martedì 19 febbraio 2013

Leptis Magna

La città romana di Leptis, in seguito chiamata Magna, sorse sul luogo di un precedente centro fenicio, in un punto propizio ai commerci, poiché di qui passavano alcune vie carovaniere che mettevano in comunicazione la costa con l’interno. L’insediamento originario, che era poi entrato nell’orbita cartaginese, si era concentrato vicino al mare, a occidente dell’Uadi Lebdah, un torrente presso la cui foce si sarebbe sviluppato il porto.
 La città conobbe i primi impianti monumentali in senso romano alla fine del I secolo a. C., dopo che il territorio della Tripolitania era stato inglobato nella provincia dell’Africa proconsularis. In quest’epoca, infatti, alcuni facoltosi cittadini finanziarono la costruzione di importanti edifici, che denunciavano chiaramente la volontà di adeguamento ai modelli dell’Urbe, sebbene la cultura locale fosse romanizzata soltanto in superficie e la lingua d’uso fosse ancora il punico, come attestano iscrizioni ufficiali. Gli stessi nomi propri rivelano chiaramente le radici etniche di questi personaggi, come Annobal Tapapius Rufus, che fece costruire il “macellum” (il mercato cittadino) e il teatro, e Iddibal Caphada Aemilius, che edificò il “chalcidicum” (con tutta probabilità interpretabile come un altro impianto commerciale). Di questo secondo notabile ci è giunto il ritratto, un fondamentale documento non solo della scultura tripolina del periodo, ma anche del grado di assimilazione culturale raggiunta dal ceto dominante, il quale si faceva rappresentare secondo i canoni classici, pur rimanendo ben riconoscibile nei suoi tratti somatici di origine africana.
 All’eta augustea si datano importanti interventi nell’aerea del vecchio foro, che assunse una fisionomia monumentale del tutto nuova. Sul lato settentrionale della piazza, luogo già riservato al culto delle due divinità protettrici della città, fu dedicato un tempio corinzio a Roma e Augusto, sul sito del precedente edificio in onore di Milk’ashtart. Accanto ad esso, l’altro edificio sacro preesistente, quello di Shadrapa, fu rimedicato al suo corrispettivo romano Liber Pater, cioè Bacco. Anche Milk’ashtart fu reinterpretato secondo il criterio romano e al suo culto fu allora associato il nuovo tempio di Ercole, sorto presso l’angolo nord-orientale della piazza, che assunse così una forma trapezoidale. Una basilica, dall’asse maggiore perpendicolare a quello dell’intero complesso forense, occupò poi interamente il lato opposto, secondo uno schema ben noto da numerosi esempi italici. A completare la sequenza degli edifici civili, a oriente della basilica si aggiunse infine la curia, sede dei magistrati cittadini, in forma di tempio esastilo su podio racchiuso da una cinta porticata. Nella tipologia planimetrica, come nelle soluzioni architettoniche impiegate, tutte queste nuove realizzazioni mostrano una stretta dipendenza da modelli della città di Roma, o comunque italici. Questo vale non soltanto per gli edifici a destinazione specificamente religiosa e civile, ma anche per impianti di natura diversa come il teatro, la cui cavea è coronata da un tempietto, dedicato a Ceres Augusta, che ricorda molto da vicino la soluzione adottata nel teatro di Pompeo, costruito a Roma nel 55 a.C. Per quanto riguarda il tessuto urbano un indizio importante di come esso possa essersi articolato nel tempo è dato proprio dalla posizione dei monumenti di nuova fondazione. Il “macellum”, infatti, mostra un’orientazione non perfettamente allineata con il reticolo viario circostante, mentre quella del teatro e dell’adiacente “chalcidicum” colima con gli isolati che da qui si estendono verso sud-ovest, che però sappiamo essere stati tracciati in forma definitiva soltanto qualche decennio dopo. Perciò questi interventi monumentali si collocarono, all’origine, in una zona cittadina il cui sviluppo era stato già deciso e pianificato, ma che non aveva ancora ricevuto una definitiva regolarizzazione negli isolati e nei tracciati stradali. Il “cardo maximus” della città, che passava a oriente di questi edifici, presenta infatti una sensibile deviazione in corrispondenza del punto in cui fu eretto un arco dedicato all’imperatore Tiberio. Nel corso del II secolo d. C., oltre all’erezione di altri archi, come il tetrapilo di Traiano, ancora lungo il “cardo”, e quelli di Antonino Pio e Marco Aurelio lungo il “decumanus maximus”, l’intervento monumentale di maggiore rilievo fu senza dubbio la costruzione delle grandi terme di Adriano, a poca distanza dall’Uadi Lebdah. Esse segnano una tappa importante anche nell’uso dei materiali architettonici, poiché, per la prima volta a Leptis, furono impiegati elementi in marmo, mentre, prima di allora, si era sempre fatto ricorso al calcare locale. L’orientazione del complesso è poi completamente divergente rispetto agli isolati vicini, certo per la forma dello spazio disponibile, ma forse anche per la volontà di disporre l’edificio lungo un asse più favorevole all’esposizione solare, come avveniva nei grandi impianti termali di Roma. L’imperatore Settimio Severo era nativo di Leptis. Non fa dunque meraviglia che la città abbia raggiunto il suo momento di massimo splendore in età Severiana, tra la fine del Ii e i primi decenni del III secolo d. C. In questo periodo fu costruito un nuovo, grande foro in una zona posta nelle vicinanze dell’Uadi Lebdah. Qui fu realizzata una piazza porticata, con un grandioso tempio dinastico su alto podio al centro di uno dei lati brevi. Dalla parte opposta fu invece costruita un’enorme basilica a tre navate. La decorazione architettonica dell’intero complesso era particolarmente curata: nella piazza una fila di medaglioni in marmo raffiguranti teste, perlopiù di Gorgonie, si disponeva tra le arcata dei portici, mentre il tempio era ornato con scene di Gigantomachia nei plinti delle colonne. Anche l’interno dell’edificio basilicale dispiegava un’elegante decorazione, soprattutto in corrispondenza delle absidi semicircolari che chiudevano i lati brevi della navata centrale. Esse erano inquadrate da pilastri lavorati a rilievo, con motivi vegetali e scene delle imprese di Ercole nel lato orientale e soggetti dionisiaci in quello occidentale. In questo modo le due divinità principali del centro cittadino ricevevano anche un omaggio, che tuttavia si connotava ulteriormente come un onore tributato alla dinastia regnante, poiché a Ercole e a Liber Pater la propaganda imperiale assimilava Caracalla e Geta. Queste associazione dei figli di Settimo Severo alle due figure divine è documentata anche altrove, senza che sia fatta eccezione per la stessa Roma. Anche il progetto del nuovo impianto forense fu condizionato dalla situazione urbanistica precedente: infatti la basilica non è esattamente perpendicolare all’asse maggiore della piazza, ma forma con quest’ultima un angolo ottuso, come del resto fa la piazza stessa in rapporto agli isolati adiacenti. Gli spazi che si erano venuti così a creare tra gli edifici divergenti furono colmati con file di botteghe dalla pianta via via decrescente, in modo da mascherare le diverse orientazioni con grande abilità. Secondo un’ipotesi avanzata qualche anno fa l’area forense doveva essere raddoppiata mediante un’altra piazza, che si sarebbe aperta dall’altra parte della basilica, ma il progetto non fu portato a compimento. Lungo l’asse costituito dal corso dell’Uadi Lebdah fu inoltre predisposta una grande strada colonnata, che partiva dal porto in direzione sud e, dopo aver costeggiato il foro Severiano, subiva una deviazione in corrispondenza delle terme di Adriano, dove si apriva in una piazza irregolare, ornata da un magnifico ninfeo. La ricchezza dell’epoca è attestata inoltre dalla decorazione delle abitazioni private, per quanto meno conosciute degli edifici pubblici. Mosaici come quelli rinvenuti nella cosiddetta casa di Orfeo e nella villa del Nilo testimoniano comunque in maniera efficace il lusso di certi impianti residenziali.

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