lunedì 7 gennaio 2013

Castello Cini

A Padova, insediamenti preistorici sono stati accertati dall'archeologia a partire dal XI sec a. C – X sec a. C. La leggenda vuole che la città sia stata fondata da Antenore ed il suo seguito dopo essere fuggiti alla distruzione di Troia. Simili origini, ancorché mitiche, sembrano ben adattarsi allo spirito della città. Importante municipium romano, comune medievale di spicco sotto la dominazione carrarese prima e veneziana in seguito, Padova ha contribuito in modo rilevante alla storia italiana, assieme ai comuni della sua provincia. 

Tra questi Monselice, che nel 603 d. C. fu l'ultimo baluardo a cadere in mano Longobarda mentre l'Impero Romano si apprestava ad assistere al suo tramonto. Paese battagliero Monselice, protetto dai Colli e ben collegato con l'esterno tramite vie fluviali. Non c'è da meravigliarsi che possa aver attratto uomini valorosi e, al contempo, spietati. Uomini che hanno lasciato dietro di sé tracce indelebili delle loro azioni. Tracce che persistono all'interno delle imponenti costruzioni erette per mostrare la loro magnificenza. 
 Castello Cini, ai piedi del Colle della Rocca, è una di queste e testimonia l'adattamento del paese allo scorrere del tempo. Tra l’XI sec. ed il XVI sec. il castello è stato dimora signorile, torre difensiva fino a diventare villa veneta. 
La Casa Romanica ed il Castelletto costituiscono il primo nucleo a cui si aggiunge, due secoli dopo, la Torre Ezzeliniana, possente edificio difensivo voluto da Ezzelino III da Romano. E' con questo personaggio che i fatti di sangue entrano a far parte della storia del castello. Ciò non meraviglia, se si considera la sua fama di essere uno dei più spietati feudatari del Medioevo italiano.


Ezzelino aveva eletto il castello a dimora della sua amante Ivalda, una donna crudele, dedita a pratiche magiche nonché lussuriosa. Si dice che abbia tentato di conquistare l'immortalità circondandosi di giovani amanti che, dopo l'amplesso, trovavano la morte. 
Di certo l'immortalità l'ha ottenuta, per altre vie. Ezzelino la trafisse infatti con la sua spada e, da allora, il suo spirito, sotto forma di una donna di bassa statura e con la carnagione bianchissima, si aggira per il castello. 

 Non era ancora trascorso un secolo dall'efferato omicidio quando il castello si preparava a diventare la tomba di un altro giovane caduto in disgrazia. Il 22 dicembre 1350, il Consiglio di Padova conferì la signoria a Giacomino (Jacopino) e Francesco da Carrara, unici eredi della potente famiglia dei Carraresi.
 In Italia la situazione politica era calda in quel periodo: Veneziani, Scaligeri e Fiorentini avevano mire espansionistiche e Francesco temeva che il nipote potesse siglare accordi con la Repubblica di Venezia per spodestarlo dal governo della città. Decise così di rinchiuderlo nei sotterranei del castello. L'amante del principe, Giuditta, fece di tutto per incontrarlo. Per un breve periodo di tempo riuscì ad eludere la sorveglianza, trovando il modo di trascorrere brevi periodi in compagnia di Jacopino. Scoperta, fu a sua volta imprigionata, non nello stesso castello, ma nella Rocca che sorge su un'altura poco distante.
 La decisione successiva di Francesco fu di far morire per inedia i due giovani.
 Resasi conto della tragica sorte a cui erano destinati, Giuditta iniziò ad elevare forti grida, affinché la sua voce giungesse all'amato. Su quei suoni nulla poté la morte, visto che proseguirono anche dopo che i loro corpi furono nascosti, finalmente assieme, all'interno delle possenti mura del castello. Piuttosto, ad essi si aggiunsero i richiami del fantasma di Jacopino, tutt'ora prigioniero nel castello, che invoca la venuta di Giuditta.
 E lei? Il suo spirito vaga all'esterno del castello, percorre le strade del paese cercando informazioni sul suo amato. Sembra la morte le abbia cancellato il ricordo della sua triste storia.

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