sabato 1 dicembre 2012
L'orrido di Bellano
Se arrivate a Bellano, non potete perdervi lo suggestivo spettacolo dell’Orrido, gola naturale creata dal fiume Pioverna..
L’origine di questa piccola meraviglia della natura risale a quindici, ventimila anni or sono, quando, al termine dell’Era Glaciale, le acque di fusione dei ghiacci presero a scorrere vorticose, aprendosi la strada verso valle. Lentamente il torrente Pioverna, scolpì il fondovalle per poi iniziare a scavarsi un solco sempre più stretto e profondo che arrivò fino al Lario. La corsa delle acque doveva probabilmente finire con un’alta cascata che piombava da un gradino roccioso. L’azione erosiva delle acque ha scavato il gradino facendo arretrare la cascata e lasciando la stretta gola dell’Orrido. Lo si raggiunge dapprima percorrendo alcune scalette immerse nel verde che terminano ad una lunga passerella che lambisce le opere di raccolta idrica che convogliano le acque del Pioverna. La passerella che si deve percorrere, protetta da una bella ringhiera, sembra finire contro le rocce quando si giunge all’imbocco della stretta gola che prosegue, quasi nascosta da due spigoli rocciosi sovrapposti, arrotondati e lisciati dalle acque. Al termine si entra nell’Orrido vero e proprio, la cui gola é anticipata da una grandiosa marmitta dei giganti. Un magnifico sistema di passerelle gettate sulle pareti rocciose consente di percorrere l’Orrido in tutta sicurezza e di ammirarne ogni angolo. Fino al 1816, buona parte del percorso era sospeso a catene fissate nella roccia, e quando fu travolto dal crollo della volta venne ampiamente rifatto con scalette sicure. Il rumore delle acque, che scorrono una cinquantina di metri sotto il passaggio, è spesso assordante e a volte mette quasi paura. Da una galleria sulla destra esce una rombante cascata pulviscolo acqueo può raggiunge il visitatore.
La dimensione fantastica e inquietante dello scenario ha ispirato nei secoli passati numerose tradizioni e leggende. Lo scrittore bellanese Sigismondo Boldoni, che nel Seicento amava ritirarsi tra le forre scolpite dal Pioverna per comporre le sue opere lo definì:"Orrore di un’orrenda orridezza".. contribuendo ad accrescere la curiosità ed inducendo poeti, artisti e letterati, ma anche semplici viaggiatori e curiosi a fare tappa a Bellano.
Ma alla suggestione della natura si aggiungevano i misteri ed i segreti che, si diceva, fossero celati dalla gola.Qui la tradizione vuole che giaccia il valoroso guerriero Taino, sepolto col suo tesoro. Cercando un luogo sicuro dove inumare il loro condottiero e il suo tesoro, i compagni pensarono bene di deviare il Pioverna e di scavare una tomba nel suo letto. Terminata l’opera, il sepolcro venne sigillato con un grande masso e l’acqua fatta rifluire come prima. I membri della famiglia Denti, facoltosi proprietari della zona, facendo costruire i loro giardini, furono anche gli ideatori del sistema di gallerie oggi ostruite, che pare servissero ad introdurre nelle segrete quinte dell’Orrido e dei suoi giardini fanciulle e donne, al riparo di occhi indiscreti. La donna murata nuda, con un solo anello al dito, scoperta durante una campagna di scavi è forse una conferma di queste storie. Le gallerie, che si dipanano verso Bellano furono usate anche durante l’occupazione austriaca per evitare di incappare nelle ronde durante il coprifuoco. Ma la fama sinistra dell’Orrido è legata anche ad episodi tragici di morte e di suicidio. Celebre è la vicenda di una vedova di Bellano innamorata di un giovane nobiluomo che la tradì. In preda alla disperazione la donna si gettò dalla passerella d’ingresso dell’Orrido nel momento stesso in cui l’amante e la sua amica si stavano avvicinando in barca alla gola.
L’origine di questa piccola meraviglia della natura risale a quindici, ventimila anni or sono, quando, al termine dell’Era Glaciale, le acque di fusione dei ghiacci presero a scorrere vorticose, aprendosi la strada verso valle. Lentamente il torrente Pioverna, scolpì il fondovalle per poi iniziare a scavarsi un solco sempre più stretto e profondo che arrivò fino al Lario. La corsa delle acque doveva probabilmente finire con un’alta cascata che piombava da un gradino roccioso. L’azione erosiva delle acque ha scavato il gradino facendo arretrare la cascata e lasciando la stretta gola dell’Orrido. Lo si raggiunge dapprima percorrendo alcune scalette immerse nel verde che terminano ad una lunga passerella che lambisce le opere di raccolta idrica che convogliano le acque del Pioverna. La passerella che si deve percorrere, protetta da una bella ringhiera, sembra finire contro le rocce quando si giunge all’imbocco della stretta gola che prosegue, quasi nascosta da due spigoli rocciosi sovrapposti, arrotondati e lisciati dalle acque. Al termine si entra nell’Orrido vero e proprio, la cui gola é anticipata da una grandiosa marmitta dei giganti. Un magnifico sistema di passerelle gettate sulle pareti rocciose consente di percorrere l’Orrido in tutta sicurezza e di ammirarne ogni angolo. Fino al 1816, buona parte del percorso era sospeso a catene fissate nella roccia, e quando fu travolto dal crollo della volta venne ampiamente rifatto con scalette sicure. Il rumore delle acque, che scorrono una cinquantina di metri sotto il passaggio, è spesso assordante e a volte mette quasi paura. Da una galleria sulla destra esce una rombante cascata pulviscolo acqueo può raggiunge il visitatore.
La dimensione fantastica e inquietante dello scenario ha ispirato nei secoli passati numerose tradizioni e leggende. Lo scrittore bellanese Sigismondo Boldoni, che nel Seicento amava ritirarsi tra le forre scolpite dal Pioverna per comporre le sue opere lo definì:"Orrore di un’orrenda orridezza".. contribuendo ad accrescere la curiosità ed inducendo poeti, artisti e letterati, ma anche semplici viaggiatori e curiosi a fare tappa a Bellano.
Ma alla suggestione della natura si aggiungevano i misteri ed i segreti che, si diceva, fossero celati dalla gola.Qui la tradizione vuole che giaccia il valoroso guerriero Taino, sepolto col suo tesoro. Cercando un luogo sicuro dove inumare il loro condottiero e il suo tesoro, i compagni pensarono bene di deviare il Pioverna e di scavare una tomba nel suo letto. Terminata l’opera, il sepolcro venne sigillato con un grande masso e l’acqua fatta rifluire come prima. I membri della famiglia Denti, facoltosi proprietari della zona, facendo costruire i loro giardini, furono anche gli ideatori del sistema di gallerie oggi ostruite, che pare servissero ad introdurre nelle segrete quinte dell’Orrido e dei suoi giardini fanciulle e donne, al riparo di occhi indiscreti. La donna murata nuda, con un solo anello al dito, scoperta durante una campagna di scavi è forse una conferma di queste storie. Le gallerie, che si dipanano verso Bellano furono usate anche durante l’occupazione austriaca per evitare di incappare nelle ronde durante il coprifuoco. Ma la fama sinistra dell’Orrido è legata anche ad episodi tragici di morte e di suicidio. Celebre è la vicenda di una vedova di Bellano innamorata di un giovane nobiluomo che la tradì. In preda alla disperazione la donna si gettò dalla passerella d’ingresso dell’Orrido nel momento stesso in cui l’amante e la sua amica si stavano avvicinando in barca alla gola.
Le acque rosse dall'Australia alla Cina
Australia choc: acque del mare sono rosso sangue.
Spiaggie chiuse. Colpa delle sostanza tossiche? Ci sono rischi per la popolazione? Stanno facendo il giro del web le immagini delle acque del mare di fronte a Sidney che si sono tinte di color rosso sangue
La balneazione sulle spiaggie è stata vietata ed anche i surfisti che geralmente sono presenti in gran numero sono rimasti a terra con le tavole.
Si tratta di immagini inquietanti e gli abitanti della zona hanno detto che nell'aria c'è uno sgradevole odore di pesce marcio.
Il contatto con l'acqua rosse che sono ricche di ammoniaca può creare anche irritazione sulla pelle. Il colore rosso è dovuto alla presenza del mare di un'alga rossa che sta infestando l'acqua, il suo nome è Noctiluca Scintillans.
Mentre di giorno la colorazione è rosso acceso di notte le aeree interessate risplendono letteralmente, una particolarità che le ha dato il nome, infatti questo organismo marino, a cavallo tra il mondo animale e quello vegetale ha il dono della bioluminescenza, ovvero la capacità di trasformare l'energia chimica in energia luminosa; è dunque un fenomeno naturale dovuto alle alte temperature delle acque e ai movimenti delle correnti oceaniche che si verificano in autunno ed in primavera.
Alcuni studi recenti del Montana State University hanno riscontrato come queste famiglie di alghe possano diventare una soluzione all'inquinamento prodotto dall'arsenico, presente in moltissimi composti utilizzati in agricoltura, in massima parte erbicidi, che non di rado arrivano ad inquinare le falde acquifere con ripercussioni spesso molto dannose.
Queste alghe hanno la capacità di trasformare composti chimici tossici in altri molto meno dannosi se non addirittura volatili.
In Cina
Nel mese di luglio erano state postate sui social network le immagini di un fiume color bianco latte ora sono scattate alcune foto di un fiume le cui acque sono color rosso sangue come si vede qui
Si tratta del fiume Yangtze, uno dei più lunghi della Cina, e i primi a notare la sua strana colorazione sono stati gli abitanti della città di Chongqing, situata nella Cina sudoccidentale.
Col passare delle ore sono poi arrivate altre segnalazioni e testimonianze lungo altri tratti del fiume.
Le cause pare siano dovute all'inquinamento
Spiaggie chiuse. Colpa delle sostanza tossiche? Ci sono rischi per la popolazione? Stanno facendo il giro del web le immagini delle acque del mare di fronte a Sidney che si sono tinte di color rosso sangue
La balneazione sulle spiaggie è stata vietata ed anche i surfisti che geralmente sono presenti in gran numero sono rimasti a terra con le tavole.
Si tratta di immagini inquietanti e gli abitanti della zona hanno detto che nell'aria c'è uno sgradevole odore di pesce marcio.
Il contatto con l'acqua rosse che sono ricche di ammoniaca può creare anche irritazione sulla pelle. Il colore rosso è dovuto alla presenza del mare di un'alga rossa che sta infestando l'acqua, il suo nome è Noctiluca Scintillans.
Mentre di giorno la colorazione è rosso acceso di notte le aeree interessate risplendono letteralmente, una particolarità che le ha dato il nome, infatti questo organismo marino, a cavallo tra il mondo animale e quello vegetale ha il dono della bioluminescenza, ovvero la capacità di trasformare l'energia chimica in energia luminosa; è dunque un fenomeno naturale dovuto alle alte temperature delle acque e ai movimenti delle correnti oceaniche che si verificano in autunno ed in primavera.
Alcuni studi recenti del Montana State University hanno riscontrato come queste famiglie di alghe possano diventare una soluzione all'inquinamento prodotto dall'arsenico, presente in moltissimi composti utilizzati in agricoltura, in massima parte erbicidi, che non di rado arrivano ad inquinare le falde acquifere con ripercussioni spesso molto dannose.
Queste alghe hanno la capacità di trasformare composti chimici tossici in altri molto meno dannosi se non addirittura volatili.
In Cina
Nel mese di luglio erano state postate sui social network le immagini di un fiume color bianco latte ora sono scattate alcune foto di un fiume le cui acque sono color rosso sangue come si vede qui
Si tratta del fiume Yangtze, uno dei più lunghi della Cina, e i primi a notare la sua strana colorazione sono stati gli abitanti della città di Chongqing, situata nella Cina sudoccidentale.
Col passare delle ore sono poi arrivate altre segnalazioni e testimonianze lungo altri tratti del fiume.
Le cause pare siano dovute all'inquinamento
Fiumelatte (Lecco): le sorgenti del mistero
È conosciuto praticamente da sempre.
Tra i primi visitatori e studiosi spicca perfino il nome di Leonardo da Vinci che lo ricordò nel «Codice Atlantico»,col nome di “Fiumelacio”.
Sgorga dall’ingresso inferiore di una grotta con le sue acque bianchicce, e questa caratteristica gli ha dato il nome di Fiumelatte, ma la maggior particolarità dipende dal fatto che appare particolarmente impetuoso, improvvisamente il 25 marzo, giorno dell’Annunciazione della Vergine e poi scompare altrettanto improvvisamente il 7ottobre, festa della Madonna del Rosario ed è per questo che viene chiamato anche il fiume delle 2 Madonne e si asciuga non lasciando alcuna traccia del suo passaggio.
Se poi l’estate è particolarmente calda, perde un po’ della sua forza, ma a settembre, rinvigorisce anche se non ci sono piogge… nel mese di maggio poi, capita che se si susseguono temporali di particolare violenza le sue acque si colorino di rosso.
Ha anche un altro primato: è il fiume più corto d’Italia e persino – dicono – del mondo.
Naturalmente questo ha fatto sorgere numerose leggende, ma vi narrerò solo le due principalì.
Una stupenda fanciulla, corteggiata da tre giovanotti e non sapendo decidere fra loro, decise di affidarsi al Fiumelatte come al mezzo più efficace per scegliere l’uomo della sua vita. E i tre si inoltrarono nella grotta. Passò un giorno, due, tre, dieci… e i pretendenti non tornavano. La ragazza,convinta che i tre fossero ormai morti, si disperò. Ma dopo un periodo di tempo i giovani comparvero all’imbocco della grotta, invecchiati,e inebetiti,balbettando le più incredibili avventure.
Disse il primo che una sirena lo prese per mano subito dopo il suo ingresso e lo condusse in una sala sfarzosa, gli offerse da bere, gli sembrò di essere in paradiso, ma quando la coppa fu vuota la magia svanì ed egli si ritrovò nel fondo tenebroso d’una voragine senza uscita.
Anche il secondo parlò di luoghi meravigliosi, di melodie celestiali, ma si trovò poi nelle tenebre di uno stretto cunicolo, popolato di rospi orribili e pipistrelli. Il terzo giovane? Era talmente spaventato che non riusciva a parlare, nessuno riuscì mai a sapere cosa avesse visto di tanto orribile da sconvolgere la sua mente in quel modo. Cercarono tutti di far dimenticare loro l’orribile esperienza ma fu tutto inutile dopo tre giorni dalla loro riapparizione, i tre giovani vaneggiando morirono. Nessuno, da allora, ebbe mai più l’ardire di ridiscendere nella terribile grotta
Un giorno , dice l’altra leggenda , giunsero a Fiumelatte, mentre il torrente era asciutto, muniti di compassi, incartamenti e strumenti vari, tre frati che ,decisi a chiarire la origine del fiume, si portarono alla grotta della sorgente e, nonostante gli scongiuri degli abitanti, vi entrarono con tutta sicurezza scomparendo nell’ oscurità. Tutti gli astanti fremettero al rischio corso dai monaci. Che avrebbero potuto fare, si dicevano l’un l’altro quei tre fraticelli, umili servi di Dio, contro i satanassi, i demoni e le streghe che certamente li attendevano al varco negli antri del fiume? In tutti si radicò la certezza che non li avrebbero più visti ritornare vivi. Infatti cosi fu. Dopo tre giorni di angoscia, mentre le campane di Varenna suonavano l’Angelus di mezzogiorno, il fiume, improvvisamente arrivato poco prima, restituì fra l’ orrore di chi ancora attendeva e sperava, i corpi esamini dei tre animosi.
I cereali dell' homo sapiens
Il consumo di cereali selvatici tra le popolazioni di cacciatori e raccoglitori potrebbe essere molto più antica di quanto ritenuto finora, stando a una recente ricerca dell'Università di Calgary, in Canada, nell'ambito della quale gli archeologi hanno trovato il più antico esempio di dieta basata in buona parte su cereali e radici in una popolazione di Homo sapiens più di 100.000 anni fa.
Julio Mercader, ricercatore del Dipartimento di archeologia dell' Università di Calgary ha recuperato infatti decine di strumenti di osso in una profonda grotta in Mozambico che mostra come il sorgo selvatico, antenato del principale cereale consumato tutt'oggi nell'Africa sub-sahariana per produrre farina, pane, pappe e bevande alcoliche era presente nella “dispensa” di Homo sapiens insieme con palma, falsa banana (Enset ventricosum), il legume della specie Cajanus cajan e la patata africana.Si tratta della prima e più antica diretta evidenza di cereali pre-domesticati ovunque nel mondo.
"Il risultato retrodata notevolmente l'inizio dell'utilizzo dei semi da parte delle specie umane e rappresenta una prova di una dieta estesa e sofisticata molto prima di quanto ritenuto”, ha spiegato Mercader. "Ciò avvenne durante l'Età della pietra quando la raccolta di cereali selvatici è stata percepita come attività irrilevante se non altrettanto importante di radici, frutti e frutta secca.”
In 2007, Mercader e colleghi dell'Università del Mozambico effettuarono alcuni scavi nella grotta di calcare nei pressi del Lago Niassa che venne utilizzata in modo intermittente da antichi raccoglitori nel corso di 60.000 anni. Nel fondo della grotta, i ricercatori hanno scoperto decine di strumenti di osso, ossa animali e resti di piante, tutti segni indicativi di pratiche alimentari preistoriche. La scoperta di diverse migliaia di particelle di amido e di strumenti per raschiare e molare il sorgo selvatico dimostrano come tale cereale venisse portato nella grotta e lavorato in modo sistematico.
“Si è ipotizzato che l'uso dell'amido abbia rappresentato un passo cruciale nell'evoluzione umana, poiché migliorò la qualità della dieta nelle savane e nelle foreste africane, in cui si è evoluta la prima linea di esseri umani moderni”, ha commentato Mercader. "L'inclusione dei cereali nella nostra dieta è considerato un passo importante in virtù della complessità tecnica della manipolazione culinaria richiesta per convertire i cereali in alimenti.”
Mercader sostiene che questo tipo di evidenze archeologiche sono in accordo con altre dello stesso tipo rinvenute in ogni parte del mondo, durante gli ultimi stadi dell'ultima Era glaciale, approssimativamente 12.000 anni fa. In questo caso i reperti sono datati all'inizio dell'Era Glaciale, cioè a circa 90.000 anni prima.
Julio Mercader, ricercatore del Dipartimento di archeologia dell' Università di Calgary ha recuperato infatti decine di strumenti di osso in una profonda grotta in Mozambico che mostra come il sorgo selvatico, antenato del principale cereale consumato tutt'oggi nell'Africa sub-sahariana per produrre farina, pane, pappe e bevande alcoliche era presente nella “dispensa” di Homo sapiens insieme con palma, falsa banana (Enset ventricosum), il legume della specie Cajanus cajan e la patata africana.Si tratta della prima e più antica diretta evidenza di cereali pre-domesticati ovunque nel mondo.
"Il risultato retrodata notevolmente l'inizio dell'utilizzo dei semi da parte delle specie umane e rappresenta una prova di una dieta estesa e sofisticata molto prima di quanto ritenuto”, ha spiegato Mercader. "Ciò avvenne durante l'Età della pietra quando la raccolta di cereali selvatici è stata percepita come attività irrilevante se non altrettanto importante di radici, frutti e frutta secca.”
In 2007, Mercader e colleghi dell'Università del Mozambico effettuarono alcuni scavi nella grotta di calcare nei pressi del Lago Niassa che venne utilizzata in modo intermittente da antichi raccoglitori nel corso di 60.000 anni. Nel fondo della grotta, i ricercatori hanno scoperto decine di strumenti di osso, ossa animali e resti di piante, tutti segni indicativi di pratiche alimentari preistoriche. La scoperta di diverse migliaia di particelle di amido e di strumenti per raschiare e molare il sorgo selvatico dimostrano come tale cereale venisse portato nella grotta e lavorato in modo sistematico.
“Si è ipotizzato che l'uso dell'amido abbia rappresentato un passo cruciale nell'evoluzione umana, poiché migliorò la qualità della dieta nelle savane e nelle foreste africane, in cui si è evoluta la prima linea di esseri umani moderni”, ha commentato Mercader. "L'inclusione dei cereali nella nostra dieta è considerato un passo importante in virtù della complessità tecnica della manipolazione culinaria richiesta per convertire i cereali in alimenti.”
Mercader sostiene che questo tipo di evidenze archeologiche sono in accordo con altre dello stesso tipo rinvenute in ogni parte del mondo, durante gli ultimi stadi dell'ultima Era glaciale, approssimativamente 12.000 anni fa. In questo caso i reperti sono datati all'inizio dell'Era Glaciale, cioè a circa 90.000 anni prima.
L'imperatrice Sissi
Elisabetta Amalia Eugenia di Wittelsbach (Monaco di Baviera, 24 dicembre 1837 – Ginevra, 10 settembre 1898) nata duchessa in Baviera, fu imperatrice d'Austria, regina apostolica d'Ungheria e regina di Boemia e di Croazia come consorte di Francesco Giuseppe d'Austria.
Elisabetta Amalia Eugenia nacque il 24 dicembre 1837 a Monaco di Baviera, quarta dei dieci figli del duca Massimiliano Giuseppe in Baviera e di Ludovica di Baviera, figlia del Grande Elettore Massimiliano di Wittelsbach, divenuto poi re come Massimiliano I di Baviera.
Entrambi i genitori appartenevano alla famiglia Wittelsbach, il padre, però, discendeva da un ramo collaterale dei duchi "in Baviera", mentre la madre apparteneva al ramo della famiglia reale. Quello dei genitori non fu un matrimonio felice.
Il duca Massimiliano, infatti, non particolarmente interessato alla vita familiare, trascurò la moglie ed ebbe numerose amanti e figli illegittimi.
Elisabetta, trascorse la sua infanzia serenamente a Monaco nel palazzo di famiglia, i mesi estivi nel castello di Possenhofen, una residenza a cui la giovane duchessa, amante della natura, era molto legata.
Di animo sensibile, cresciuta con molta semplicità sin da piccola fu abituata a trascurare i formalismi e a occuparsi dei poveri e degli infermi.
A quattordici anni Elisabetta si innamorò per la prima volta di un certo conte Richard S., scudiero del duca Massimiliano, ma il ragazzo non era un buon partito e venne allontanato dal palazzo e inviato altrove con un altro incarico.
Quando tornò a Monaco, non molto tempo dopo, era malato e in breve tempo morì.
Elisabetta ne fu sconvolta e si chiuse in sé stessa, consolandosi scrivendo poesie per il suo tragico amore. Nell'inverno 1853 erano in corso alcune trattative fra la duchessa Ludovica e sua sorella, l'arciduchessa Sofia, per far sposare la figlia Elena, all'imperatore Francesco Giuseppe I d'Austria.
Ludovica e Sofia decisero di far incontrare i figli a Ischl, residenza estiva dell'imperatore, durante la festa di compleanno di quest'ultimo e annunciare pubblicamente il loro fidanzamento.
Ludovica decise di portare con sé anche Elisabetta, nella speranza di strapparla alla malinconia nella quale era sprofondata e con l'intenzione di vagliare un suo possibile fidanzamento con Carlo Ludovico, fratello minore di Francesco Giuseppe.
Fin da quel primo e formale incontro, fu evidente ai presenti che Francesco Giuseppe si era infatuato non di Elena, ma della più giovane e acerba sorella Elisabetta.
Il giorno dopo Francesco Giuseppe disse alla madre che la sua scelta era caduta su Elisabetta.
Nel ricevimento dato quella sera, l'imperatore ballò il cotillon con Elisabetta. Da quel momento fino al 31 agosto, la coppia di fidanzati trascorse molto tempo insieme e si mostrò pubblicamente.
Francesco Giuseppe ed Elisabetta (1854). Intanto iniziarono le trattative con la Santa Sede per ottenere la necessaria dispensa papale, poiché gli sposi erano primi cugini. Questa stretta parentela, come di consueto per quel tempo, non fu tenuta di conto, nonostante diversi membri della famiglia Wittelsbach avessero già mostrato le tare ereditarie della loro dinastia.
Nel marzo 1854 fu ufficialmente firmato il contratto nuziale e la dote fu fissata in 50.000 fiorini pagati dal duca Massimiliano e 100.000 fiorini pagati dall'imperatore
Non molto tempo dopo le nozze Elisabetta rimase incinta e il 5 marzo 1855 partorì la sua prima figlia, chiamata Sofia come la nonna.
L'arciduchessa Sofia si occupò personalmente della bimba, alla quale fu legatissima.
Già poco più di un anno dopo, il 12 luglio 1856, Elisabetta partorì un'altra bambina, Gisella, parimenti allevata dalla nonna.
In futuro Elisabetta espresse il proprio rammarico per non essersi potuta occupare dei figli. Nel settembre di quell'anno Elisabetta iniziò a far valere i suoi diritti di madre e durante un viaggio in Stiria e nella Carinzia si riavvicinò molto al marito, solitamente compiacente con l'arciduchessa Sofia.
L'imperatrice capì che i viaggi di Stato erano un'occasione preziosa per stare da sola col marito e far valere la sua posizione di sposa e madre.
Elisabetta riuscì a ottenere che la figlia Sofia accompagnasse lei e il marito durante il loro viaggio in Italia nell'inverno tra il 1856 e il 1857.
Per la prima volta, l'imperatrice, sempre acclamata da folle festanti, si rese conto che l'impero non aveva il consenso di tutte le sue popolazioni.
Il regime militaristico austriaco aveva portato come conseguenza il disprezzo e l'odio degli italiani nei confronti degli austriaci.
A Venezia Elisabetta, Francesco Giuseppe e la piccola Sofia attraversarono Piazza San Marco acclamati soltanto dai soldati austriaci, mentre la folla di italiani rimase in silenzio.
Poche settimane dopo dal rientro dall'Italia, si prospettava un altro viaggio di Stato in un'altra inquieta provincia, l'Ungheria.
Tra i magiari era già risaputo che la giovane imperatrice nutriva un profondo interesse per la loro cultura, grazie alle lezioni dategli dal conte Mailáth, e speravano che influenzasse positivamente il marito.
Come nel Lombardo-Veneto, anche in Ungheria la coppia imperiale fu accolta con freddezza, sebbene la bellezza dell'imperatrice ebbe il suo solito successo.
Durante il viaggio nelle province ungheresi, la piccola Sofia si ammalò.
La diciannovenne imperatrice vegliò per undici ore sulla figlia, che spirò il 19 maggio 1857.
Quando tornarono a Vienna, Elisabetta si chiuse in sé stessa e nella propria solitudine, rifiutando di mangiare e di apparire in pubblico.
L'imperatrice, che aveva insistito per ottenere la presenza delle bambine durante il viaggio, rinunciò al suo ruolo di madre, ritenendosi colpevole della morte della figlia, e affidò Gisella all'educazione della nonna.
Nel dicembre del 1857 Elisabetta manifestò i sintomi di una nuova gravidanza. Il 21 agosto 1858 nacque l'arciduca Rodolfo, principe ereditario dell'Impero d'Austria. L'ultima figlia, Maria Valeria, la prediletta da Elisabetta, nacque nel 1868. Fu volutamente fatta nascere a Budapest, un omaggio della regina d'Ungheria ai suoi sudditi favoriti.Inoltre, Elisabetta si occupò personalmente della sua educazione, cosa che non aveva fatto con gli altri tre figli.
A Mayerling, nel 1889, il figlio Rodolfo, l'erede al trono (Kronprinz), morì suicida insieme all'amante, la baronessa Maria Vetsera.
Elisabetta non si riprese mai interamente da quest'ultimo colpo, portando fino all'ultimo giorno della sua vita un lutto strettissimo e, sempre in preda a esaurimenti nervosi, continuò a viaggiare per l'Europa.
Nel 1898, mentre passeggiava sul lungolago di Ginevra per imbarcarsi su un battello, venne uccisa da una stilettata dell'anarchico italiano Luigi Lucheni, che aveva ripiegato sull'Imperatrice d'Austria dopo che il progettato attentato al duca d'Orléans era fallito.
Tanto erano strette le vesti dell'Imperatrice che, dopo l'urto subìto, lei riprese a camminare, non sentendo inizialmente alcun dolore.
La morte avvenne venti minuti dopo la stilettata al ventricolo sinistro, per emorragia interna, poiché il sangue non riusciva a uscire.
La sua tomba si trova a Vienna, nella Kapuzinergruft (Cripta dei Cappuccini), accanto a quella del marito e del figlio.
Elisabetta Amalia Eugenia nacque il 24 dicembre 1837 a Monaco di Baviera, quarta dei dieci figli del duca Massimiliano Giuseppe in Baviera e di Ludovica di Baviera, figlia del Grande Elettore Massimiliano di Wittelsbach, divenuto poi re come Massimiliano I di Baviera.
Entrambi i genitori appartenevano alla famiglia Wittelsbach, il padre, però, discendeva da un ramo collaterale dei duchi "in Baviera", mentre la madre apparteneva al ramo della famiglia reale. Quello dei genitori non fu un matrimonio felice.
Il duca Massimiliano, infatti, non particolarmente interessato alla vita familiare, trascurò la moglie ed ebbe numerose amanti e figli illegittimi.
Elisabetta, trascorse la sua infanzia serenamente a Monaco nel palazzo di famiglia, i mesi estivi nel castello di Possenhofen, una residenza a cui la giovane duchessa, amante della natura, era molto legata.
Di animo sensibile, cresciuta con molta semplicità sin da piccola fu abituata a trascurare i formalismi e a occuparsi dei poveri e degli infermi.
A quattordici anni Elisabetta si innamorò per la prima volta di un certo conte Richard S., scudiero del duca Massimiliano, ma il ragazzo non era un buon partito e venne allontanato dal palazzo e inviato altrove con un altro incarico.
Quando tornò a Monaco, non molto tempo dopo, era malato e in breve tempo morì.
Elisabetta ne fu sconvolta e si chiuse in sé stessa, consolandosi scrivendo poesie per il suo tragico amore. Nell'inverno 1853 erano in corso alcune trattative fra la duchessa Ludovica e sua sorella, l'arciduchessa Sofia, per far sposare la figlia Elena, all'imperatore Francesco Giuseppe I d'Austria.
Ludovica e Sofia decisero di far incontrare i figli a Ischl, residenza estiva dell'imperatore, durante la festa di compleanno di quest'ultimo e annunciare pubblicamente il loro fidanzamento.
Ludovica decise di portare con sé anche Elisabetta, nella speranza di strapparla alla malinconia nella quale era sprofondata e con l'intenzione di vagliare un suo possibile fidanzamento con Carlo Ludovico, fratello minore di Francesco Giuseppe.
Fin da quel primo e formale incontro, fu evidente ai presenti che Francesco Giuseppe si era infatuato non di Elena, ma della più giovane e acerba sorella Elisabetta.
Il giorno dopo Francesco Giuseppe disse alla madre che la sua scelta era caduta su Elisabetta.
Nel ricevimento dato quella sera, l'imperatore ballò il cotillon con Elisabetta. Da quel momento fino al 31 agosto, la coppia di fidanzati trascorse molto tempo insieme e si mostrò pubblicamente.
Francesco Giuseppe ed Elisabetta (1854). Intanto iniziarono le trattative con la Santa Sede per ottenere la necessaria dispensa papale, poiché gli sposi erano primi cugini. Questa stretta parentela, come di consueto per quel tempo, non fu tenuta di conto, nonostante diversi membri della famiglia Wittelsbach avessero già mostrato le tare ereditarie della loro dinastia.
Nel marzo 1854 fu ufficialmente firmato il contratto nuziale e la dote fu fissata in 50.000 fiorini pagati dal duca Massimiliano e 100.000 fiorini pagati dall'imperatore
Non molto tempo dopo le nozze Elisabetta rimase incinta e il 5 marzo 1855 partorì la sua prima figlia, chiamata Sofia come la nonna.
L'arciduchessa Sofia si occupò personalmente della bimba, alla quale fu legatissima.
Già poco più di un anno dopo, il 12 luglio 1856, Elisabetta partorì un'altra bambina, Gisella, parimenti allevata dalla nonna.
In futuro Elisabetta espresse il proprio rammarico per non essersi potuta occupare dei figli. Nel settembre di quell'anno Elisabetta iniziò a far valere i suoi diritti di madre e durante un viaggio in Stiria e nella Carinzia si riavvicinò molto al marito, solitamente compiacente con l'arciduchessa Sofia.
L'imperatrice capì che i viaggi di Stato erano un'occasione preziosa per stare da sola col marito e far valere la sua posizione di sposa e madre.
Elisabetta riuscì a ottenere che la figlia Sofia accompagnasse lei e il marito durante il loro viaggio in Italia nell'inverno tra il 1856 e il 1857.
Per la prima volta, l'imperatrice, sempre acclamata da folle festanti, si rese conto che l'impero non aveva il consenso di tutte le sue popolazioni.
Il regime militaristico austriaco aveva portato come conseguenza il disprezzo e l'odio degli italiani nei confronti degli austriaci.
A Venezia Elisabetta, Francesco Giuseppe e la piccola Sofia attraversarono Piazza San Marco acclamati soltanto dai soldati austriaci, mentre la folla di italiani rimase in silenzio.
Poche settimane dopo dal rientro dall'Italia, si prospettava un altro viaggio di Stato in un'altra inquieta provincia, l'Ungheria.
Tra i magiari era già risaputo che la giovane imperatrice nutriva un profondo interesse per la loro cultura, grazie alle lezioni dategli dal conte Mailáth, e speravano che influenzasse positivamente il marito.
Come nel Lombardo-Veneto, anche in Ungheria la coppia imperiale fu accolta con freddezza, sebbene la bellezza dell'imperatrice ebbe il suo solito successo.
Durante il viaggio nelle province ungheresi, la piccola Sofia si ammalò.
La diciannovenne imperatrice vegliò per undici ore sulla figlia, che spirò il 19 maggio 1857.
Quando tornarono a Vienna, Elisabetta si chiuse in sé stessa e nella propria solitudine, rifiutando di mangiare e di apparire in pubblico.
L'imperatrice, che aveva insistito per ottenere la presenza delle bambine durante il viaggio, rinunciò al suo ruolo di madre, ritenendosi colpevole della morte della figlia, e affidò Gisella all'educazione della nonna.
Nel dicembre del 1857 Elisabetta manifestò i sintomi di una nuova gravidanza. Il 21 agosto 1858 nacque l'arciduca Rodolfo, principe ereditario dell'Impero d'Austria. L'ultima figlia, Maria Valeria, la prediletta da Elisabetta, nacque nel 1868. Fu volutamente fatta nascere a Budapest, un omaggio della regina d'Ungheria ai suoi sudditi favoriti.Inoltre, Elisabetta si occupò personalmente della sua educazione, cosa che non aveva fatto con gli altri tre figli.
A Mayerling, nel 1889, il figlio Rodolfo, l'erede al trono (Kronprinz), morì suicida insieme all'amante, la baronessa Maria Vetsera.
Elisabetta non si riprese mai interamente da quest'ultimo colpo, portando fino all'ultimo giorno della sua vita un lutto strettissimo e, sempre in preda a esaurimenti nervosi, continuò a viaggiare per l'Europa.
Nel 1898, mentre passeggiava sul lungolago di Ginevra per imbarcarsi su un battello, venne uccisa da una stilettata dell'anarchico italiano Luigi Lucheni, che aveva ripiegato sull'Imperatrice d'Austria dopo che il progettato attentato al duca d'Orléans era fallito.
Tanto erano strette le vesti dell'Imperatrice che, dopo l'urto subìto, lei riprese a camminare, non sentendo inizialmente alcun dolore.
La morte avvenne venti minuti dopo la stilettata al ventricolo sinistro, per emorragia interna, poiché il sangue non riusciva a uscire.
La sua tomba si trova a Vienna, nella Kapuzinergruft (Cripta dei Cappuccini), accanto a quella del marito e del figlio.
I moai dell'isola di Pasqua hanno un corpo
I moai dell'isola di Pasqua sono statue monolitiche, cioè ricavate e scavate da un unico blocco di pietra.
Di essi sono visibili solo le teste… ma si è scoperto che presentano interrato anche un corpo altrettanto scolpito che rende queste statue altissime (in media 10 metri)
e pesantissime (in media dalle 75 alle 86 tonnellate).
Sui corpi che recenti scavi hanno portato alla luce sono stati rintracciati dei simboli in “rongorongo”.
STORIA E CARATTERISTICHE
I moai venivano scolpiti direttamente nelle cave, sdraiati con la faccia in su. Successivamente venivano staccati e trasportati sino alla costa dove altri operai li rifinivano. Il viaggio poteva durare anche un anno e non è chiaro come ciò avvenisse. L'ipotesi che riscuote più favore è anche quella più suggestiva: il moai sarebbe stato trasportato in posizione eretta e questa idea rispecchia la tradizione orale che vuole che i moai raggiungessero la loro destinazione camminando.
In realtà Thor Heyerdahl, nel corso di una spedizione effettuata nel 1955, dimostrò come il trasporto fosse fattibile con l'uso di corde e pali in pochi giorni ad opera di una squadra di qualche decina di persone.
I moai hanno tutti un aspetto simile: le labbra serrate con il mento in alto; l'atteggiamento è ieratico e severo tale da suscitare rispetto. Oggi le orbite degli occhi sono vuote, ma un tempo avevano una pupilla di ossidiana circondata da una sclera di corallo bianco, come si può osservare nell'unico moai vedente rimasto (e restaurato).
Ci sono 1000 moai conosciuti sulla superficie dell'isola. La quasi totalità di questi sono stati ricavati da un tufo basaltico del cratere Rano Raraku, dove si trovano quasi 400 statue incomplete. Questa roccia a grana eterogenea è relativamente tenera, a differenza del basalto, che deriva dalla solidificazione di un magma. I cappelli sono invece stati ricavati da un tufo rossastro proveniente dal piccolo cratere di Puna Pau, distante circa 10 chilometri da Rano Raraku.
La cava di Rano Raraku sembra essere stata abbandonata all'improvviso, con alcune statue lasciate ancora incomplete nella roccia.
Tra queste vi è la statua più grande, lunga 21 metri. Praticamente tutti i moai completati furono probabilmente abbattuti dagli indigeni qualche tempo dopo il periodo della costruzione, ma anche i terremoti potrebbero aver contribuito al ribaltamento delle statue.
Sebbene vengano spesso identificati con le teste, molti dei moai hanno spalle, braccia, torsi, che sono stati piano piano, negli anni, sotterrati dalla terra circostante.
Il significato dei moai è ancora oggi poco chiaro ed esistono ancora molte teorie a proposito.
La teoria più comune è che le statue siano state scolpite dai polinesiani abitanti a partire dall'anno 1000 d.C. Il significato più comune tramandato dagli attuali discendenti maori è quello di essere monoliti augurali portatori di benessere e prosperità dove volgono lo sguardo. Per questo nell'isola di Pasqua molti di essi sono rivolti verso il mare, per auspicare sempre un'abbondante pesca.
Si ritiene inoltre che i piccoli moai siano le rappresentazioni degli antenati defunti o di importanti personaggi della comunità, a cui vennero dedicate come segno di riconoscenza, mentre per quelli grandi tra le tante spiegazioni possibili vi è anche quella a sfondo religioso.
I moai sono stati probabilmente artefatti molto costosi; non solo la scultura di ogni statua avrebbe richiesto anni di lavoro, ma avrebbero dovuto anche essere trasportate per tutta l'isola fino alla loro posizione finale. Non si sa esattamente come i moai siano stati spostati, ma quasi certamente il processo ha richiesto slitte e/o rulli di legno.
Si pensa che la domanda di legno necessaria a supportare la continua erezione di statue abbia portato al totale disboscamento dell'isola. Questo spiegherebbe perché la cava sia stata abbandonata all'improvviso. Sono stati rintracciati vari altri tipi di raffigurazioni, come ad esempio le statuette in legno di toromiro che simboleggiano, presumibilmente, gli spiriti degli antenati e le emblematiche statuette moai Kava Kava con le loro rappresentazioni di corpi umani smagriti, probabilmente a causa della scarsità di cibo.
Le antiche leggende dell'isola parlano di un capo clan in cerca di una nuova casa. Il posto che scelse è quella che noi oggi conosciamo come isola di Pasqua. Alla sua morte, l'isola venne divisa tra i suoi figli.
Ogniqualvolta un capo di uno dei clan moriva, un moai veniva posto sulla tomba dei capi. Gli isolani credevano che queste statue avrebbero catturato i "mana" (poteri soprannaturali) del capo, oltre a favorire la protezione degli dèi. Credevano che mantenendo i mana dei capi sull'isola, si sarebbero verificati eventi propizi, sarebbe caduta la pioggia e le coltivazioni sarebbero cresciute.
STORIA E CARATTERISTICHE
I moai venivano scolpiti direttamente nelle cave, sdraiati con la faccia in su. Successivamente venivano staccati e trasportati sino alla costa dove altri operai li rifinivano. Il viaggio poteva durare anche un anno e non è chiaro come ciò avvenisse. L'ipotesi che riscuote più favore è anche quella più suggestiva: il moai sarebbe stato trasportato in posizione eretta e questa idea rispecchia la tradizione orale che vuole che i moai raggiungessero la loro destinazione camminando.
In realtà Thor Heyerdahl, nel corso di una spedizione effettuata nel 1955, dimostrò come il trasporto fosse fattibile con l'uso di corde e pali in pochi giorni ad opera di una squadra di qualche decina di persone.
I moai hanno tutti un aspetto simile: le labbra serrate con il mento in alto; l'atteggiamento è ieratico e severo tale da suscitare rispetto. Oggi le orbite degli occhi sono vuote, ma un tempo avevano una pupilla di ossidiana circondata da una sclera di corallo bianco, come si può osservare nell'unico moai vedente rimasto (e restaurato).
Ci sono 1000 moai conosciuti sulla superficie dell'isola. La quasi totalità di questi sono stati ricavati da un tufo basaltico del cratere Rano Raraku, dove si trovano quasi 400 statue incomplete. Questa roccia a grana eterogenea è relativamente tenera, a differenza del basalto, che deriva dalla solidificazione di un magma. I cappelli sono invece stati ricavati da un tufo rossastro proveniente dal piccolo cratere di Puna Pau, distante circa 10 chilometri da Rano Raraku.
La cava di Rano Raraku sembra essere stata abbandonata all'improvviso, con alcune statue lasciate ancora incomplete nella roccia.
Tra queste vi è la statua più grande, lunga 21 metri. Praticamente tutti i moai completati furono probabilmente abbattuti dagli indigeni qualche tempo dopo il periodo della costruzione, ma anche i terremoti potrebbero aver contribuito al ribaltamento delle statue.
Sebbene vengano spesso identificati con le teste, molti dei moai hanno spalle, braccia, torsi, che sono stati piano piano, negli anni, sotterrati dalla terra circostante.
Il significato dei moai è ancora oggi poco chiaro ed esistono ancora molte teorie a proposito.
La teoria più comune è che le statue siano state scolpite dai polinesiani abitanti a partire dall'anno 1000 d.C. Il significato più comune tramandato dagli attuali discendenti maori è quello di essere monoliti augurali portatori di benessere e prosperità dove volgono lo sguardo. Per questo nell'isola di Pasqua molti di essi sono rivolti verso il mare, per auspicare sempre un'abbondante pesca.
Si ritiene inoltre che i piccoli moai siano le rappresentazioni degli antenati defunti o di importanti personaggi della comunità, a cui vennero dedicate come segno di riconoscenza, mentre per quelli grandi tra le tante spiegazioni possibili vi è anche quella a sfondo religioso.
I moai sono stati probabilmente artefatti molto costosi; non solo la scultura di ogni statua avrebbe richiesto anni di lavoro, ma avrebbero dovuto anche essere trasportate per tutta l'isola fino alla loro posizione finale. Non si sa esattamente come i moai siano stati spostati, ma quasi certamente il processo ha richiesto slitte e/o rulli di legno.
Si pensa che la domanda di legno necessaria a supportare la continua erezione di statue abbia portato al totale disboscamento dell'isola. Questo spiegherebbe perché la cava sia stata abbandonata all'improvviso. Sono stati rintracciati vari altri tipi di raffigurazioni, come ad esempio le statuette in legno di toromiro che simboleggiano, presumibilmente, gli spiriti degli antenati e le emblematiche statuette moai Kava Kava con le loro rappresentazioni di corpi umani smagriti, probabilmente a causa della scarsità di cibo.
Le antiche leggende dell'isola parlano di un capo clan in cerca di una nuova casa. Il posto che scelse è quella che noi oggi conosciamo come isola di Pasqua. Alla sua morte, l'isola venne divisa tra i suoi figli.
Ogniqualvolta un capo di uno dei clan moriva, un moai veniva posto sulla tomba dei capi. Gli isolani credevano che queste statue avrebbero catturato i "mana" (poteri soprannaturali) del capo, oltre a favorire la protezione degli dèi. Credevano che mantenendo i mana dei capi sull'isola, si sarebbero verificati eventi propizi, sarebbe caduta la pioggia e le coltivazioni sarebbero cresciute.
UN TRONO MISTERIOSO
Questo trono è conservato nel British Museum di Londra.
Apparteneva a un capo tribù del Camerun.
La cosa strana non è tanto il trono in se,ma la fisionomia delle figure che lo sorreggono. Due di esse sono somaticamente riconducibili alla razza africana, ma la terza a ben vedere non appartiene a nessuna razza terrestre conosciuta.
Sembrerebbe somigliare in modo impressionante ai cosiddetti grigi di cui abbiamo raffigurazioni in tutto il mondo.
Se adotti un animale usa si il cuore, ma anche la testa
Quando prendi con te un essere vivente con emozioni e sentimenti.
Pensaci bene.
Lui s'impegna fino in fondo ad amarti incondizionatamente.
Ma devi accettare qualche piccolo sacrificio.
Devi dargli cure, da mangiare, da bere e magari qualche coccola non guasterebbe.
E' un impegno reciproco che sempre un pelosino mantiene........e tu umano? Se non sei in grado di capire quello che stai facendo prendendo un cucciolo o un cane o gatto adulto.
Lascia perdere comprati un peluche o una calda copertina.
Solo queste si possono buttare via quando non servono più o ti sei stufato.
SONO COSE UN ANIMALE NON E'UNA COSA......MA UN ESSERE VIVENTE AL PARI DI TE!!!!
Pensaci bene.
Lui s'impegna fino in fondo ad amarti incondizionatamente.
Ma devi accettare qualche piccolo sacrificio.
Devi dargli cure, da mangiare, da bere e magari qualche coccola non guasterebbe.
E' un impegno reciproco che sempre un pelosino mantiene........e tu umano? Se non sei in grado di capire quello che stai facendo prendendo un cucciolo o un cane o gatto adulto.
Lascia perdere comprati un peluche o una calda copertina.
Solo queste si possono buttare via quando non servono più o ti sei stufato.
SONO COSE UN ANIMALE NON E'UNA COSA......MA UN ESSERE VIVENTE AL PARI DI TE!!!!