sabato 9 febbraio 2013

l'Elogio della Follia di Erasmo da Rotterdam

Erasmo da Rotterdam (Rotterdam, 1466/1469 – Basilea, 12 luglio 1536) è stato un teologo, umanista e filosofo olandese.
Firmò i suoi scritti con lo pseudonimo di Desiderius Erasmus.
La sua opera più conosciuta è l'Elogio della follia, ed è considerato il maggiore esponente del movimento dell'Umanesimo cristiano.
Alcuni passi di questo trattato "l'Elogio della Follia"
Sono molto aderenti ai giorni nostri.
La follia produce le guerre, che sono «origine e campo delle imprese più lodate», affidate non a caso a «parassiti, ruffiani, briganti, sicari, contadini, imbecilli, indebitati e simile feccia umana», certamente non ai filosofi e ai cosiddetti sapienti, che se mettono mano agli affari di Stato combinano solo danni, e sono inabili anche alle più modeste funzioni della vita quotidiana.
Per governare occorre invece ingannare il popolo,lusingarlo per acquisirne il favore,essere spinto da quella follia che è l'amore di sé, della fama e della gloria che ci fa abbandonare ogni timidezza e ci induce all'azione.
A guardar bene, la vita è una commedia dove ciascuno recita una sua parte, e non è bene strappare la maschera agli attori che stanno recitando: «tutta la vita non ha alcuna consistenza ma, tant'è, questa commedia non può essere rappresentata altrimenti», e il saggio che volesse mostrare l'autentica realtà delle cose farebbe la figura dell'insensato.
L'uomo veramente prudente non deve «aspirare a una saggezza superiore alla propria sorte, ma fare buon viso all'andazzo generale e partecipare alle debolezze umane.
Si dirà che questa è follia.
Non lo negherò, purché si conceda che tale è la vita, la commedia della vita che stiamo recitando».
Erasmo accenna poi alle follie di diverse categorie di persone: i cacciatori, gli alchimisti, che sprecano tempo e denaro, e come loro i giocatori d'azzardo,mentre al contrario, coloro che propalano «miracoli e favolette di prodigi» hanno per scopo di «cavar quattrini, come usano principalmente preti e predicatori popolari».
Ci sono poi i superstiziosi, quelli che recitano ogni giorno i salmi penitenziali, e quelli che attribuiscono a ciascun santo una particolare virtù protettrice.
Del resto, questi vaneggiamenti sono autorizzati e alimentati dai sacerdoti, i quali «sanno che questa è una piccola fonte di guadagno che non finisce mai». C'è poi la follia dei nobili, che si vantano dei loro antenati ma che non differiscono «dall'ultimo mozzo di stalla».
Ci sono poi gli scrittori, i più seri dei quali, mai soddisfatti dell'opera loro, perdono la salute e la vista senza compenso, mentre gli altri sanno che più scriveranno sciocchezze maggior successo avranno, come i plagiari, che si gloriano di una fama usurpata.
Facendo la satira degli studiosi e degli scrittori, Erasmo giunge di fatto a burlarsi di se stesso, rivelando però in tal modo come sia difficile prendere completamente sul serio la sua Follia.
Tra gli eruditi, i giuristi formano migliaia di leggi «poco importa se a proposito o a sproposito» e poi ammucchiano chiose su chiose per rendere più difficili gli studi legali.
I retori e i sofisti battagliano su «questioni di lana caprina» e si azzuffano su qualsiasi argomento «armati di tre sillogismi».
I filosofi poi, benché non sappiano nulla, fanno professione di sapere tutto e «van gridando dovunque che essi vedono le idee, gli universali, le forme separate, la materia prima, le quiddità e le ecceità».
Largo spazio viene dedicato da Erasmo anche alla follia di teologi ed ecclesiastici.
Oggetto della sua satira non sono ovviamente i teologi in quanto tali, ai quali lui stesso si onorava di appartenere, bensì i theologiae histriones («istrioni della teologia») come li definisce nella lettera apologetica a Martin Dorp del maggio 1515.
Costoro, «razza straordinariamente boriosa e irritabile», si occupano delle questioni più assurde, quali «Iddio Padre odia il Figlio?
Avrebbe potuto Dio prender forma di donna, o del diavolo, d'un asino, d'una zucca, d'una pietra?
E in tal caso, come avrebbe una zucca parlato al popolo e fatto miracoli?», e formulano sentenze morali paradossali.
Questi teologi della scolastica decadente - di indirizzo realista, nominalista, tomista, albertista, occamista, o scotista - metterebbero in difficoltà san Paolo e tutti gli apostoli, se disputassero con loro.
E guai a non essere d'accordo con loro.
Ne verrebbe subito la sentenza: «questa proposizione è scandalosa, quest'altra poco reverente, questa puzza d'eresia, quest'altra suona male». Buffo poi è il fatto che essi credono di esser grandi teologi, quanto più barbaramente parlano: «sostengono infatti che non è conforme alla maestà delle sacre lettere esser costretti a ubbidire alle leggi dei grammatici».
A costoro Erasmo contrappone i teologi che ritiene autenticamente autorevoli: «Tanta è la sottigliezza del loro giudizio che, senza il voto di questi baccellieri, a formare un vero cristiano non basterebbero il battesimo, né il Vangelo, né San Paolo o San Pietro, né San Gerolamo o Sant'Agostino, né lo stesso San Tommaso, il più aristotelico di tutti i teologi».
Quanto a quei religiosi che sono detti monaci - parola che significa letteralmente solitari - c'è da dire che buona parte di essi non hanno niente a che fare con la religione e non sono solitari, visto che «non c'è luogo dove non te li trovi tra i piedi».
Quando in chiesa non «ragliano, da asini che sono, i loro salmi», disturbano per le strade, elemosinando con grande fracasso, e credono di guadagnarsi la vita eterna osservando certe «cerimonie e tradizioncelle umane», senza sapere che Cristo chiederà conto dell'osservanza del comandamento della carità.
Da come predicano, poi, «c'è da giurare che siano stati a scuola da ciarlatani di piazza, senza per altro riuscire a raggiungerli».
Vescovi e cardinali, gli eredi degli apostoli, si danno alla bella vita, e i papi, i vicari di Cristo, vivono «mollemente e senza pensieri».
Mentre i primi cristiani abbandonavano tutti i loro beni per seguire Gesù, per il cosiddetto patrimonio di san Pietro, cioè «borgate, tributi, dazi, signorie», i papi «si battono con il ferro e il fuoco, non senza effusione di molto sangue cristiano», e sono essi «a lasciare sparire nel silenzio Cristo, a incatenarlo trafficando con le loro leggi, a corromperlo con interpretazioni sforzate, a sgozzarlo con la loro vita pestifera».

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