sabato 19 gennaio 2013

A tavola con... la forchetta




Le prime attestazioni iconografiche della forchetta sono reperibili in una miniatura del Codice delle leggi longobarde (inizio XI secolo) che mostra il rude re Rotari che brandisce una forchetta mentre mangia con i suoi Dignitari. Invece nell'Ultima Cenaleonardesca (1495-1498) dove ci aspetteremmo di trovarla, non la vediamo rappresentata.
Eppure in epoca altomedievale l'uso della forchetta creava a volte uno scandaloso scalpore. Il banchetto per le nozze tra la principessa, figlia diciassettenne dell’imperatore bizantino Cristiano IX, Maria Argyropoula, detta Argira e il figlio del doge di Venezia, Giovanni Orseolo II, celebrate nel 955, è forse la prima occasione in cui su una tavola dell’Europa occidentale comparve tale posata. Mentre tutti mangiavano con le mani la raffinata principessa usava infatti una forchetta. Questo fatto suscitò un tale clamore scandalizzato che di lì a poco si trasformò in aperta condanna da parte della Chiesa per la “bizzarra e decadente” principessa bizantina. Cosicché quando nel 1005 la sfortunata giovane si ammalò di peste e ne morì, nobili e popolani veneziani s'inventarono che ciò era la punizione divina per tanta aberrante e oltraggiosa perversione conviviale, frutto certo di peccaminose propensioni derivatele dalle male usanze della corte Bizantina. Gli uomini di Chiesa ritennero la forchetta strumento di mollezza e perversione diabolica. San Pier Damiani (1007-1072) non ebbe alcuna pietà per la povera principessa: «Non toccava le pietanze con le mani ma si faceva tagliare il cibo in piccolissimi pezzi dagli eunuchi. Poi li assaggiava appena portandoli alla bocca con forchette d'oro a due rebbi»; la terribile morte della giovane donna, le cui carni andarono lentamente in cancrena («corpus eius computruit») fu vista come una giusta punizione divina per un così grande peccato!
Anche un’altra principessa bizantina, Teodora Ducas, sorella dell’imperatore Michele VII, moglie del Doge Domenico Silvio, che la sposò nel 1071, si serviva a tavola di "fuscinulis aureis bidentibus", una forchettina d'oro a due rebbi con la quale portava alla bocca il cibo che alcuni servi personali, eunuchi, sporzionavano in piccole parti,
Il papa Innocenzo III, quando era ancora Lotario dei Conti di Segni (1160-1216), nel suo “De miseria humanae condicionis” fece calare l'ombra cupa della morte su un lungo catalogo di delizie che comprende anche l’uso della forchetta: Cosa c'è di più vano che ornare la mensa con tovaglie decorate, con coltelli dal manico d'avorio, con vasi d'oro, con ciotole d'argento, con coppe e bicchieri, crateri e catini, con scodelle e cucchiai, con forchette e saliere, con bacili e orci, con scatole e ventagli? [...] Sta scritto infatti: «Quando l'uomo morirà non porterà con sé nulla di tutto ciò, e la sua gloria non scenderà con lui»….
Forse perché associate al mondo bizantino, nella situazione di tensione creatasi con lo scisma tra la Chiesa ortodossa e la Chiesa di Roma (1054) le forchette verranno presentate dal clero cattolico come simbolo del demonio e il loro uso sarà bollato come peccato, tanto che sino al ‘700, non sarà ammesso nei conventi e nei monasteri.
Tale stigma peserà per secoli: ancora nel ‘600, quando in Italia il loro uso è ormai frequente, Monteverdi (1567-1643) ogni volta che, per buona educazione, è costretto a impiegarle, fa dire tre messe per espiare il peccato commesso.
C’è poco da meravigliarsi: fino al 1897, ai marinai della Royal Navy di Sua Maestà britannica era proibito l’uso di coltelli e di forchette, in quanto si riteneva fossero «pregiudizievoli alla disciplina e al comportamento virile».

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