giovedì 28 febbraio 2013

Se il permafrost inizia sciogliersi

Le analisi condotte sulle formazioni rocciose di alcune grotte in Siberia mostrano come un riscaldamento di modesta entità potrebbe tradursi in un grande scongelamento dagli effetti devastanti.



I terreni dove il suolo risulta sempre completamente ghiacciato (da un arco di tempo di almeno diversi anni), chiamati convenzionalmente permafrost, costituiscono circa un quarto della superficie totale delle terre emerse; per la precisione, un 20% del globo ma un 24% per quanto riguarda l’emisfero settentrionale.
Facile immaginare, dunque, come una semplice alterazione in questo equilibrio potrebbe aprire a conseguenze difficili da prevedere negli effetti e, soprattutto, da gestire: ebbene, secondo un gruppo di studiosi che ha recentemente condotto una ricerca i cui risultati sono stati pubblicati da Science, tale alterazione potrebbe verificarsi in modalità relativamente rapide se la temperatura globale aumentasse di 1.5° Celsius, a cominciare dai ghiacci della Siberia.
Se si considera che il 2012 è stato l’ennesimo anno record per il riscaldamento globale, seguendo un trend di crescita iniziato alla fine degli anni ’90, lo scenario prospettato dagli scienziati non sembrerebbe tanto distante nel tempo.
Il racconto della storia terrestre scritto nelle rocce.
Gli scienziati, guidati dal professor Anton Vaks, del dipartimento di scienze della Terra dell’università di Oxford, hanno ricostruito la storia di scioglimento e consolidamento del permafrost siberiano grazie ai dati “scritti” all’interno di stalattiti e stalagmiti presenti in diverse grotte, formatesi nel corso di migliaia e migliaia di anni: una sorta di registro, per chi è in grado di leggerlo, che narra dei periodi più freddi o più caldi a cui è andata incontro questa parte del nostro Pianeta; diversi punti delle strutture di queste formazioni minerali corrispondono a diversi momenti della storia della Terra.
Ad esempio, in una delle cave settentrionali prese in esame, gli studiosi hanno individuato in una stalattite una fase di forte accrescimento corrispondente ad un periodo collocato, orientativamente, circa 400 000 anni fa, quando la temperatura terrestre era più alta di 1.5° Celsius rispetto a quella dell’età preindustriale (all’epoca di quella che viene chiamata la piccola era glaciale): tale accrescimento sarebbe stata la conseguenza di uno scioglimento del permafrost della regione che quindi, concludono gli studiosi, era stato intaccato da un innalzamento di temperatura tutto sommato modesto e che, con buone probabilità, potrebbe verificarsi nel giro di pochi decenni, agli attuali ritmi.
Il punto critico - Un diffuso scioglimento del permafrost innescherebbe una serie di conseguenze gravissime per l’ambiente, a partire dal rilascio nell’atmosfera di enormi quantità di metano ed anidride carbonica che finirebbero per innalzare ulteriormente le temperature: ad ogni modo tale processo potrebbe avvenire anche piuttosto lentamente, ritardando l’emissione nell’aria dei temuti gas serra che, va ricordato, non farebbero altro che andarsi a sommare a tutti quelli che già provengono dalle attività antropiche.
Il fenomeno, insomma, potrebbe verificarsi su scala più piccola, come indicherebbero anche i risultati delle analisi condotte su stalattiti e stalagmiti di un’altra grotta siberiana, chiamata Ledyanaya Lenskaya e situata nei pressi della città di Lensk, nelle quali non è stato riscontrato alcun segnale riconducibile allo scioglimento del permafrost: cionondimeno, Anton Vaks ha sottolineato come quell’innalzamento di 1.5° possa essere considerato a buon diritto come un punto critico, giunto al quale il nostro pianeta inizia a manifestare significative trasformazioni.
Attualmente, le temperature medie sono superiori di circa 0.6 – 0.7 gradi ai livelli preindustriali: questo significa, in accordo con le conclusioni di Vaks, che i modelli e le prospettive di un futuro non troppo lontano della Terra includono la possibilità che il permafrost inizi a sciogliersi. 

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