che bruciava sull'acqua e lanciata da esseri fantastici; vi erano elementi a sufficienza per sconvolgere le menti di quel popolino poco acculturato da cui erano tratti in larga parte gli eserciti medioevali.
La caratteristica che rendeva temuti questi primitivi lanciafiamme era che, a causa della reazione della calce viva, non poteva essere spento con acqua, che anzi ne ravvivava la forza, e di conseguenza le navi, realizzate in quel periodo in legno, coi comenti dello scafo impermeabilizzati tramite calafataggio e con velatura, sartie e drizze in fibre vegetali, anch'esse intrise di pece, erano destinate a sicura distruzione.
Lo storico Marco Greco ci fornisce una semplice ricetta di tale miscuglio e afferma che l'unico modo per spegnerlo era quello di usare urina, sabbia o aceto.
Fu proprio l'utilizzo del fuoco greco che fece fallire il secondo assedio di Costantinopoli, condotto dagli Arabi musulmani fra il 717 e il 718.
Ma anche in altre occasioni l'arma fornì servigi essenziali a Costantinopoli e ad altre città dell'Impero bizantino per sfuggire ai loro assedianti.

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