martedì 13 novembre 2012

Quello che vi auguriamo



Vi auguriamo sogni a non finire e la voglia furiosa di realizzarne qualcuno
 vi auguriamo di amare ciò che si deve amare e di dimenticare ciò che si deve dimenticare
 vi auguriamo passioni
vi auguriamo silenzi
 vi auguriamo il canto degli uccelli al risveglio e risate di bambini
 vi auguriamo di resistere all’affondamento, all’indifferenza, alle virtù negative della nostra epoca.
 Vi auguriamo soprattutto di essere voi stessi.

Giochi e passatempi dell'antico Egitto


La civiltà egizia conosceva numerose forme di divertimento. Osservando i dipinti parietali delle sepolture si nota che i nobili amavano banchettare intrattenendosi con musica e spettacoli di danza ed esercizi acrobatici.
 Alcuni scavi archeologici hanno riportato alla luce giocattoli per bambini: bambole di legno e stoffa con braccia e gambe mobili, coccodrilli di legno con piccole ruote e provvisti di una corda per essere trascinati ed un particolare giocattolo costituito da tre statuette d’avorio che rappresentavano dei danzatori pigmei. Questo antico giocattolo, probabilmente destinato allo svago di un piccolo principe, vedeva i tre pigmei costruiti con gambe e braccia che si potevano muovere tirando delle sottili corde. Il museo egizio di Torino conserva due esemplari di bambole di legno con braccia e testa grossolanamente abbozzate e corpo appiattito come una spatola ma con decorazioni interessanti: una serie di perline in faience disposte in modo alternato su dei sottili fili di lino compongono la capigliatura di una delle bambole. Palle da giocoliere Alcuni dipinti tombali di Beni Hassan raffigurano giovani donne e uomini che eseguono esercizi di abilità e destrezza tirando in aria alcune piccole palle. Queste sfere da giocoliere erano composte internamente con un insieme di papiro e paglia pressati e ricoperte con più strati di lino o cuoio cuciti insieme oppure erano di faience dipinta con colori vivaci come l’azzurro ed il nero.

In un dipinto della tomba di Baqet III viene invece rappresentato il “gioco della stella” forse più simile ad un esercizio di equilibrio. Veniva eseguito da due fanciulle che facendo leva sui piedi ed effettuavano un movimento di rotazione intorno al corpo di due giovani uomini che le sostenevano per i polsi.
Uno dei più antichi giochi da tavolo praticati in Egitto è il “gioco del serpente” chiamato anche Mehen, dal geroglifico MHN che significa serpente arrotolato, esemplari di questo gioco sono stati trovati in alcune tombe di Abydos dell’epoca tinita, nella tomba di Hesy a Saqqara e in sepolture dell’antico regno e del periodo saitico. Il curioso nome di questo gioco è dovuto alla forma a spirale della scacchiera che ricorda un serpente arrotolato la cui testa era riprodotta al centro del cerchio, le caselle assomigliavano alle scaglie del corpo del rettile e si facevano sempre più piccole con l’approssimarsi del centro del Mehen. Anche se le regole del Mehen sono ancora oggi sconosciute dai ritrovamenti archeologici sappiamo che i giocatori dovevano far rotolare lungo la spirale del gioco delle biglie rosse e bianche mentre per spostarsi nelle caselle venivano utilizzate sei pedine a forma di leone e leonessa.

Il Senet, il gioco più popolare dell’Antico Egitto, era un passatempo che appassionava ogni classe sociale e tutto ciò è confermato anche dal ritrovamento di un papiro, oggi conservato nel museo egizio di Torino che riporta l’immagine del gioco. In modo improprio la somiglianza nella disposizione delle caselle è paragonato all’odierna dama infatti il senet è una scacchiera rettangolare divisa in trenta caselle quadrate disposte su tre file parallele. Ogni giocatore lanciava dei bastoncini di legno che avevano la stessa funzione degli odierni dadi, dal risultato ottenuto potevano essere mosse le pedine che dovevano compiere l’intero percorso della scacchiera cercando di evitare alcune caselle che erano considerate “sfortunate”. Numerosi esemplari di senet sono stati ritrovati nelle sepolture oltre ad una ricca produzione pittorica tombale che testimonia la popolarità di questo gioco utilizzato, senza subire grandi trasformazioni, durante l’epoca predinastica fino al periodo greco-romano. Nel Nuovo Regno egizio cominciò ad assumere anche un carattere magico/religioso, la prova di questa cambiamento da gioco d’azzardo ad uso funerario si trova nella formula d’introduzione del capitolo 17 del Libro dei Morti dove viene descritto come il defunto doveva giocare una partita di senet contro un avversario invisibile. Se il defunto aveva compiuto in vita delle buone azioni poteva essere protetto da Osiride, Ra e Thoth e vincere la partita garantendosi un destino favorevole nell’oltretomba.

Nella sepoltura del faraone Tutankhamon sono stati ritrovati quattro senet uno dei quali di splendida fattura costruito in ebano con piedini in oro e intarsi in avorio. Il senet di Tutankhamon è un prezioso esempio di questo gioco ma io preferisco descrivere quello trovato nella sepoltura di Deir el Medina dell’architetto Kha forse meno pregiato ma comunque un oggetto molto interessante. Si tratta di una scatola di legno con un cassetto nella parte anteriore che serviva per contenere le dodici pedine del gioco. Questo particolare senet è formato da 2 facce, quella inferiore è divisa in trenta caselle rettangolari , tre sono incise con geroglifici (probabilmente sono le caselle infauste che dovevano essere evitate nel gioco), cinque pedine hanno la forma di rocchetto e sette di cono con la punta arrotondata. Nella lato superiore l’oggetto riserva una sorpresa: è infatti presente un secondo gioco chiamato “gioco delle venti caselle” o Tkhau(tjau). La superficie è divisa in venti caselle, dodici nel centro e quattro su entrambi i lati dove dodici pedine si muovevano aiutate da astragali, una sorta di dado a quattro facce ottenuto dagli ossi di alcuni animali come il bue o la pecora. Il “gioco del cane e dello sciacallo” è un altro dei passatempi molto conosciuti nell’antico Egitto e la diffusione di questo passatempo andò oltre i confini egiziani infatti sono stati ritrovati esemplari anche in Palestina. Era un gioco a forma di piccolo tavolo di legno posto su quattro zampe di animale, sul lato superiore erano realizzati su due file trenta fori simmetrici su quali si mettevano dei bastoncini appuntiti di avorio, osso o bronzo decorati alle estremità con teste di sciacallo e cane. Questo gioco è stato inventato probabilmente nel Medio Regno egizio ed un bellissimo esemplare è oggi conservato al Metropolitan Museum di New York, realizzato in legno di sicomoro intarsiato in avorio ed ebano.

Il mollusco che cambia sesso per sopravvivere


Secondo un recente studio, Lissarca miliaris, un bivalve che vive in Antartide, con l'età cambia sesso da maschio a femmina per adattarsi a un ambiente estremo. 
Secondo uno studio condotto dagli scienziati del National Oceanography Centre di Southampton e pubblicato su Polar Biology, questi molluschi ermafroditi si riproducono attraverso i gameti maschili durante le fasi iniziali di sviluppo (cioè fino a quando la conchiglia non raggiunge i tre centimetri di lunghezza), per poi "cambiare sesso" e iniziare a riprodursi con i gameti femminili, una volta raggiunta una grandezza tale da poter ospitare le uova.
"Con grande sorpresa abbiamo scoperto un numero importante di uova piccolissime nei maschi fertili, molte di più di quelle che un singolo potesse curare nel corso di tutta la sua vita", ha dichiarato a BBC Nature Adam Reed, responsabile dello studio.
Nonostante il sesso dominante della specie cambi con l'età, infatti, sia le gonadi maschili che quelle femminili persistono per tutta la durata della vita dell'individuo.
Questi piccoli bivalvi dalla vita breve - vivono fino a sei anni - hanno sviluppato alcune caratteristiche per massimizzare la propria resa riproduttiva in un ambiente dove il freddo e la scarsità di produzione primaria mettono a rischio la propria sopravvivenza e quella dei piccoli:
l'incubazione delle uova e lo sviluppo delle larve avvengono all'interno della cavità del mantello della madre e i piccoli vengono rilasciati solo quando lo sviluppo è completo.

Tratto- Da National Geographic

Il tempio di vesta


Il tempio di Vesta, uno dei più antichi e importanti santuari di Roma, ospitava il "fuoco sacro", simbolo della comunità e dello Stato ed era strettamente connesso con la Casa delle Vestali, insieme alla quale costituiva un complesso unitario denominato Atrium Vestae. Il tempio fu eretto probabilmente nel IV secolo a.C. ed era costituito da un podio in opera cementizia rivestito di marmo, al quale si addossavano le basi che sostenevano un anello di 20 colonne corinzie scanalate che racchiudevano la cella, anch'essa circolare, all'interno della quale era custodito il "fuoco sacro" continuamente acceso: il tetto, conico, aveva un'apertura centrale per permettere la fuoriuscita del fumo. Va segnalato che nessun simulacro della dea era qui custodito, mentre invece si presume che una statua della divinità fosse contenuta nell'edicola situata all'ingresso della Casa delle Vestali. Nella cavità trapezoidale che si apriva nel podio, ed alla quale si accedeva soltanto dalla cella, probabilmente si deve riconoscere il penus Vestae, il sito proibito alla vista di tutti tranne che alle Vestali, dove erano conservati i pignora civitatis, gli oggetti sacri ai destini di Roma e "pegno" delle sue fortune, che Enea, secondo la leggenda, avrebbe trasportato da Troia: tra tutti il più importante era il Palladio, un simulacro arcaico di Minerva. Quando l'incendio neroniano del 64 d.C. distrusse, con gran parte della città, anche il tempio e la Casa delle Vestali, le due costruzioni vennero sostituite, ad un livello più alto, dagli edifici attualmente visibili. Il tempio, pur attraverso numerose modifiche, conservò la forma e le dimensioni allora stabilite, insieme al nuovo orientamento, basato su quello prevalente del Foro Romano. Dopo la fase neroniana vi fu un totale rifacimento nel periodo di Traiano e poi un successivo restauro attribuibile alla moglie di Settimio Severo, Giulia Domna, in seguito all'incendio del 191 d.C., molto probabilmente mantenendo la stessa forma conferitagli dalla ricostruzione neroniana del 64 d.C. L'aspetto attuale è dovuto alla ristrutturazione del 1930, durante la quale furono utilizzati numerosi frammenti originali, completati da restauri in travertino.

I misteri del monte Musinè,

Il monte Musinè, che in dialetto piemontese significa “asinello”, si trova a 20 km da Torino.
Dalla forma vagamente piramidale, spoglio e inospitale nella parte superiore Musinè è il monte più misterioso d’Italia, un rilievo sinistro su cui nulla attecchisce, nulla riesce a crescere, tranne cespugli rinsecchiti, erbacce circondate da grovigli di vipere.
I motivi per le cui viene annoverato fra i luoghi misteriosi.
Secondo alcuni scritti del ‘600 e ‘700 la vallata fu spesso percorsa da “musiche demoniache”, accompagnate da urla angosciose cariche di dolore.
Secondo alcuni storici in questa zona nel cielo apparve a Costantino la croce fiammeggiante con la scritta “In Hoc Signo Vinces”, che convinsero l’imperatore a convertirsi al Cristianesimo.
I cosiddetti “Campi Taurinati”, di cui parlano le cronache dell’epoca, sembrerebbero coincidere con la zona pianeggiante di Grugliasco e Rivoli che separa Torino dal massiccio del Musinè.
Questa zona si troverebbe su una linea “ortogonica” (una di quelle che circondano la Terra come una ragnatela e che indicano zone di particolare concentrazione di energia) che, entrando dalla Francia, attraversa tutta la nostra penisola.
Da sempre nella zona si osservano misteriosi bagliori azzurri, verdastri e fluorescenti.
Se ne parla fin dal 966 d.c.Epoca in cui il vescovo Amicone consacrò la chiesa di San Michele sul monte Pirchiano, di fronte al Musinè.
Quella notte i valligiani videro uno spettacolo affascinante e pauroso. In cielo apparvero travi e globi di fuoco che illuminarono la chiesa come se fosse scoppiato un incendio.
Altre storie parlano di carri di fuoco che spesso sorvolavano la vetta. Ai giorni nostri frequenti sono gli avvistamenti notturni e diurni di UFO
Il monte era un antico vulcano spento da millenni, ricco di gallerie e passaggi irregolari scavati dallo scorrere dell’antico magma, in gran parte però inesplorati.
Ai piedi del Musinè esiste un “cono d’ombra” cioè una zona di interferenza che oscura qualsiasi trasmissione radio.
Anche gli aerei privati che si trovano a sorvolare il luogo vengono disturbati nelle loro trasmissioni radio. Questi problemi cessano nel momento in cui ci si allontana dalla montagna. La vegetazione, particolarmente ricca ai piedi del monte, si dirada col crescere dell’altitudine. La Forestale ha inutilmente tentato di rimboscare la zona,ma le giovani piante muoiono. Si crede siano le emanazioni radioattive di una base segreta a produrre tale sterilità.
Le pendici sono ricche di d’incisioni rupestri e di grosse pietre disposte in modo forse rituale,appartenenti a un passato ignoto. In un masso vi è raffigurata una giraffa, animale che non viveva in in questa zona, nemmeno nel neolitico.
Le pietre sono disposte in maniera tale da formare delle mappe celesti. Sono rappresentate la Croce del Nord, l’Orsa Maggiore, l’Orsa Minore, Cassiopea e le Pleiadi. cioè tutto l’emisfero boreale e anche altre raffigurazioni non ancora identificate.
Il Musinè ha uno stranissimo obelisco che acquistò fama mondiale grazie ad un libro di Peter Kolosimo intitolato “Astronavi sulla preistoria”. Le incisioni raffigurano alcune croci, probabilmente cinque persone, un cerchio in alto a sinistra con un punto al centro e due semicerchi tagliati nella parte inferiore assolutamente somiglianti ai moderni dischi volanti. Secondo lo scrittore rappresenterebbero le evoluzioni di macchine aeree viste in cielo dai nostri antichi antenati.


Le riposte della scienza:

Le luci nel cielo sono fulmini globulari (fenomeno raro) o fulmini tradizionali, attratti dalla magnetite sottostante (va detto però che ci sono state manifestazioni anche senza temporali).

Gli avvistamenti UFO in questa zona è maggiore  che in tutta Italia.
La luminosità sulle pendici del monte è dovuta alla presenza di “fuochi fatui”,per la presenza di gas ancora all’interno della montagna. ( dopo millenni?)
I “fuochi fatui” sono il prodotto della decomposizione di materia organica (cosa c'è sotto allora?) 
La mancanza di fonti d’acqua nel sottosuolo determina la morte delle piante (quindi perché questa insistenza,costante e dispendiosa per cercare di rimboschire la zona?)
Qualche frana potrebbe portare alla luce qualcosa che si vuole celare?

Occhio all'intruso


Non sembra gradire molto la presenza di ospiti quest'aquila di mare testabianca (Haliaeetus leucocephalus) mentre si nutre sulle rive del fiume Squamish, vicino alla località di Brackendale, a una settantina di chilometri da Vancouver (Columbia Britannica). Queste aquile si radunano ogni anno in questa zona (Brackendale Eagle Reserve) da metà novembre fino a febbraio inoltrato. Qui cacciano i salmoni che risalgono il fiume, circondati da corvi e gabbiani che come spazzini raccolgono i loro avanzi.

Tipici del Nord America, questi uccelli furono adottati come emblema nazionale nel 1782 nonostante l'opposizione di Benjamin Franklin, che avrebbe preferito il tacchino, animale dal carattere più pacifico.




Fonte : Focus.it

Villa Palagonia , la villa dei mostri


Superba ed eccentrica, Villa Palagonia meglio conosciuta come la Villa dei Mostri, è uno dei monumenti siciliani barocchi più conosciuti a livello nazionale e internazionale. La villa fu fatta costruire nel 1715 da Francesco Ferdinando Gravina, principe di Palagonia. Per la progettazione fu incaricato il frate domenicano Tommaso Maria Napoli, architetto coadiuvatore del Senato di Palermo, con la collaborazione di un altro grande e stimato architetto siciliano, Agatino Daidone. Tommaso Maria Napoli ebbe il merito di conferire alla villa uno straordinario disegno planimetrico unitario, con tutti gli elementi che si sviluppano e agiscono coordinatamente rispetto all'asse baricentrico del viale. Sia il casino principale che i corpi bassi, i cortili ed il viale soggiacciono infatti, ad un unico asse prospettico. Morto il fondatore nel 1737 gli succedette il figlio Ignazio Sebastiano che morì nel 1746. Fu il figlio di questi, Francesco Ferdinando II, a iniziare i lavori per la realizzazione dei corpi bassi che circondano la villa e a ideare le numerose statue grottesche ed il bizzarro arredamento della villa. Ad Henry Swinburne che nel 1777 chiese al principe notizie sull'originale iconografia dei mostri, egli rispose: ''In Egitto, secondo Diodoro Siculo, l'azione dei raggi solari sul limo del Nilo è talmente potente da far scovare ogni sorta di animale''. Nasce da questa convinzione, probabilmente, la villa dei mostri, chiamata così per le particolari decorazioni che adornano i muri esterni dei corpi bassi, formate da statue in "pietra tufacea d'Aspra", raffiguranti animali fantastici, figure antropomorfe, statue di dame e cavalieri, gnomi, centauri, draghi, suonatori di curiosi strumenti, figure mitologiche e mostri di tutti i tipi e tempi. Inizialmente le statue erano più di 200, mentre oggi ne restano appena 62, molte delle quali in cattivo stato di conservazione, annerite dallo smog e sbriciolate dagli anni.
La tradizione vuole, inoltre, che il principe di Palagonia fosse brutto e deforme e quindi, quasi per vendicarsi del suo avverso destino, volle ridicolizzare attraverso una serie di caricature amici e conoscenti che lo circondavano e che partecipavano ai tanti ricevimenti che egli era solito tenere nel suo palazzo. Anche l'arredamento dei saloni era alquanto bizzarro: i piedi di alcune sedie erano segati in maniera disuguale così che rimanessero zoppe, mentre altre erano talmente inclinate in avanti che bisognava fare molti sforzi per non scivolare e cadere. Sotto i velluti delle sedie spesso erano stati nascosti spilli e spuntoni.

Patrik Brydon nel suo ''Viaggio in Sicilia ed a Malta'' (1770) così scrisse: ''Il Palazzo di Palagonia per la sua bizzarria non ha uguale sulla faccia della terra... il Principe di Palagonia ha dedicato la sua vita intera allo studio delle chimere e di mostri e se ne è fatti fare tanti che più ridicoli e più strani neppure la fantasia dei più arditi scrittori di romanzi e storie di cavalieri erranti avrebbero saputo creare (...) pare di essere capitato nel paese dell'illusione e dell'incantesimo. Costui ha posto teste umane su corpi di animali di ogni genere e teste di animali su corpi umani. Talvolta poi ricorre all'incrocio di cinque o sei bestie diverse che non hanno alcun riscontro in natura. Mette una testa di leone su un collo d'oca e sotto ti colloca un corpo di lucertola, zampe di capra ed una coda di volpe. Sul dorso di questo mostro ne pone uno più orrendo se è possibile con cinque o sei teste ed una foresta di corna tale da dar dei punti alla bestia dell'Apocalisse (...). L'orologio a pendolo è sistemato nel corpo di una statua. Gli occhi della figura si muovono col pendolo. La camera da letto e lo spogliatoio sembravano due scomparti dell'arca di Noè. Bestie che compaiono li dentro: rospi, ranocchi, serpenti, lucertole, scorpioni tutti scolpiti in marmo di colore adatto. Ci sono anche molti busti altrettanto stravaganti. In alcuni si vede da una parte un bellissimo profilo, girati dall'altra si presenta uno scheletro, oppure una balia con un bambino in braccio col corpo di un infante, ma la faccia è quella grinzosa di una vecchia di 90 anni''.

Il palazzo si articola in due piani. Si accede al piano nobile attraverso uno scalone a doppia rampa in prezioso marmo di Billiemi sotto il fastoso principesco stemma della famiglia Gravina. Subito ci si imbatte in un vestibolo ellittico fatto affrescare con scene raffiguranti le ''fatiche di Ercole'', in omaggio al nuovo gusto di fine '700. Alla sua destra si trova la "Sala degli specchi", il meraviglioso salone quadrato di ricevimento decorato in maniera lussuosa con marmi di svariato colore, con il tetto interamente coperto di specchi che deformavano, deridendole, le figure riflesse. Nei muri medaglioni e busti artistici raffiguranti il principe e persone di famiglia, scolpiti nel marmo dal Gagini. Da questo ampio salone si accede alla sala della cappella e, di fronte ad essa, attraversando la "Sala degli specchi" si giunge nella sala del biliardo. La costruzione della villa costò al principe di Gravina centomila scudi, una cifra enorme per i tempi. Oggi il palazzo, monumento nazionale di proprietà privata, purtroppo è in pessimo stato di manutenzione. Nel 1885 la villa fu acquistata dalla famiglia Castronovo che, grazie ai suoi eredi, ne rende possibile la visita.

Tratto da "Viaggio in Italia - Sicilia", di W. Goethe Bestie: parti isolate delle stesse, cavalli con mani d’uomo, corpi umani con teste equine, scimmie deformi, numerosi draghi e serpenti, zampe svariatissime e figure di ogni genere, sdoppiamenti e scambi di teste. Vasi: tutte le varietà di mostri e di cartocci che terminano in pance di vasi e piedistalli. Immaginate tali figure a bizzeffe, senza senso e senza ragione, messe assieme senza scelta né discernimento, immaginate questi zoccoli e piedistalli e deformità allineate a perdita d’occhio: e proverete il penoso sentimento che opprime chi si trova a passare sotto le verghe da questa follia. Accostandoci alla villa siamo accolti dalle braccia di un avancortile semicircolare: il muro di fondo nel quale s’apre il portone ha l’aspetto di una fortezza. Una statua egiziana immurata, una fontana asciutta, vasi e statue sparsi di qua e di là disordinatamente. Entriamo nel cortile della villa che, come di solito è circolare ed attorniato da basse costruzioni disposte a piccoli semicerchi, perché non venga meno la varietà. Il pavimento è in massima parte erboso. Come in un camposanto abbandonato, ecco vasi di marmo stranamente decorati che risalgono al principe padre, e nani e mostri dell’epoca recente gettati alla rinfusa e che finora non sono riusciti a trovarsi un posto; si passa anche davanti ad una pergola piena zeppa di vecchi vasi e di altre "ghirigorate" pietre. Ma l’assurdità di una mente priva di gusto si rivela al massimo grado nel fatto che i cornicioni delle costruzioni minori sono sghembi, pendono a destra o a sinistra, così che il senso dell’orizzontale o della verticale, che insomma ci fa uomini ed è fondamento di ogni euritmia, riesce tormentato e torturato in noi. E anche questi tetti sono popolati e decorati di idre di piccoli busti e di orchestre di scimmie ed altre dabbenaggini. Draghi alternati a dei, un atlante che regge non il cielo ma una botte di vino se poi si spera di scampare da queste assurdità nella villa, costruita dal padre e dall’esterno abbastanza ragionevole, ecco che poco dopo il portone si incontra la testa coronata di lauro di un imperatore romano sul corpo di un nano che a sua volta cavalca un delfino...

Il ghiacciaio Taylor

Il ghiacciaio Taylor (in inglese Taylor Glacier) è un ghiacciaio della terra della regina Victoria in Antartide.
Scoperto durante la spedizione Discovery del 1901-04 di Robert Falcon Scott Recentemente il ghiacciaio è stato oggetto di studio da parte dell'Università della California (Berkeley) e della University of Texas (Austin).
Cascate di sangue Durante la bella stagione una fonte alimenta una cascata di colore rossastro. Questo fenomeno detto cascate di sangue è conosciuto da un centinaio di anni. Studi recenti effettuati delle università del Montana e di Harvard, hanno analizzato campioni di acqua della fonte ricca in minerali di ferro e zolfo, acqua che secondo i ricercatori proviene da un lago di acqua salmastra sepolto sotto i ghiacci. Le analisi hanno mostrato una insolita vita batterica. In precedenza si pensava che il fenomeno fosse generato da alghe rosse, che in altre regioni colorano di rosso i nevai. Queste acque sono completamente isolate dal resto del mondo da 1.5 milioni di anni, quando quel tratto di mare venne completamente coperto di ghiacci. Questo lago ospita un ecosistema completamente sconosciuto, sottoposto a condizioni di vita estreme. Le condizioni di buio, freddo e scarsità di ossigeno sono così rigide che erano considerate finora assolutamente ostili alla vita. I microbi sono molto simili ad alcune specie che vivono negli ambienti marini e si pensa che la colonia che ora vive sotto il ghiaccio vivesse nelle acque antartiche quando queste erano più calde e si è poi straordinariamente adattata alla nuova condizione.

Le primarie su Sky tutte da ridere

Come sono

Il Fatto Quotidiano, in un articolo a firma di Davide Vecchi, racconta i retroscena del confronto per le primarie andato in onda su Sky.
A partire dalla claque che si sono portati i candidati (che tristezza):
Ciascuno dei cinque ha garantito in sala la propria claque:
70 persone per candidato sono sedute in studio.
C’è Giorgio Gori, che ovviamente fa il tifo per Renzi, ma rimane seduto in disparte e non si spella di certo le mani.
Si limita a commentare con i vicini di poltrona.
E si dice soddisfatto dalla prestazione renziana, soprattutto per la risposta del sindaco di Firenze su Sergio Marchionne: “Se fa una macchina decente magari la compriamo”.
Per il resto Gori è attento e rigido. Osserva, studia il suo uomo: lui li conosce bene i reality e ha preparato Renzi a dovere.
Con il tempo anche Vendola si adegua, tanto che nelle pause non si lamenta più. Ma il vero duello è tra Bersani e Renzi. Il sindaco, ogni volta che il segretario del Pd parla, controlla il timer che segna il tempo a disposizione per rispondere:
E ogni volta che Bersani sfora, Renzi fissa il conduttore e sgrana gli occhi. Si innervosisce, ma sforano tutti, compreso lui.
Nelle pause pubblicitarie si ritira da solo in un angolo, non parla con Gori e cerca la sua portavoce, Simona Bonafè, arrivata in ritardo per un contrattempo: le hanno rubato la valigia al suo arrivo in stazione Centrale.
Lei è leggermente adirata, lui piuttosto scocciato: ha ben altro a cui pensare. Si consola con gli applausi dei supporter presenti in sala. 

Come li vedono alcuni

I tatuaggi della principessa siberiana


Tatuaggi complessi e astratti come quelli moderni sono stati trovati sul corpo d’una principessa siberiana seppellita nel permafrost per più di 2500 anni. Natalia Polosmak, la scienziata che ha trovato i resti della principessa Ukok nelle alte montagne vicino al confine della Russia con la Mongolia e la Cina, ha detto che è stata colpita da quanto poco è cambiato nel corso di due millenni. Si ritiene che tatuaggi di creature mitologiche e disegni complessi fossero simboli di stato per l'antico popolo nomade dei Pazyryk, descritto dallo storico greco Erodoto nel v secolo a.C. Sulla spalla sinistra dell'antica 'Principessa', che morì a circa 25 anni, è stato trovato un tatuaggio sorprendente di un cervo con un becco di grifone e zampe da Capricorno. I palchi sono decorati con teste dei grifoni. E la stessa testa di Grifone appare sul dorso dell'animale. Ha anche la testa di un cervo sul suo polso, con grandi corna. "La nostra giovane donna - la ' Principessa' - ha solo le due braccia tatuate," la detto la Dr. Polosmak ha detto al Siberian Times. "Così essi identificavano sia l’età sia la sua condizione sociale."

Sepolti con la 'Principessa' erano sei cavalli sellati e imbrigliati, ornamenti di bronzo e oro - e un piccolo barattolo di cannabis. Lei in realtà non era una 'Principessa', come suggerisce il suo nome. Gli esperti sono divisi se lei fosse una poetessa, una guaritrice o una santa donna. Due guerrieri recuperati dallo stesso sito di sepoltura nel permafrost dell'altopiano Ukok erano creature fantastiche simili a lei. Uno aveva un'immagine che copriva tutta la sua spalla destra dal petto alla schiena. I tatuaggi ricostruiti sono stati rilasciati per permettere lo spostamento dei resti della principessa per una mostra permanente nel Museo nazionale di Gorno-Altaisk. "I tatuaggi erano usati come mezzo di identificazione personale - come oggi si usa un passaporto, se volete," ha detto la Dr. Polosmak. "Credo che non ci siamo allontanati dagli antichi Pazyryk per come sono fatti i tatuaggi oggi. "Possiamo dire che per la maggior parte delle persone probabilmente c'era - e c’è - un posto sul corpo per iniziare a mettere i tatuaggi, e che fosse la spalla sinistra. Posso presumere così perché tutte le mummie che abbiamo trovato con solo un tatuaggio lo avevano sulla spalla sinistra. "E oggi questo è la stessa posizione dove le persone cercano di mettere i tatuaggi, dopo migliaia di anni. "Credo che ciò sia collegato alla composizione del corpo - perché la spalla di sinistra è il luogo dove è più evidente, dove sembra più bello."

 Fonte: News.com.au

Vivi, fai quello che ti dice il cuore


Ti criticheranno sempre, parleranno male di te e sarà difficile che incontri qualcuno al quale tu possa piacere cosi come sei! Quindi vivi, fai quello che ti dice il cuore, la vita è come un’opera di teatro, ma non ha prove iniziali: canta, balla, ridi e vivi intensamente ogni giorno della tua vita prima che l’opera finisca priva di applausi.


Charlie Chaplin

Il teatro dell’opera di Sydney


Edificio dalla singolare ed originale struttura architettonica, il teatro dell’opera di Sydney è considerato uno dei simboli dell’Australia e della città in cui sorge. Immediatamente riconoscibile dal profilo dei gusci a sezione sferica del tetto che ricordano vele gigantesche, è posto su di un promontorio artificiale chiamato Bennelong Point, che si protende nella baia della più antica città australiana. Posto in una scenografica collocazione, direttamente sull’oceano e circondato da esso su tre lati, il complesso è situato nelle vicinanze del Sydney Harbour Bridge (il ponte ad arco che attraversa la baia di Sydney). E’ progettato dall’architetto danese Jorn Utzon dopo aver vinto un concorso internazionale indetto per la progettazione di un nuovo centro artistico a Sydney. Utzon lavora in collaborazione con la società di ingegneria londinese Ove Arup & Partners; la struttura non è di facile realizzazione: infatti, dopo l’inizio dei lavori nel 1959, la base vede il suo completamento dopo ben 4 anni.
La costruzione dei gusci del tetto è una delle imprese di ingegneria più ardue ad essere mai state tentate. I gusci sono composti da elementi prefabbricati di cemento armato e rivestiti da oltre un milione di piastrelle bianche. La realizzazione di questa opera suscita incessanti polemiche a causa della sua complessità: stanco delle pressioni, nel 1966 Utzon è costretto a rinunciare al progetto. Dopo di lui, un gruppo di architetti con a capo Peter Hall assumono l’incarico e, nel 1967, portano a termine i lavori.




Gli interni della struttura terminano 4 anni più tardi. Il teatro dell’opera di Sydney è inaugurato ufficialmente il 20 ottobre 1973 dalla Regina Elisabetta II del Regno Unito. Per l’occasione la cerimonia è arricchita da uno spettacolo di fuochi d’artificio e dall’esecuzione della Nona Sinfonia di Beethoven.

Il complesso è composto all’interno da varie sezioni. Vi è l’Auditorium (Concert Hall), il più grande di tutti i luoghi interni dell’edificio, adatto per le rappresentazioni acustiche; al suo interno si trova il Grande Organo a Canne, realizzato dall’organaro australiano Ronald William Sharp e dotato di 10.500 canne.

L’organo, installato nel 1979, è stato inaugurato con il celebre brano di Johann Sebastian Bach “Toccata e Fuga in Re minore”. La sala del Teatro dell’Opera (Opera Theatre) è utilizzata per ospitare opera lirica, balletto e danza contemporanea, mentre il Teatro della Prosa (Drama Theatre) ospita rappresentazioni teatrali tradizionali e danza. Una sala multifunzionale, la Playhouse, viene utilizzata per eventi di vario tipo: proiezioni cinematografiche, presentazioni e conferenze.

The Studio invece è utilizzato per spettacoli di musica contemporanea, proiezioni di film, cocktail party, spettacoli di cabaret e circo. La Utzon Room è uno spazio adatto a feste, funzioni aziendali e piccole produzioni di ogni genere. Tutto il complesso è meta turistica di notevole importanza, anche grazie alla presenza di un parco di divertimenti e di un ampio parcheggio. Questa opera, con il suo design nato da idee progettuali innovative, capolavoro della creatività umana, rappresenta una delle “sculture urbane” più significative del XX° secolo e dal 2007 è iscritta nella lista dell’Unesco quale Patrimonio dell’Umanità.
IL mondo non è di chi si alza presto.
Il mondo è di colui che si alza felice di farlo