giovedì 24 gennaio 2013

La sibilla cumana

Il nome Sibilla, nell’antica Grecia, indicava qualunque sacerdotessa di Apollo avesse ricevuto dal dio il dono della profezia. Dunque non una figura precisa, bensì una schiera di veggenti distinguibili soprattutto per la regione in cui erano nate. Così c’era la Sibilla Libica, la Sibilla Eritrea ... e, più celebre di tutte, la Sibilla Cumana. 

 LA SIBILLA DI CUMA


La maggior parte delle leggende relative alle profetesse di Apollo sono di origine latina e riguardano la Sibilla Cumana. Forse nata ad Eritre, nell’odierna Turchia, questa sacerdotessa profetizzava da una grotta situata presso l’antica città di Cuma, in Campania. Di lei si diceva che avesse fatto innamorare Apollo al quale, in cambio della sua verginità, aveva chiesto tanti anni di vita quanti erano i granelli di sabbia che poteva tenere in una mano.

Apollo acconsentì, ma a patto che ella non toccasse mai più il suolo di Eritrea. Cosa che la Sibilla Cumana fece. Ma un giorno, avendo ricevuto una missiva, non si accorse che il sigillo era sporco di terra di Eritrea e, nel tentare di aprirla, morì.

 Una variante dello stesso mito racconta invece che la Sibilla Cumana, nel chiedere ad Apollo l’eternità, si fosse scordata di pretendere da lui anche l’eterna giovinezza. Così, invecchiando, divenne sempre più minuscola e rinsecchita, fino a che, ridotta alle dimensioni di un insetto, venne chiusa in un vasetto da dove, a chi le chiedeva i suoi vaticini, rispondeva solo di voler morire.

 La Sibilla Cumana compare anche nell’Eneide, dove Virgilio le affida il compito di guidare il troiano Enea negli inferi. È lei in particolare a placare l’ira di Caronte mostrandogli un ramoscello d’oro, e quindi a condurre l’eroe nel cuore dell’oltretomba, dove Enea incontrerà le ombre della moglie suicida Didone e del padre Anchise. 

Un’ultima leggenda racconta infine che un giorno la Sibilla Cumana si presentò da Tarquinio il Superbo offrendogli i sei libri contenenti gli oracoli sibillini. Tarquinio rifiutò, ritenendo il prezzo troppo alto, e allora la Sibilla bruciò uno dei sei libri. La scena si ripeté altre due volte, sempre con lo stesso esito, finché il re, incuriosito, chiese consiglio ai suoi auguri. Questi, rimpiangendo i libri perduti, gli imposero di acquistare i tre testi superstiti, che vennero quindi posti nel tempio di Giove Capitolino dove, ogni qualvolta Roma era in difficoltà, venivano consultati dai sommi sacerdoti.

 L'ANTRO DELLA SIBILLA

Sull’acropoli di Cuma si apriva una grotta tradizionalmente nota come Antro della Sibilla.
 Quando negli Anni Venti, si procedette a una campagna di scavi, la caverna risultò più grande di quanto ci si aspettava, ossia lunga 183 m, con pozzi luce e cisterne d’acqua. La galleria attraversava in linea retta la collina e venne presto identificata come un’opera militare costruita dal generale romano Agrippa.

 Nel 1932 fu scoperta una seconda caverna, che gli archeologi ritennero essere quella della Sibilla.
 Vi si accede tramite una galleria lunga 107 m, con 12 brevi passaggi laterali che si aprono sul fianco del colle, da cui filtra la luce. La galleria principale termina in un vestibolo contenente un paio di sedili scavati nella roccia e al di là di essi una camera a volta. Forse i visitatori della Sibilla si sedevano in attesa di consultarla mentre la profetessa vaticinava nascosta dalla porta che separava in origine il vestibolo dal tempio interno. 
 Erano probabilmente in uno stato di esaltata aspettativa dato che, durante il giorno, l’alternarsi di fasci di luce e oscurità originati dai pozzi, lungo la galleria, faceva sì che chiunque provenisse dall’interno per condurre i nuovi arrivati al tempio apparisse e scomparisse. Le aperture luminose avevano forse anche lo scopo di intimidire i visitatori in un secondo modo. Come le fessure osservate in altre camere oracolari, ad esempio a Malta, i fori nella roccia potevano produrre il calcolato ‘effetto speciale’ descritto da Virgilio: ‘L’immenso fianco della rupe euboica s’apre in un antro: vi conducono cento ampi passaggi, cento porte; di lì erompono altrettante voci, i responsi della Sibilla’. Nel 1932, gli studiosi conclusero che la caverna di Virgilio era stata riscoperta, ed essa continua a essere mostrata ai visitatori come quella della Sibilla.

 Ma lo è veramente? Il tempio della Sibilla Cumana fu venerato in tutto il mondo greco a partire dal VI o dal V secolo a.C., ma gran parte dei resti oggi visibili appartengono a un periodo più tardo. Non sono stati praticamente esumati reperti tali da confermare o confutare l’uso religioso della grotta e alcuni archeologi ritengono che siano necessarie altre ricerche.

 Eppure è facile, stando all’entrata della caverna, immaginare l’eroe di Virgilio, Enea e i suoi Troiani, tutti consumati guerrieri, raggelati dal terrore, mentre ‘dal sacrario la Sibilla Cumana, predice orrendi enigmi e mugghia dall’antro, avviluppando il vero nelle tenebre...’.

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