venerdì 2 novembre 2012
El Mirador (Guatemala)
Il sito archeologico conosciuto oggi con il nome di “El Mirador”, ubicato in piena giungla mesoamericana (Guatemala), fu scoperto parzialmente solo nel 1930. Fu solo nel 1962 però, che il ricercatore Ian Graham condusse i primi studi dell’area e tracciò una mappa della città. Secondo gli ultimi studi, il sito di El Mirador potrebbe essere stato abitato a partire dal 1800 a.C., ma il periodo classico della città fu raggiunto intorno al 300 a.C. e durò per 2 secoli fino al 100 a.C. In questo periodo la civiltà dei Maya aveva già raggiunto traguardi importante, per esempio nel campo della complessa scrittura. Recenti scavi hanno dimostrato che il sito di El Mirador fu abbandonato intorno al 100 d.C. per motivi ignoti, e fu poi rioccupato nel 700 d.C, per essere poi definitivamente abbandonato nel 900 d.C.
Gia quest’ultimo dato è un enigma a tutt’oggi irrisolto: perché abbandonare una città importante per poi tornare ad occuparla dopo secoli?
Bisogna notare che la civiltà dei Maya non aveva raggiunto un perfetto dominio dei cicli dell’agricoltura ed è pertanto possibile che in seguito a siccità prolungate, gli abitanti di El Mirador abbiano preferito emigrare in massa verso un luogo nuovo e più umido. Poi dopo alcuni secoli i discendenti dei primi abitatori di El Mirador potrebbero aver voluto riportare in vita antiche tradizioni religiose e per questo si sarebbero ri-ubicati vicino alla grande piramide.
E’ solo un’ipotesi, ma sono necessari ulteriori studi per comprovarla.
A giudicare dall’estensione del sito, (ben 26 chilometri quadrati), e dalle centinaia di edifici, tra i quali varie strutture alte 30 metri, oltre all’edificio detto El Tigre (alto 55 metri) e alla piramide La Danta (alta ben 72 metri), si può giungere alla conclusione che El Mirador fu abitato da decine di migliaia di persone, che raggiunsero una specializzazione del lavoro tale da poter realizzare edifici complessi e polifunzionali.
Recenti studi hanno dimostrato che el Mirador era interconnesso ad altre città vicine da reti di strade che erano dette sacbeob. Infatti vi sono alcune vie che si dipartono da El Mirador e giungono a Nakbé (12 chilometri di distanza) o a El Tintal (20 chilometri di distanza). E’ pertanto ipotizzabile che vi fossero dei flussi commerciali tra le varie città vicine al centro di El Mirador (e forse anche con Tikal), per esempio per scambiare minerali come la giada, la ossidiana e il lapislazuli, con prodotti agricoli. La caratteristica principale di El Mirador è che vi si trovano varie piramidi triadiche, ovvero strutture formate da una piramide principale affiancata a sua volta da due altri edifici, il tutto ubicato su di una piattaforma cerimoniale. Quale fu l’origine delle costruzioni triadiche? E’ possibile che il concetto della Trinità Universale abbia spinto gli antichi costruttori di El Mirador a edificare questo tipo di strutture? La più importante delle strutture triadiche e certamente la piramide di La Danta (nome recente, infatti in spagnolo danta significa tapiro). Innanzitutto La Danta è alta ben 72 metri (supera il tempio del serpente bicéfalo di Tikal), ed è pertanto la più alta piramide antica del Nuovo Mondo. Anche il volume totale della struttura non è da poco: ben 2.800.000 metri cubi ovvero 200.000 in più della grande piramide di Cheope a Giza (Egitto). La piramide fu costruita probabilmente in tempi sucessivi a partire da un grande basamento rettangolare di ben 320×600 metri.
Attualmente sono in corso studi approffonditi per conoscere se la piramide di La Danta era utilizzata solo per scopi cerimoniali e rituali o anche per altre funzioni. In ogni caso El Mirador non finisce di stupire gli studiosi che si dedicano a tentare di svelarne i segreti. Pochi anni or sono è stata portata alla luce una meravigliosa scultura in bassorilievo raffigurante una scena della mitologia Maya nella quale l’essere doppio Ixbalanque-Hunacpù esce dall’inframondo, portando con se la testa di suo padre Hun-Hunapú.
YURI LEVERATTO
pianetablunews
Recenti studi hanno dimostrato che el Mirador era interconnesso ad altre città vicine da reti di strade che erano dette sacbeob. Infatti vi sono alcune vie che si dipartono da El Mirador e giungono a Nakbé (12 chilometri di distanza) o a El Tintal (20 chilometri di distanza). E’ pertanto ipotizzabile che vi fossero dei flussi commerciali tra le varie città vicine al centro di El Mirador (e forse anche con Tikal), per esempio per scambiare minerali come la giada, la ossidiana e il lapislazuli, con prodotti agricoli. La caratteristica principale di El Mirador è che vi si trovano varie piramidi triadiche, ovvero strutture formate da una piramide principale affiancata a sua volta da due altri edifici, il tutto ubicato su di una piattaforma cerimoniale. Quale fu l’origine delle costruzioni triadiche? E’ possibile che il concetto della Trinità Universale abbia spinto gli antichi costruttori di El Mirador a edificare questo tipo di strutture? La più importante delle strutture triadiche e certamente la piramide di La Danta (nome recente, infatti in spagnolo danta significa tapiro). Innanzitutto La Danta è alta ben 72 metri (supera il tempio del serpente bicéfalo di Tikal), ed è pertanto la più alta piramide antica del Nuovo Mondo. Anche il volume totale della struttura non è da poco: ben 2.800.000 metri cubi ovvero 200.000 in più della grande piramide di Cheope a Giza (Egitto). La piramide fu costruita probabilmente in tempi sucessivi a partire da un grande basamento rettangolare di ben 320×600 metri.
Attualmente sono in corso studi approffonditi per conoscere se la piramide di La Danta era utilizzata solo per scopi cerimoniali e rituali o anche per altre funzioni. In ogni caso El Mirador non finisce di stupire gli studiosi che si dedicano a tentare di svelarne i segreti. Pochi anni or sono è stata portata alla luce una meravigliosa scultura in bassorilievo raffigurante una scena della mitologia Maya nella quale l’essere doppio Ixbalanque-Hunacpù esce dall’inframondo, portando con se la testa di suo padre Hun-Hunapú.
YURI LEVERATTO
pianetablunews
La causa primaria del Cancro
Pochissime persone in tutto il mondo lo sanno, perché questo fatto è nascosto dall’industria farmaceutica e alimentare.
Nel 1931 lo scienziato tedesco Otto Heinrich Warburg ha ricevuto il Premio Nobel per la scoperta sulla causa primaria di cancro.
Proprio così, e ha vinto il Premio Nobel.
Otto ha scoperto che il cancro è il risultato di un potere anti-fisiologico e di uno stile di vita anti-fisiologico.
Perché? poiché sia con uno stile anti-fisiologico nutrizionale (dieta basata su cibi acidificanti) e l’inattività fisica, il corpo crea un ambiente acido. (Nel caso di inattività, per una cattiva ossigenazione delle cellule.)
L’acidosi cellulare causa l’espulsione dell’ossigeno La mancanza di ossigeno nelle cellule crea un ambiente acido.
Egli ha detto: “La mancanza di ossigeno e l’acidità sono due facce della stessa medaglia:.
Se una persona ha uno, ha anche l’altro”
Cioè, se una persona ha eccesso di acidità, quindi automaticamente avrà mancanza di ossigeno nel suo sistema.
Se manca l’ossigeno, avrete acidità nel vostro corpo.
Egli ha anche detto: “Le sostanze acide respingono ossigeno, a differenza delle alcaline che attirano ossigeno.”
Cioè, un ambiente acido è un ambiente senza ossigeno.
Egli ha dichiarato: “privando una cellula del 35% del suo ossigeno per 48 ore e’ possibile convertirla in un cancro” “Tutte le cellule normali, hanno il bisogno assoluto di ossigeno, ma le cellule tumorali possono vivere senza ossigeno”. (Una regola senza eccezioni.)
I tessuti tumorali sono acidi, mentre i tessuti sani sono alcalini.”” Nella sua opera “Il metabolismo dei tumori,”
Otto ha mostrato che tutte le forme di cancro sono caratterizzate da due condizioni fondamentali: acidosi del sangue (acido) e ipossia (mancanza di ossigeno).
Ha scoperto che le cellule tumorali sono anaerobiche (non respirano ossigeno) e non possono sopravvivere in presenza di alti livelli di ossigeno.
Le cellule tumorali possono sopravvivere soltanto con glucosio e in un ambiente privo di ossigeno.
Pertanto, il cancro non è altro che un meccanismo di difesa che ha alcune cellule del corpo per sopravvivere in un ambiente acido e privo di ossigeno.
In sintesi:
Le cellule sane vivono in un ambiente ossigenato e alcalino che consente il normale funzionamento.
Le cellule tumorali vivono in un ambiente acido e carente di ossigeno. Importante:
Una volta terminato il processo digestivo, gli alimenti, a secondo della qualità di proteine, carboidrati, grassi, vitamine e minerali, forniscono e generano una condizione di acidità o alcalinità nel corpo. in altre parole ….. dipende unicamente da ciò che si mangia.
Il risultato acidificante o alcalinizzante viene misurato con una scala chiamata PH, i cui valori vanno da 0 a 14, al valore 7 corrisponde un pH neutro.”
E ‘importante sapere come gli alimenti acidi e alcalini influiscono sulla salute, poiché le cellule..per funzionare correttamente dovrebbe essere di un ph leggermente alcalino(poco di sopra al 7).
In una persona sana, il pH del sangue è compreso tra 7.4 e 7.45.
Se il pH del sangue di una persona inferiore 7, va in coma.
Gli alimenti che acidificano il corpo: * Lo zucchero raffinato e tutti i suoi sottoprodotti. (E’ il peggiore di tutti: non ha proteine, senza grassi, senza vitamine o minerali, solo carboidrati raffinati che schiacciano il pancreas)
Il suo pH è di 2,1 (molto acido) *
Carne. (Tutte) *
Prodotti di origine animale (latte e formaggio, ricotta, yogurt, ecc) *
Il sale raffinato. *
Farina raffinata e tutti i suoi derivati. (Pasta, torte, biscotti, ecc) *
Pane. (La maggior parte contengono grassi saturi, margarina, sale, zucchero e conservanti) *
Margarina. *
Antibiotici * e medicine in generale. *
Caffeina. (Caffè, tè nero, cioccolato) *
Alcool. *
Tabacco. (Sigarette)*
Qualsiasi cibo cotto. (la cottura elimina l’ossigeno aumentando l’acidita’ dei cibi”) *
Tutti gli alimenti trasformati, in scatola, contenenti conservanti, coloranti, aromi, stabilizzanti, ecc.
Il sangue si ‘autoregola’ costantemente” per non cadere in acidosi metabolica garantire il buon funzionamento e ottimizzare il metabolismo cellulare. Il corpo deve ottenere delle basi minerali alimentari per neutralizzare l’acidità del sangue nel metabolismo, ma tutti gli alimenti già citati (Per lo più raffinati) acidificano il sangue e ammorbidiscono il corpo.
Dobbiamo tener conto che CON il moderno stile di vita, questi cibi vengono consumati almeno 3 volte al giorno”, 365 giorni l’anno e tutti questi alimenti sono anti-fisiologici.
Gli alimenti alcalinizzanti: * Tutte le verdure crude. (Alcune sono acide al gusto, ma all’interno del corpo avviene una reazione è alcalinizzante.”.
Altre sono un po acide, tuttavia, forniscono le basi necessarie per il corretto equilibrio)
Verdure crude producono ossigeno, quelle cotte no. *
I Frutti, stessa cosa. Ad esempio, il limone ha un pH di circa 2,2, tuttavia, all’interno del corpo ha un effetto altamente alcalino. (Probabilmente il più potente di tutti) (non fatevi ingannare dal sapore acidulo) *
I frutti producono abbastanza ossigeno. *
Alcuni semi, come le mandorle sono fortemente alcalini. *
I cereali integrali: L’unico cereale alcalinizzante è il miglio.
Tutti gli altri sono leggermente acidi, tuttavia, siccome la dieta ideale ha bisogno di una percentuale di acidità, è bene consumarne qualcuno.
Tutti i cereali devono essere consumati cotti.
Il miele è altamente alcalinizzante. *
La clorofilla la pianta è fortemente alcalina. (Da qualsiasi pianta) (in particolare aloe vera, *
L’acqua è importante per la produzione di ossigeno. “La disidratazione cronica è la tensione principale del corpo e la radice della maggior parte tutte le malattie degenerative.”
Lo afferma il Dott. Feydoon Batmanghelidj. *
L’esercizio ossigena tutto il corpo. “Uno stile di vita sedentario usura il corpo.” L’ideale è avere una alimentazione di circa il 60% alcalina piuttosto che acida, e, naturalmente, evitare i prodotti maggiormente acidi, come le bibite, lo zucchero raffinato e gli edulcoranti.
Non abusare del sale o evitarlo il più possibile.
Per coloro che sono malati, l’ideale è che l’alimentazione sia di circa 80% alcalina, eliminando tutti i prodotti più nocivi.
Se si ha il cancro il consiglio è quello di alcalinizzare il piu’ possibile.
” Inutile dire altro, non è vero?
Dr. George W. Crile, di Cleveland, uno dei chirurghi più rispettati al mondo, dichiara apertamente:
“Tutte le morti chiamate naturali non sono altro che il punto terminale di un saturazione di acidità nel corpo.
” Come precedentemente accennato, è del tutto impossibile per il cancro di comparire in una persona che libera il corpo dagli acidi con una dieta alcalina, che aumenta il consumo di acqua pura e che eviti i cibi che producono acido. In generale, il cancro non si contrae e nemmeno si eredita.
Ciò che si eredita sono le abitudini alimentari, ambientali e lo stile di vita. Questo può produrre il cancro. Mencken ha scritto: “La lotta della vita è contro la ritenzione di acido”.
“Invecchiamento, mancanza di energia, stress, mal di testa, malattie cardiache, allergie, eczema, orticaria, asma, calcoli renali, arteriosclerosi, tra gli altri, non sono altro che l’accumulo di acidi”.
Dr. Theodore A. Baroody ha detto nel suo libro “Alcalinizzare o morire” (alcaline o Die): ». In realtà, non importa i nomi delle innumerevoli malattie Ciò che conta è che essi provengono tutti dalla stessa causa principale:. Molte scorie acide nel corpo”
Dr. Robert O. Young ha detto: “L’eccesso di acidificazione nell’organismo è la causa di tutte le malattie degenerative.
Se succede una perturbazione dell’equilibrio e un corpo inizia a produrre e immagazzinare più acidità e rifiuti tossici di quelli che è in grado di eliminare allora le malattie si manifestano.
” E la chemioterapia? La chemioterapia acidifica il corpo a tal punto che ricorre alle riserve alcaline del corpo immediatamente per neutralizzare l’acidità tale, sacrificando basi minerali (calcio, magnesio e potassio) depositati nelle ossa, denti, articolazioni, unghie e capelli.
Per questo motivo osserviamo tali alterazioni nelle persone che ricevono questo trattamento e tra le altre cose la caduta dei capelli.
Per il corpo non vuol dire nulla se si è senza capelli, ma un pH acido significherebbe la morte.
Niente di tutto questo è descritto o raccontato perché, per tutte le indicazioni, l’industria del cancro (leggi: industria farmaceutica) e la chemioterapia sono alcune delle attività più remunerative che esistano.
Si parla di un giro multi-milionario e i proprietari di queste industrie non vogliono che questo sia pubblicato.
Tutto indica che l’industria farmaceutica e l’industria alimentare sono un’unica entità e che ci sia una cospirazione in cui si aiuta l’altro al profitto.
Più le persone sono malate, più sale il profitto dell’industria farmaceutica.
E per avere molte persone malate serve molto cibo spazzatura tanto quanto l’industria alimentare produce. Quanti di noi hanno sentito la notizia di qualcuno che ha il cancro e qualcuno dire: “… Può capitare a chiunque ……” No, non poteva! “Che il cibo sia la tua medicina, la medicina sia il tuo cibo”. Ippocrate (il padre della medicina )
Tratto da: http://pmbeautyline.wordpress.com/2012/10/21/la-causa-primaria-del-cancro/ .
Dobbiamo farcene una ragione ....La natura è più forte di noi
Un grave colpo per Monsanto, l’azienda multinazionale che con i suoi semi geneticamente modificati che non si riproducono costringe ogni anno gli agricoltori a ricomprare, da lei, nuovi semi da coltivare.
Questa volta la natura si è ribellata e ha voluto fare capire a questi manipolatori, responsabili della maggior parte dell’inquinamento globale chi è che comanda.
L’agenzia per la protezione ambientale americana, l’EPA, comunica che il famoso mais transgenico di Monsanto è diventato una prelibatezza per gli insetti infestanti, che nel giro di qualche generazione si sono abituati al mais geneticamente modificato e alle sue difese.
Tanto che ora proliferano nutrendosi proprio delle radici del mais, incuranti del fatto che quelli di Monsanto lo abbiano dotato di una “proteina killer” che li dovrebbe lasciare stecchiti.
Monsanto ha reagito negando, ma a ruota è arrivata una radio del Minnesota a raccogliere le testimonianze degli agricoltori, che vedono le loro piante con le radici danneggiate incapaci di assorbire la già scarsa acqua che offre la stagione siccitosa e che hanno assistito allibiti persino al crollo delle loro piantagioni sotto l’azione del vento (!).
Niente più invulnerabilità ai parassiti e niente più guadagni moltiplicati dalla grande innovazione scientifica quest’anno, solo raccolti finiti nella pancia dei vermi e denaro finito nelle casse di Monsanto, che ora potrebbe anche essere esposta a poderose richieste di danni, visto che il suo miracoloso prodotto ormai non mantiene più quanto promesso dall’azienda.
Per risolvere il problema basterebbe tornare alla tradizionale rotazione delle culture, perché questi parassiti si nutrono solo di mais e morirebbero quindi di fame in sua assenza, se non fosse che la rotazione è stata abbandonata proprio in vista delle maggiori rese proposte da Monsanto e che ora gli agricoltori sono ormai da anni legati a una monocultura.
Una pratica che ovviamente ha favorito l’adattamento e il proliferare tra gli insetti di quelli geneticamente insensibili alle difese di Monsanto.
Ci sono voluti appena 15 anni perché la natura prendesse le misure al mais di BT e alle sue “innovazioni”, spinte con grande foga da politici e scienziati vicini a Monsanto, e ora che è accaduto non esiste un piano B, se non quello di tornare ai metodi tradizionali e rinunciare ai servigi di Monsanto, che così però non guadagnerà che una frazione di quanto ha ottenuto legando gli agricoltori mani e piedi al suo prodotto.
Lo specchio del pensiero. Di: Domenico Proietti
Tratto da: Stampa libera
Questa volta la natura si è ribellata e ha voluto fare capire a questi manipolatori, responsabili della maggior parte dell’inquinamento globale chi è che comanda.
L’agenzia per la protezione ambientale americana, l’EPA, comunica che il famoso mais transgenico di Monsanto è diventato una prelibatezza per gli insetti infestanti, che nel giro di qualche generazione si sono abituati al mais geneticamente modificato e alle sue difese.
Tanto che ora proliferano nutrendosi proprio delle radici del mais, incuranti del fatto che quelli di Monsanto lo abbiano dotato di una “proteina killer” che li dovrebbe lasciare stecchiti.
Monsanto ha reagito negando, ma a ruota è arrivata una radio del Minnesota a raccogliere le testimonianze degli agricoltori, che vedono le loro piante con le radici danneggiate incapaci di assorbire la già scarsa acqua che offre la stagione siccitosa e che hanno assistito allibiti persino al crollo delle loro piantagioni sotto l’azione del vento (!).
Niente più invulnerabilità ai parassiti e niente più guadagni moltiplicati dalla grande innovazione scientifica quest’anno, solo raccolti finiti nella pancia dei vermi e denaro finito nelle casse di Monsanto, che ora potrebbe anche essere esposta a poderose richieste di danni, visto che il suo miracoloso prodotto ormai non mantiene più quanto promesso dall’azienda.
Per risolvere il problema basterebbe tornare alla tradizionale rotazione delle culture, perché questi parassiti si nutrono solo di mais e morirebbero quindi di fame in sua assenza, se non fosse che la rotazione è stata abbandonata proprio in vista delle maggiori rese proposte da Monsanto e che ora gli agricoltori sono ormai da anni legati a una monocultura.
Una pratica che ovviamente ha favorito l’adattamento e il proliferare tra gli insetti di quelli geneticamente insensibili alle difese di Monsanto.
Ci sono voluti appena 15 anni perché la natura prendesse le misure al mais di BT e alle sue “innovazioni”, spinte con grande foga da politici e scienziati vicini a Monsanto, e ora che è accaduto non esiste un piano B, se non quello di tornare ai metodi tradizionali e rinunciare ai servigi di Monsanto, che così però non guadagnerà che una frazione di quanto ha ottenuto legando gli agricoltori mani e piedi al suo prodotto.
Lo specchio del pensiero. Di: Domenico Proietti
Tratto da: Stampa libera
La folle sperimentazione sugli animali
Oscar Grazioli
Veterinario e giornalista
Nato a Reggio Emilia, ha scelto di fare il veterinario e lo scrittore.
Il veterinario perché chi può esprimere la sofferenza solo con gli occhi non può e non deve essere ignorato, anche se ha una coda, le ali o le pinne.
Lo scrittore perché rimanga qualcosa di ciò che ho fatto a favore dei deboli e degli indifesi.
Maiali sepolti vivi nella neve, la folle sperimentazione sugli animali non ha fine.
di Oscar Grazioli
La follia della sperimentazione sugli animali, e la conseguente trasposizione dei dati agli esseri umani, sembra non avere fine.
D'altronde, come ampiamente dimostrato nel passato remoto e recente, l'enorme business che ruota attorno alla vivisezione è il primo volano di questa pratica criminale, mentre il secondo riguarda i punteggi che i ricercatori si aggiudicano attraverso pubblicazioni inutili e anzi addirittura fuorvianti.
Mentre in Europa si discute ancora, dopo anni di pressioni da parte delle associazioni animaliste, sulla data in cui finalmente terminerà l'oscena sperimentazione di rossetti, ciprie, dopobarba ecc. sugli occhi dei conigli per indovinare se poi saranno irritanti per l'uomo... (la famigerata dicitura `dermatologicamente testato`), mentre, contrariamente alle aspettative, sia in Europa che in America (non parliamo dei paesi asiatici da cui non trapela nulla e quel che trapela toglie il sonno) le cavie avviate alla vivisezione pare subiscano un aumento di numero anziché una diminuzione.
Nella civilissima Austria si sta conducendo una sperimentazione che porterà sicuramente a risultati in grado di cambiare il destino dell'uomo.
Questa volta le cavie sono i maiali, peraltro già abituati a questo ruolo per una loro pretesa affinità con gli uomini a livello cardiaco.
Naturalmente niente di più sbagliato: il cuore dei maiali, potrà anche essere anatomicamente più simile all'uomo di quello del cane, ma è `governato` da un sistema neurovegetativo completamente diverso da quello umano che rende il suo funzionamento affatto differente al punto di vista fisiologico.
Non sono bastati gli esperimenti del Taser (l'arma immobilizzatrice) che sembravano deporre per un'analogia tra maiale e uomo e sono poi stati definitivamente contraddetti da studi che hanno posto in luce profonde differenze.
Ora a Vent (Austria), con l'appoggio dell'Istituto per la medicina d'emergenza in montagna di Bolzano, 29 maiali saranno sepolti vivi nella neve per studiare gli effetti di soffocamento e assideramento nell'uomo (sic). I più sfortunati saranno lasciati con la testa fuori per studiare la lenta morte per congelamento, mentre gli altri saranno sepolti nella neve artificiale dove troveranno una morte più rapida, ma non meno angosciante, per soffocamento.
Dopo morti verranno prelevati tessuti per analisi istologiche che, come ho scritto, (sono certo cambieranno il destino dell'uomo e il futuro di chi va a sciare): magari nel fuori pista dopo 200 avvertimenti della protezione civile sul rischio di valanghe.
Non lo so ma a me ricorda quegli `scienziati` che studiavano in quanto tempo moriva, di fame, di sete o di sonno un gatto per applicare poi le `conoscenze` all'uomo.
Solo che si trattava di un secolo fa che, se non è una giustificazione, è una debole attenuante.
Lascio a voi i commenti.
Io commento subito :
Se un uomo per disgrazia rimane sotto una valanga e muore faranno di sicuro l'autopsia quindi le deduzioni le possono fare li (e sarebbero reali poichè fatte su un umano)
La disperazione di saper di morire non la trasmette in questo caso ne l'uomo ne il maiale.
La sola domanda è ....... ma cosa hanno in testa questi pseudo scienziati????
Nato a Reggio Emilia, ha scelto di fare il veterinario e lo scrittore.
Il veterinario perché chi può esprimere la sofferenza solo con gli occhi non può e non deve essere ignorato, anche se ha una coda, le ali o le pinne.
Lo scrittore perché rimanga qualcosa di ciò che ho fatto a favore dei deboli e degli indifesi.
Maiali sepolti vivi nella neve, la folle sperimentazione sugli animali non ha fine.
di Oscar Grazioli
La follia della sperimentazione sugli animali, e la conseguente trasposizione dei dati agli esseri umani, sembra non avere fine.
D'altronde, come ampiamente dimostrato nel passato remoto e recente, l'enorme business che ruota attorno alla vivisezione è il primo volano di questa pratica criminale, mentre il secondo riguarda i punteggi che i ricercatori si aggiudicano attraverso pubblicazioni inutili e anzi addirittura fuorvianti.
Mentre in Europa si discute ancora, dopo anni di pressioni da parte delle associazioni animaliste, sulla data in cui finalmente terminerà l'oscena sperimentazione di rossetti, ciprie, dopobarba ecc. sugli occhi dei conigli per indovinare se poi saranno irritanti per l'uomo... (la famigerata dicitura `dermatologicamente testato`), mentre, contrariamente alle aspettative, sia in Europa che in America (non parliamo dei paesi asiatici da cui non trapela nulla e quel che trapela toglie il sonno) le cavie avviate alla vivisezione pare subiscano un aumento di numero anziché una diminuzione.
Nella civilissima Austria si sta conducendo una sperimentazione che porterà sicuramente a risultati in grado di cambiare il destino dell'uomo.
Questa volta le cavie sono i maiali, peraltro già abituati a questo ruolo per una loro pretesa affinità con gli uomini a livello cardiaco.
Naturalmente niente di più sbagliato: il cuore dei maiali, potrà anche essere anatomicamente più simile all'uomo di quello del cane, ma è `governato` da un sistema neurovegetativo completamente diverso da quello umano che rende il suo funzionamento affatto differente al punto di vista fisiologico.
Non sono bastati gli esperimenti del Taser (l'arma immobilizzatrice) che sembravano deporre per un'analogia tra maiale e uomo e sono poi stati definitivamente contraddetti da studi che hanno posto in luce profonde differenze.
Ora a Vent (Austria), con l'appoggio dell'Istituto per la medicina d'emergenza in montagna di Bolzano, 29 maiali saranno sepolti vivi nella neve per studiare gli effetti di soffocamento e assideramento nell'uomo (sic). I più sfortunati saranno lasciati con la testa fuori per studiare la lenta morte per congelamento, mentre gli altri saranno sepolti nella neve artificiale dove troveranno una morte più rapida, ma non meno angosciante, per soffocamento.
Dopo morti verranno prelevati tessuti per analisi istologiche che, come ho scritto, (sono certo cambieranno il destino dell'uomo e il futuro di chi va a sciare): magari nel fuori pista dopo 200 avvertimenti della protezione civile sul rischio di valanghe.
Non lo so ma a me ricorda quegli `scienziati` che studiavano in quanto tempo moriva, di fame, di sete o di sonno un gatto per applicare poi le `conoscenze` all'uomo.
Solo che si trattava di un secolo fa che, se non è una giustificazione, è una debole attenuante.
Lascio a voi i commenti.
Io commento subito :
Se un uomo per disgrazia rimane sotto una valanga e muore faranno di sicuro l'autopsia quindi le deduzioni le possono fare li (e sarebbero reali poichè fatte su un umano)
La disperazione di saper di morire non la trasmette in questo caso ne l'uomo ne il maiale.
La sola domanda è ....... ma cosa hanno in testa questi pseudo scienziati????
La terra cava
Serie di foto realizzate in volo sperimentale dalla N.A.S.A. attorno al nostro pianeta a varie distanze sopra il polo Nord.
L’apertura dei Poli è chiaramente visibile, e si può vedere il processo di dilatazione-contrazione che subiscono le calotte polari.
Negli anni settanta del secolo scorso, furono pubblicate molte fotografie del Polo Nord prese dai satelliti meteorologici che fecero tornare alla ribalta la teoria della Terra Cava.
Alcune di queste immagini erano lastre prese il 6 gennaio 1967 dal satellite dell’US Environmental Science Service Administration (Essa-3).
Su queste foto, si vedono delle nuvole intorno al polo, aspirate progressivamente in un enorme foro che, secondo gli specialisti, dovrebbe avere un diametro di 1400 miglia. Il 14 febbraio 1995 il giornale canadese "Weekly Wold News" pubblicò un articolo in cui era scritto: "Cap Canaveral, Floride – La Nasa riceve dei segnali radio che vengono dall’interno della Terra".
Un alto responsabile della Nasa, che non volle rivelare la sua identità, spiegò che gli scienziati della Nasa si sentivano frustrati perché non erano riusciti a localizzare questa civiltà sotterranea e che non erano in grado, con la loro tecnologia, di rispondere loro.
"Essi ne sanno di più su di noi che noi su di loro" confessò. Sempre secondo il responsabile Nasa, gli scienziati ritenevano che questa poteva essere la più importante scoperta del secolo.
Dove e come si formano gli iceberg? Risposta: nell’interno della terra, dove la temperatura è calda, i fiumi scorrono verso la superficie esterna, attraverso la apertura polare. Una volta toccato l’esterno, nel Circolo polare artico, dove la temperatura è bassissima, le foci dei fiumi gelano, generando così gli iceberg.
Questo dura per mesi, fino a quando, a causa dell’elevamento di temperatura dell’estate e a causa del caldo che promana dall’interno, gli iceberg si distaccano dalle foci e vengono trascinati dall’oceano. (Il fatto che gli iceberg siano composti di acqua dolce, anziché di acqua salata marina, comprova questa tesi.)
Ci sono passaggi sottomarini che corrono quasi tutta la lunghezza del continente e sembrano convergere nel punto esatto identificato come l ‘apertura nella terra cava!
Ora i satelliti americani incaricati di scoprire le ricchezze minerarie del Pianeta, hanno confermato l’esistenza di una immensa rete di gallerie sotterranee sotto tutto il territorio della Cina.
Nel 1961, un archeologo dell’università di Pechino aveva scoperto l’entrata di uno di questi sotterranei, sotto il massiccio di Homan.
La galleria che egli aveva potuto visitare presentava delle pareti sorprendentemente lisce e verniciate, decorate di affreschi.
Su una di esse, si vedeva una sorta di scudo volante carico di uomini che inseguivano dall’alto una mandria di bestie selvagge.
Nel 1969 sono stati scoperti sotterranei identici nell’equatore che risalgono almeno a 12.000 anni fa, anche questi con delle possibili raffigurazioni di macchine extraterrestri.
La perplessità degli archeologi è totale.
L’apertura dei Poli è chiaramente visibile, e si può vedere il processo di dilatazione-contrazione che subiscono le calotte polari.
Negli anni settanta del secolo scorso, furono pubblicate molte fotografie del Polo Nord prese dai satelliti meteorologici che fecero tornare alla ribalta la teoria della Terra Cava.
Alcune di queste immagini erano lastre prese il 6 gennaio 1967 dal satellite dell’US Environmental Science Service Administration (Essa-3).
Su queste foto, si vedono delle nuvole intorno al polo, aspirate progressivamente in un enorme foro che, secondo gli specialisti, dovrebbe avere un diametro di 1400 miglia. Il 14 febbraio 1995 il giornale canadese "Weekly Wold News" pubblicò un articolo in cui era scritto: "Cap Canaveral, Floride – La Nasa riceve dei segnali radio che vengono dall’interno della Terra".
Un alto responsabile della Nasa, che non volle rivelare la sua identità, spiegò che gli scienziati della Nasa si sentivano frustrati perché non erano riusciti a localizzare questa civiltà sotterranea e che non erano in grado, con la loro tecnologia, di rispondere loro.
"Essi ne sanno di più su di noi che noi su di loro" confessò. Sempre secondo il responsabile Nasa, gli scienziati ritenevano che questa poteva essere la più importante scoperta del secolo.
Dove e come si formano gli iceberg? Risposta: nell’interno della terra, dove la temperatura è calda, i fiumi scorrono verso la superficie esterna, attraverso la apertura polare. Una volta toccato l’esterno, nel Circolo polare artico, dove la temperatura è bassissima, le foci dei fiumi gelano, generando così gli iceberg.
Questo dura per mesi, fino a quando, a causa dell’elevamento di temperatura dell’estate e a causa del caldo che promana dall’interno, gli iceberg si distaccano dalle foci e vengono trascinati dall’oceano. (Il fatto che gli iceberg siano composti di acqua dolce, anziché di acqua salata marina, comprova questa tesi.)
Ci sono passaggi sottomarini che corrono quasi tutta la lunghezza del continente e sembrano convergere nel punto esatto identificato come l ‘apertura nella terra cava!
Nel 1961, un archeologo dell’università di Pechino aveva scoperto l’entrata di uno di questi sotterranei, sotto il massiccio di Homan.
La galleria che egli aveva potuto visitare presentava delle pareti sorprendentemente lisce e verniciate, decorate di affreschi.
Su una di esse, si vedeva una sorta di scudo volante carico di uomini che inseguivano dall’alto una mandria di bestie selvagge.
Nel 1969 sono stati scoperti sotterranei identici nell’equatore che risalgono almeno a 12.000 anni fa, anche questi con delle possibili raffigurazioni di macchine extraterrestri.
La perplessità degli archeologi è totale.
Una nave alla deriva. Un equipaggio svanito nel nulla. Un mistero del mare e un nome diventato sinistro: Mary Celeste.
Immaginate: nel silenzio e nella foschia un brigantino avanza tra le onde dell’oceano, le vele strappate, il ponte deserto, il timone incustodito. Scricchiolio dello scafo e fruscio delle vele. Non c’è nessuno a bordo da giorni. Eppure continua a navigare, quasi fosse dotato di una volontà propria. E’ la Mary Celeste, uno dei grandi enigmi del mare.
Varata in Nuova Scozia, Canada, nel 1860, fu battezzata Amazon. Nei 10 anni successivi al varo fu coinvolta in vari incidenti e cambiò più volte proprietario. Il suo primo capitano morì di polmonite. Il secondo capitano, durante il viaggio inaugurale, commise l’errore di voler passare troppo vicino a una chiusa per la pesca che danneggiò gravemente lo scafo. Durante le operazioni di restauro scoppiò un incendio a bordo. Ceduta a un terzo proprietario, partì quindi con un altro capitano per Londra e poi per Parigi. Nello stretto di Dover si scontrò con un altro brigantino che affondò. Riparata, tornò in Canada con un quarto capitano. Nel 1867 si arenò e fu venduta un’altra volta. Il nuovo proprietario la rimise in sesto per cederla dopo soli 12 mesi. L’Amazon cambiò nome e nazionalità, diventando l’americana Mary Celeste.
Il nuovo capitano era Benjamin Briggs, 37 anni, tre esperienze di comando alle spalle. La nave era pronta a partire da New York il 5 novembre 1872 con il capitano, la moglie Sarah, 30 anni, la figlia Sophia (2), e un equipaggio di sette uomini: il primo ufficiale Albert Richardson (28 anni), il secondo ufficiale Andrew Gillings (25), il cuoco e cameriere Edward Head (23), i marinai tedeschi Volkert Lorenzen (29), suo fratello Boz Lorenzen (23), Arian Martens (35) e Gottlieb Goodshaad (23). Il carico era composto da 1700 barili di alcool etilico e la sua destinazione era Genova. Ancorato al molo 44 sull’East River, quel giorno c’era anche il Dei Gratia, capitanato da David Morehouse, grande amico di Briggs. I due avevano cenato assieme due sere prima, augurandosi buona fortuna a vicenda per i rispettivi viaggi. Non si rividero mai più. A causa di forti venti contrari, la Mary Celeste fece una sosta poco dopo la partenza, al largo di Staten Island, e poi riprese il viaggio. Il Dei Gratia partì qualche giorno dopo (11 novembre), diretto a Gibilterra. Incappò nella Mary Celeste il 4 dicembre, in un punto tra le Azzorre e il Portogallo, a 600 miglia da Gibilterra. Lì nacque il grande mistero che nessuno è mai riuscito a chiarire.
Morehouse e il suo primo ufficiale, Oliver Deveau, esaminarono l’imbarcazione con i cannocchiali: il ponte era deserto, nessuno al timone. Morehouse spedì Deveau e altri due marinai a bordo della Mary Celeste. Gli uomini avvertirono un certo disagio mentre si muovevano avanti e indietro sul vascello. Non c’era un’anima. Mancavano due portelli del boccaporto che sembravano essere stati scardinati con violenza. L’albero maestro e le vele (queste ultime strappate in alcuni punti) erano tutto sommato idonei alla navigazione. Le provviste non erano state toccate. Il carico era intatto. C’era un po’ d’acqua nella stiva, ma era una cosa normale per le barche di legno di quei tempi. Mancava la scialuppa di salvataggio. Su un parapetto fu trovato il segno di un taglio, forse il risultato del colpo dato da un’ascia. Delle strane macchie rosse sul ponte risultarono poi essere vino. Una sagola (o corda che dir si voglia) era ancora attaccata allo scafo e ne seguiva la scia. Sul tavolo della cabina del primo ufficiale c’era la carta nautica che mostrava il percorso della nave fino al 24 novembre. Negli altri alloggi gli effetti personali degli occupanti erano al loro posto. Denaro e pipe non erano stati portati via. Per inciso: la pipa e il tabacco sono articoli che nessun lupo di mare abbandonerebbe se non in caso di panico assoluto… o di un rapimento fulmineo. La cambusa era invece stata messa a soqquadro: la stufa era ribaltata e c’erano utensili da cucina su tutto il pavimento. L’orologio nella cabina di comando era rotto e fissato alla parete al contrario. Nella cabina del capitano c’erano i suoi stivali e l’impermeabile da indossare in caso di maltempo. Il letto era sfatto e su di esso c’erano alcuni giocattoli della figlioletta. C’erano inoltre gioielli da donna sparsi in giro. Mancavano il sestante, il solcometro (misuratore di velocità) e altre carte nautiche. Un foglio con alcuni calcoli incompleti stava sul tavolo. Una bottiglia di medicinale era aperta, con il tappo e il cucchiaio accanto, come se la persona in procinto di berla avesse mollato tutto all’improvviso. Altre carte nautiche rotolavano sul pavimento. Il diario del capitano era ancora lì: l’ultima nota risaliva al mattino del 25 novembre e dichiarava che la nave era passata a sei miglia al largo dell’isola Santa Maria, nelle Azzorre. Nessun commento anomalo, niente di strano. Nella cabina del ponte di comando la grande bussola nautica di bordo era caduta dal suo sostegno e si era rotta. L’osteriggio (l’equivalente del lucernario nelle barche) era aperto.Di conseguenza la pioggia e le onde più alte avevano in pratica bagnato ogni cosa. Tutti gli oblò delle altre cabine erano invece stati coperti con stoffe e tavole di legno per proteggerli dalla furia del mare. Sul tavolo di una cabina c’era una piccola fiala d’olio per macchine da cucire, assieme a rocchetti di cotone e a un ditale. Forse Sarah Briggs si stava preparando a rammendare ed era stata bruscamente interrotta. La Mary Celeste aveva navigato per oltre una settimana e percorso 500 miglia senza nessuno a bordo. Morehouse era perplesso. La nave aveva le vele predisposte per catturare il vento proveniente da tribordo. Ma il Dei Gratia, che aveva seguito la medesima rotta fino a pochi giorni prima e sitemato le vele allo stesso modo, era stata costretta a cambiarne l’assetto e a mantenerlo per tutte le 400 miglia dalle Azzorre fino a quel punto. Non era quindi possibile che la Mary Celeste fosse riuscita ad arrivare fin lì senza fare la stessa cosa. Qualcuno aveva di sicuro guidato la nave anche dopo che l’ultima annotazione era stata riportata sul diario di bordo. Ma chi? Perché abbandonare la nave così di colpo? Cattivo tempo? Non sembrava probabile, visto che l’impermeabile era ancora nella cabina del capitano. Quale spaventosa forza esterna aveva costretto i passeggeri a fuggire? Domanda più inquetante ancora: avevano lasciato il brigantino volontariamente o erano stati portati via con la forza? L’equipaggio del Dei Gratia si divise e tre uomini condussero la Mary Celeste fino a Gibilterra. Deveau, divenuto il temporaneo capitano della Mary Celeste, continuò a tenere il diario di bordo e cancellò inspiegabilmente alcune delle annotazioni più vecchie. Disse che fu un errore involontario. Invece di ricavare dei vantaggi dal recupero del vascello, l’equipaggio fu accusato di omicidio multiplo. Frederick Solly Flood, l’avvocato/investigatore che si occupò del caso, accusò Morehouse e compagni di aver dato l’assalto alla Mary Celeste per poi vantarne il ritrovamento e (secondo le leggi dell’epoca) diventarne proprietari. Intanto cominciarono le ricerche in tutti i porti più vicini per trovare eventuali superstiti, senza alcun risultato. Furono consultati meteorologi, zoologi e criminologi, ognuno dei quali diede la sua spiegazione. Si ipotizzò che l’equipaggio agli ordini di Briggs si fosse ubriacato e avesse ucciso il capitano e sua moglie. La storia non regge: l’alcool etilico è velenoso. E poi, se tale ammutinamento c’era stato, perché i ribelli avevano abbandonato nave e carico? I marinai erano tutti uomini molto stimati e un viaggio così breve non poteva giustificare una rivolta. Altra teoria: la Mary Celeste tentò di prestare soccorso a una nave in fiamme, si avvicinò troppo, prese fuoco a sua volta, e gli equipaggi di entrambe le navi finirono ammassati su una sola scialuppa che si rovesciò, decretando la morte di tutti quanti. Il problema è che nei registri di quel periodo, oltre alla Mary Celeste, non risultano navi disperse in quella zona. I più fantasiosi sostennero che un calamaro gigante aveva divorato l’intero equipaggio. Un attacco da parte dei pirati non sembrava probabile, dato che l’ultimo episodio risaliva al 1832. La più attendibile spiegazione è la seguente: i barili d’alcool sprigionarono vapori che divennero letali alla prima scintilla proveniente dalla cambusa. L’esplosione fece volar via i portelli del boccaporto. Temendo un’altra deflagrazione, il capitano aveva calato la scialuppa di salvataggio in mare, vi era salito con il resto del gruppo, e l’aveva legata con una corda alla nave, tenendosi a distanza di sicurezza. Il cattivo tempo aveva infierito su di loro spezzando la corda. E’ facile immaginare la sorte della barchetta in balia dell’Atlantico in burrasca. Onde alte come palazzoni, un vento fortissimo e pioggia torrenziale. Supponendo che la sfortunata comitiva avesse superato indenne la tempesta, si poteva star certi che la morte fosse sopraggiunta in ogni caso nei giorni seguenti per la mancanza d’acqua. Ma non c’erano segni evidenti di un’esplosione, mancavano le bruciature e la fuliggine. C’è da dire che l’alcool arde senza lasciare fuliggine e, spesso, brucia anche tanto velocemente da non lasciare alcun segno. 41 anni dopo, un certo Abel Fosdik affermava, nei suoi scritti, di essere stato un passeggero clandestino della Mary Celeste e di sapere cos’era successo. Durante la navigazione il capitano aveva fatto costruire una piccola piattaforma (esterna allo scafo) per la figlioletta. Fosdik scriveva di aver visto il capitano e altri marinai tuffarsi in acqua per una gara di nuoto. Gli squali avevano interrotto sanguinosamente la competizione. Il resto dell’equipaggio si era ammassato sulla piattaforma che aveva ceduto sotto il peso eccessivo. Fosdik sosteneva di essersi salvato aggrappandosi a una tavola di legno e di essere in seguito approdato, mezzo morto, sulle coste dell’Africa. La favola non regge, specie sulla gara di nuoto: nessuno si sarebbe messo a nuotare attorno a una nave che andava a una discreta velocità, primo fra tutti il capitano, che abbandonando l’imbarcazione anche per un solo istante avrebbe messo inutilmente in pericolo i passeggeri. Il processo si concluse con l’assoluzione dei marinai del Dei Gratia, e con una giuria piuttosto confusa sulle reali cause della scomparsa di dieci persone. Nel 1884 Arthur Conan Doyle alimentò la leggenda scrivendo un racconto che narrava di una nave fantasma che si chiamava (guarda caso) Mary Celeste. Descrisse una vicenda reale aggiungendoci molti elementi di fantasia. Realtà e finzione finirono per mescolarsi. Malgrado ciò che si vocifera, non fu trovato del cibo fresco sulla tavola e nessun gatto nero acciambellato vicino al timone. Non furono nemmeno trovate delle armi sporche di sangue né chiazze di tale sostanza sulle vele. La Mary Celeste Dopo il processo, la Mary Celeste continuò a solcare i mari per altri 12 anni e cambiò proprietario per ben 17 volte. Durante uno dei tanti viaggi si ritrovò a trasportare cavalli e asini. Gli animali morirono misteriosamente nella stiva prima di arrivare a destinazione. Nel 1884 finì nelle mani del disonesto Gilman Parker che, con un raggiro, fece registrare un carico di scarso valore come fosse pregiato, assicurandolo per una cifra esorbitante. Quindi la nave partì da Boston e fu deliberatamente fatta naufragare su un banco di coralli vicino a Haiti. La truffa fu scoperta e portò Parker e soci a una triste fine: Parker morì in povertà, un altro marinaio finì in manicomio e un terzo si suicidò. Anche dalle profondità del mare la Mary Celeste riuscì a colpire i suoi ‘assassini’.
Nel 2001 il relitto è stato ritrovato dalla spedizione di Clive Cussler. L’equipaggio del 1872, invece, è scomparso nel nulla per sempre.
Il nuovo capitano era Benjamin Briggs, 37 anni, tre esperienze di comando alle spalle. La nave era pronta a partire da New York il 5 novembre 1872 con il capitano, la moglie Sarah, 30 anni, la figlia Sophia (2), e un equipaggio di sette uomini: il primo ufficiale Albert Richardson (28 anni), il secondo ufficiale Andrew Gillings (25), il cuoco e cameriere Edward Head (23), i marinai tedeschi Volkert Lorenzen (29), suo fratello Boz Lorenzen (23), Arian Martens (35) e Gottlieb Goodshaad (23). Il carico era composto da 1700 barili di alcool etilico e la sua destinazione era Genova. Ancorato al molo 44 sull’East River, quel giorno c’era anche il Dei Gratia, capitanato da David Morehouse, grande amico di Briggs. I due avevano cenato assieme due sere prima, augurandosi buona fortuna a vicenda per i rispettivi viaggi. Non si rividero mai più. A causa di forti venti contrari, la Mary Celeste fece una sosta poco dopo la partenza, al largo di Staten Island, e poi riprese il viaggio. Il Dei Gratia partì qualche giorno dopo (11 novembre), diretto a Gibilterra. Incappò nella Mary Celeste il 4 dicembre, in un punto tra le Azzorre e il Portogallo, a 600 miglia da Gibilterra. Lì nacque il grande mistero che nessuno è mai riuscito a chiarire.
Morehouse e il suo primo ufficiale, Oliver Deveau, esaminarono l’imbarcazione con i cannocchiali: il ponte era deserto, nessuno al timone. Morehouse spedì Deveau e altri due marinai a bordo della Mary Celeste. Gli uomini avvertirono un certo disagio mentre si muovevano avanti e indietro sul vascello. Non c’era un’anima. Mancavano due portelli del boccaporto che sembravano essere stati scardinati con violenza. L’albero maestro e le vele (queste ultime strappate in alcuni punti) erano tutto sommato idonei alla navigazione. Le provviste non erano state toccate. Il carico era intatto. C’era un po’ d’acqua nella stiva, ma era una cosa normale per le barche di legno di quei tempi. Mancava la scialuppa di salvataggio. Su un parapetto fu trovato il segno di un taglio, forse il risultato del colpo dato da un’ascia. Delle strane macchie rosse sul ponte risultarono poi essere vino. Una sagola (o corda che dir si voglia) era ancora attaccata allo scafo e ne seguiva la scia. Sul tavolo della cabina del primo ufficiale c’era la carta nautica che mostrava il percorso della nave fino al 24 novembre. Negli altri alloggi gli effetti personali degli occupanti erano al loro posto. Denaro e pipe non erano stati portati via. Per inciso: la pipa e il tabacco sono articoli che nessun lupo di mare abbandonerebbe se non in caso di panico assoluto… o di un rapimento fulmineo. La cambusa era invece stata messa a soqquadro: la stufa era ribaltata e c’erano utensili da cucina su tutto il pavimento. L’orologio nella cabina di comando era rotto e fissato alla parete al contrario. Nella cabina del capitano c’erano i suoi stivali e l’impermeabile da indossare in caso di maltempo. Il letto era sfatto e su di esso c’erano alcuni giocattoli della figlioletta. C’erano inoltre gioielli da donna sparsi in giro. Mancavano il sestante, il solcometro (misuratore di velocità) e altre carte nautiche. Un foglio con alcuni calcoli incompleti stava sul tavolo. Una bottiglia di medicinale era aperta, con il tappo e il cucchiaio accanto, come se la persona in procinto di berla avesse mollato tutto all’improvviso. Altre carte nautiche rotolavano sul pavimento. Il diario del capitano era ancora lì: l’ultima nota risaliva al mattino del 25 novembre e dichiarava che la nave era passata a sei miglia al largo dell’isola Santa Maria, nelle Azzorre. Nessun commento anomalo, niente di strano. Nella cabina del ponte di comando la grande bussola nautica di bordo era caduta dal suo sostegno e si era rotta. L’osteriggio (l’equivalente del lucernario nelle barche) era aperto.Di conseguenza la pioggia e le onde più alte avevano in pratica bagnato ogni cosa. Tutti gli oblò delle altre cabine erano invece stati coperti con stoffe e tavole di legno per proteggerli dalla furia del mare. Sul tavolo di una cabina c’era una piccola fiala d’olio per macchine da cucire, assieme a rocchetti di cotone e a un ditale. Forse Sarah Briggs si stava preparando a rammendare ed era stata bruscamente interrotta. La Mary Celeste aveva navigato per oltre una settimana e percorso 500 miglia senza nessuno a bordo. Morehouse era perplesso. La nave aveva le vele predisposte per catturare il vento proveniente da tribordo. Ma il Dei Gratia, che aveva seguito la medesima rotta fino a pochi giorni prima e sitemato le vele allo stesso modo, era stata costretta a cambiarne l’assetto e a mantenerlo per tutte le 400 miglia dalle Azzorre fino a quel punto. Non era quindi possibile che la Mary Celeste fosse riuscita ad arrivare fin lì senza fare la stessa cosa. Qualcuno aveva di sicuro guidato la nave anche dopo che l’ultima annotazione era stata riportata sul diario di bordo. Ma chi? Perché abbandonare la nave così di colpo? Cattivo tempo? Non sembrava probabile, visto che l’impermeabile era ancora nella cabina del capitano. Quale spaventosa forza esterna aveva costretto i passeggeri a fuggire? Domanda più inquetante ancora: avevano lasciato il brigantino volontariamente o erano stati portati via con la forza? L’equipaggio del Dei Gratia si divise e tre uomini condussero la Mary Celeste fino a Gibilterra. Deveau, divenuto il temporaneo capitano della Mary Celeste, continuò a tenere il diario di bordo e cancellò inspiegabilmente alcune delle annotazioni più vecchie. Disse che fu un errore involontario. Invece di ricavare dei vantaggi dal recupero del vascello, l’equipaggio fu accusato di omicidio multiplo. Frederick Solly Flood, l’avvocato/investigatore che si occupò del caso, accusò Morehouse e compagni di aver dato l’assalto alla Mary Celeste per poi vantarne il ritrovamento e (secondo le leggi dell’epoca) diventarne proprietari. Intanto cominciarono le ricerche in tutti i porti più vicini per trovare eventuali superstiti, senza alcun risultato. Furono consultati meteorologi, zoologi e criminologi, ognuno dei quali diede la sua spiegazione. Si ipotizzò che l’equipaggio agli ordini di Briggs si fosse ubriacato e avesse ucciso il capitano e sua moglie. La storia non regge: l’alcool etilico è velenoso. E poi, se tale ammutinamento c’era stato, perché i ribelli avevano abbandonato nave e carico? I marinai erano tutti uomini molto stimati e un viaggio così breve non poteva giustificare una rivolta. Altra teoria: la Mary Celeste tentò di prestare soccorso a una nave in fiamme, si avvicinò troppo, prese fuoco a sua volta, e gli equipaggi di entrambe le navi finirono ammassati su una sola scialuppa che si rovesciò, decretando la morte di tutti quanti. Il problema è che nei registri di quel periodo, oltre alla Mary Celeste, non risultano navi disperse in quella zona. I più fantasiosi sostennero che un calamaro gigante aveva divorato l’intero equipaggio. Un attacco da parte dei pirati non sembrava probabile, dato che l’ultimo episodio risaliva al 1832. La più attendibile spiegazione è la seguente: i barili d’alcool sprigionarono vapori che divennero letali alla prima scintilla proveniente dalla cambusa. L’esplosione fece volar via i portelli del boccaporto. Temendo un’altra deflagrazione, il capitano aveva calato la scialuppa di salvataggio in mare, vi era salito con il resto del gruppo, e l’aveva legata con una corda alla nave, tenendosi a distanza di sicurezza. Il cattivo tempo aveva infierito su di loro spezzando la corda. E’ facile immaginare la sorte della barchetta in balia dell’Atlantico in burrasca. Onde alte come palazzoni, un vento fortissimo e pioggia torrenziale. Supponendo che la sfortunata comitiva avesse superato indenne la tempesta, si poteva star certi che la morte fosse sopraggiunta in ogni caso nei giorni seguenti per la mancanza d’acqua. Ma non c’erano segni evidenti di un’esplosione, mancavano le bruciature e la fuliggine. C’è da dire che l’alcool arde senza lasciare fuliggine e, spesso, brucia anche tanto velocemente da non lasciare alcun segno. 41 anni dopo, un certo Abel Fosdik affermava, nei suoi scritti, di essere stato un passeggero clandestino della Mary Celeste e di sapere cos’era successo. Durante la navigazione il capitano aveva fatto costruire una piccola piattaforma (esterna allo scafo) per la figlioletta. Fosdik scriveva di aver visto il capitano e altri marinai tuffarsi in acqua per una gara di nuoto. Gli squali avevano interrotto sanguinosamente la competizione. Il resto dell’equipaggio si era ammassato sulla piattaforma che aveva ceduto sotto il peso eccessivo. Fosdik sosteneva di essersi salvato aggrappandosi a una tavola di legno e di essere in seguito approdato, mezzo morto, sulle coste dell’Africa. La favola non regge, specie sulla gara di nuoto: nessuno si sarebbe messo a nuotare attorno a una nave che andava a una discreta velocità, primo fra tutti il capitano, che abbandonando l’imbarcazione anche per un solo istante avrebbe messo inutilmente in pericolo i passeggeri. Il processo si concluse con l’assoluzione dei marinai del Dei Gratia, e con una giuria piuttosto confusa sulle reali cause della scomparsa di dieci persone. Nel 1884 Arthur Conan Doyle alimentò la leggenda scrivendo un racconto che narrava di una nave fantasma che si chiamava (guarda caso) Mary Celeste. Descrisse una vicenda reale aggiungendoci molti elementi di fantasia. Realtà e finzione finirono per mescolarsi. Malgrado ciò che si vocifera, non fu trovato del cibo fresco sulla tavola e nessun gatto nero acciambellato vicino al timone. Non furono nemmeno trovate delle armi sporche di sangue né chiazze di tale sostanza sulle vele. La Mary Celeste Dopo il processo, la Mary Celeste continuò a solcare i mari per altri 12 anni e cambiò proprietario per ben 17 volte. Durante uno dei tanti viaggi si ritrovò a trasportare cavalli e asini. Gli animali morirono misteriosamente nella stiva prima di arrivare a destinazione. Nel 1884 finì nelle mani del disonesto Gilman Parker che, con un raggiro, fece registrare un carico di scarso valore come fosse pregiato, assicurandolo per una cifra esorbitante. Quindi la nave partì da Boston e fu deliberatamente fatta naufragare su un banco di coralli vicino a Haiti. La truffa fu scoperta e portò Parker e soci a una triste fine: Parker morì in povertà, un altro marinaio finì in manicomio e un terzo si suicidò. Anche dalle profondità del mare la Mary Celeste riuscì a colpire i suoi ‘assassini’.
Nel 2001 il relitto è stato ritrovato dalla spedizione di Clive Cussler. L’equipaggio del 1872, invece, è scomparso nel nulla per sempre.
Ci associamo alla " Polizia Postale " con un NO tassativo alla vivisezione
Ciao essere umano, io sono un animale etichettato come cane.
Non ci conosciamo, non ci siamo mai visti, so che sei molto occupato e che hai un sacco di cose da fare, ma vorrei che mi concedessi qualche minuto del tuo tempo , ho qualcosa da raccontarti.
Mi hanno separato dalla mia mamma poco tempo dopo la mia nascita; degli "esseri umani" mi hanno rinchiusa all'interno di un tunnel, viene chiamat
Non ci conosciamo, non ci siamo mai visti, so che sei molto occupato e che hai un sacco di cose da fare, ma vorrei che mi concedessi qualche minuto del tuo tempo , ho qualcosa da raccontarti.
Mi hanno separato dalla mia mamma poco tempo dopo la mia nascita; degli "esseri umani" mi hanno rinchiusa all'interno di un tunnel, viene chiamat
o “Il tunnel della disperazione”, un cilindro tutto di metallo, molto alto, freddo e senza luce, ne quale mi hanno lasciato per 45 giorni.
Sono rimasta lì da sola, tutta raggomitolata, con le mie zampe ormai atrofizzate.
Questi esseri umani volevano arrivare a delle conclusioni sull’impotenza e la disperazione che caratterizzano la depressione umana.
Dopo l'esperimento della depressione, mi hanno rinchiusa con una finta mamma, chiamata (madre sostitutiva), anche se era finta mi sentivo protetta e mi raggomitolavo vicino a lei, per sentirmi meno sola ma.
Ogni tanto senza motivo o preavviso la mia finta mamma mi lanciava delle fortissime scariche elettriche, allora mi allontanavo quanto potevo per proteggermi, piangendo ed aspettavo nel mio angolino che il formicolio parisse prima di avvicinarmi nuovamente tra le sue zampe.
Questi esseri umani, volevano trarre delle conclusioni sul comportamento di un bambino in situazione di rigetto materno.
Se ti sto annoiando non leggermi, davvero non preoccuparti, tanto sono abituata all'indifferenza…
Dopo qualche giorno mi hanno fatto correre per molto tempo all'interno di una grande macchina, sai, dovevo imparare a correre a una certa velocità e non di meno, se non andavo abbastanza veloce mi somministravano delle fortissime scosse elettriche.
Poi mi hanno somministrato dei prodotti tossici e delle dosi di irradiamento radioattivo, mi ha fatto star male, molto male, vomitavo, tremavo tantissimo; allora ho smesso di correre, lasciandomi andare.
Dopo qualche secondo mi hanno riempito di scosse elettriche , il dolore era immenso cercavo di alzarmi ma le zampe non mi reggevano.
Tutto questo dolore, per testare gli effetti delle radiazioni sulla capacità di lavoro.
Dopo qualche giorno ancora, mi hanno messo una scatola di metallo sulla testa e ci hanno picchiato sopra con il martello per causarmi un trauma cranico ed esaminare lo stato dei miei riflessi.
Dopo qualche ora, con dei colpi di martello necessari per togliermi quell’inferno di metallo dalla testa, gli esseri umani mi hanno cucito e lasciato tutta notte su un freddo letto di metallo.
Gli esseri umani volevano sapere in che stato si trovassero i riflessi umani dopo aver subìto un trauma cranico.
Essere umano, oggi ti scrivo da questo letto di metallo, prima di subire l'ultima sperimentazione, dico l'ultima perché il mio corpo ormai é saturo, e spero di morire oggi stesso.
Non ho paura di morire, anzi, sono sicurissima che la morte sarà bellissima, sicuramente meno sofferente rispetto a quello che ho passato fino ad oggi.
Essere umano, prima di lasciarti voglio dirti una cosa; sappi che io non ti odierò mai, e continuerò a scodinzolarti nella speranza che prima o poi mi farai una carezza, anziché infierire sul mio corpo.
Adesso ti lascio, grazie per avermi ascoltato; ci tenevo a salutarti prima di andare...
Il mio nome é 10299401/c. animale da laboratorio!
Polizia Postale Official Web SIte Fan dice no alla vivisezione.
A cura di: Andrea Mavilla.
Sono rimasta lì da sola, tutta raggomitolata, con le mie zampe ormai atrofizzate.
Questi esseri umani volevano arrivare a delle conclusioni sull’impotenza e la disperazione che caratterizzano la depressione umana.
Dopo l'esperimento della depressione, mi hanno rinchiusa con una finta mamma, chiamata (madre sostitutiva), anche se era finta mi sentivo protetta e mi raggomitolavo vicino a lei, per sentirmi meno sola ma.
Ogni tanto senza motivo o preavviso la mia finta mamma mi lanciava delle fortissime scariche elettriche, allora mi allontanavo quanto potevo per proteggermi, piangendo ed aspettavo nel mio angolino che il formicolio parisse prima di avvicinarmi nuovamente tra le sue zampe.
Questi esseri umani, volevano trarre delle conclusioni sul comportamento di un bambino in situazione di rigetto materno.
Se ti sto annoiando non leggermi, davvero non preoccuparti, tanto sono abituata all'indifferenza…
Dopo qualche giorno mi hanno fatto correre per molto tempo all'interno di una grande macchina, sai, dovevo imparare a correre a una certa velocità e non di meno, se non andavo abbastanza veloce mi somministravano delle fortissime scosse elettriche.
Poi mi hanno somministrato dei prodotti tossici e delle dosi di irradiamento radioattivo, mi ha fatto star male, molto male, vomitavo, tremavo tantissimo; allora ho smesso di correre, lasciandomi andare.
Dopo qualche secondo mi hanno riempito di scosse elettriche , il dolore era immenso cercavo di alzarmi ma le zampe non mi reggevano.
Tutto questo dolore, per testare gli effetti delle radiazioni sulla capacità di lavoro.
Dopo qualche giorno ancora, mi hanno messo una scatola di metallo sulla testa e ci hanno picchiato sopra con il martello per causarmi un trauma cranico ed esaminare lo stato dei miei riflessi.
Dopo qualche ora, con dei colpi di martello necessari per togliermi quell’inferno di metallo dalla testa, gli esseri umani mi hanno cucito e lasciato tutta notte su un freddo letto di metallo.
Gli esseri umani volevano sapere in che stato si trovassero i riflessi umani dopo aver subìto un trauma cranico.
Essere umano, oggi ti scrivo da questo letto di metallo, prima di subire l'ultima sperimentazione, dico l'ultima perché il mio corpo ormai é saturo, e spero di morire oggi stesso.
Non ho paura di morire, anzi, sono sicurissima che la morte sarà bellissima, sicuramente meno sofferente rispetto a quello che ho passato fino ad oggi.
Essere umano, prima di lasciarti voglio dirti una cosa; sappi che io non ti odierò mai, e continuerò a scodinzolarti nella speranza che prima o poi mi farai una carezza, anziché infierire sul mio corpo.
Adesso ti lascio, grazie per avermi ascoltato; ci tenevo a salutarti prima di andare...
Il mio nome é 10299401/c. animale da laboratorio!
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A cura di: Andrea Mavilla.
Orchidee
Le Orchidacee (Orchidaceae Juss., 1789) sono una famiglia di piante monocotiledoni, appartenenti all'ordine delle Orchidales (o Asparagales secondo la classificazione APG).
I loro fiori sono comunemente chiamati orchidee.
Questa famiglia è costituita da piante erbacee perenni, alcune delle quali sono in grado di assorbire dall'acqua presente nell'ambiente le sostanze necessarie alla loro sopravvivenza tramite le radici aeree (autotrofia) e capaci anche di nutrirsi assimilando sostanze da organismi in decomposizione (sapròfite).
Paphiopedilum harrisianum
Cattleya aclandiae
Ophrys speculum
Dark All Blue Orchids
Paphiopedilum harrisianum
Cattleya aclandiae
Ophrys speculum
Dark All Blue Orchids
Gli amanti di Valdaro : un abbraccio che dura da 6.000 anni
Abbracciati teneramente, le gambe raccolte e incrociate l’uno con l’altra, le braccia di lui sul collo di lei, quelle di lei sulle spalle di lui, uniti da oltre 6000 anni in una pace d’abbandono che forse è stata amore. Sono gli «amanti di Valdaro», due scheletri risalenti al Neolitico ritrovati vicino a Mantova in una necropoli scoperta nel 2007.
Finora nessuno aveva potuto gettare uno sguardo su quelle ossa innamorate, se non in fotografia. Un’associazione nata tutta per loro che si è battezzata «Amanti a Mantova» nel 2011 è riuscita a esporli per qualche giorno nell’ingresso del Museo Archeologico, ancora in fase di ristrutturazione. Ma l’obiettivo è che i due possano avere, come avrebbe detto Virginia Woolf, una stanza tutta per sé, e magari anche un adeguato arredamento tecnologico per illustrarne la vicenda.
Una storia straordinaria, come un romanzo di cui possediamo alcuni capitoli, una narrazione al tempo stesso frammentaria e appassionante, una storia eterna. I due scheletri sono stati ovviamente studiati a lungo. Ora sappiamo che sono appartenuti a due giovani, un uomo e una donna, fra i 18 e i 20 anni. A sinistra il maschio, a destra la femmina, vissuti intorno a 6000 anni fa. Rappresentano qualcosa di unico al mondo, sia per l’antichità sia per la posizione in cui sono stati trovati.
Recano con sé una componente di mistero, perché sul significato del loro abbraccio mortale ed eterno non si possono che formulare ipotesi. In un primo tempo, dato che erano state trovate accanto alcune punte di silice, si era pensato che potessero essere stati uccisi. Immaginare un compagno geloso, un capo-clan irascibile, una seduzione finita molto male non è poi così strano, visto che Mantova è la città del Rigoletto, e la casa dove Verdi concepì la sua (immaginaria) vicenda è a due passi dal museo, basta attraversare la piazza. Le prime analisi, però, stabilirono che non c’erano fratture e neppure microtraumi, dunque l’omicidio era da escludere. Restava la malattia, forse il freddo: che i due ragazzi si fossero stretti per scaldarsi a vicenda in una gelida nottata neolitica? “E’ possibile” – ci dice la professoressa Silvia Bagnoli, animatrice e presidente del Comitato – “però il luogo del ritrovamento, una necropoli, rende la cosa improbabile, o eccessivamente romanzesca. Sembrerebbe molto più verosimile pensare che i due corpi siano stati composti in quella posizione da mani pietose, che forse volevano lanciare un messaggio, magari non a noi posteri curiosi, ma certamente agli spiriti dell’aldilà, chiudere in un tenero abbraccio quello che era stato un amore (coniugale, probabilmente: è verisimile che a quel tempo ci si «sposasse» assai presto), consegnarlo tale e quale, incorrotto, al lungo viaggio della morte.
La terra della zona ha conservato perfettamente le ossa, tanto che per non danneggiarle al momento dello scavo è stato sollevato e riposto in un adeguato contenitore l’intero blocco da cui affioravano, una zolla da due metri cubi che resta anche adesso il loro letto. I due amanti non hanno mai cambiato posizione, si stringono immutabili in un gesto che è nello stesso tempo affettuoso e sensuale, un gesto d’amore.
La leggenda dell'erica bianca
L'erica bianca (Calluna Vulgaris) è uno dei simboli porta fortuna più famosi della Scozia. Questa pianta, molto diffusa in tutto il Paese, nelle sue varie tonalità, viene donata alle persone care, sopratutto come augurio di felice matrimonio, se raccolta ancora fresca e stretta in un nastro in tartan.
La leggenda racconta che la figlia del bardo Ossian, Malvina, era una ragazza molto dolce e di indubbio fascino. La giovane donna era promessa sposa ad un valoroso e nobile guerriero di nome Oscar che fu costretto però a partire, in cerca di fortuna. In un giorno d'autunno, Malvina era intenta ad ascoltare il padre cantare, pensando all'amato partito per una battaglia, quando all'orizzonte vide una figura avvicinarsi tra l'erica. Era il messaggero di Oscar, ferito e sanguinante, venuto a portare notizie dell'amato a Malvina. Oscar, durante un combattimento, era stato ferito a morte e non sarebbe mai più tornato a casa. Prima di morire, però, aveva raccolto un mazzetto di fiori da donare alla sua amata come segno di amore eterno. All'udire quelle parole, Malvina fuggì verso la collina scoppiando in un doloroso pianto. Una lacrima della giovane, scivolando sui petali dei fiori viola, li fece diventare improvvisamente bianchi. Malvina guardando i fiori allora esclamò "Che l'erica bianca, simbolo del mio dolore, porti fortuna a chiunque la trovi".
Glamis Castle : il castello più infestato del mondo
Il castello di Glamis si trova in Tayside ed è sicuramente uno dei luoghi più conosciuti del Regno unito e della scozia in particolare, per essere protagonista di quel che non si sa se sia leggenda o pura fantasia; storie di maledizioni, fantasmi e segreti si sono susseguite nel corso dei secoli e radicate tanto da giungere fino a noi e da appassionarci alla loro lettura, ora andremo a vedere in particolare partendo da quello che si crede sia stato l'inizio di tutto. Non ci sono prove certe di quanto sto per scrivere ma secondo una leggenda tutto iniziò quando il castello doveva ancora essere costruito. Nel X secolo Machbet uccise il suo cugino allora re di Scozia Duncan I (omicidio tra l'altro raccontato da Shakespere) esattamente sul luogo in cui sorgerà più tardi il castello, anche se questa teoria è contrastata da una teoria degli storici che affermano che questo in realtà avvenne un po più a nord. Poco più tardi un altro re di Scozia Malcom II fu ucciso all'interno del castello tanto che il suo sangue formò un enorme macchia sul pavimento che non si cancello più, infatti ancora oggi è perfettamente visibile.
Molti però ritengono che l'origine delle numerose morti legate al castello sia da far risalire a Sir John Lyon che, nel 1372, acquistò il castello di Glamis. Nella sua dimora precedente, il palazzo Forteviot, vi era un calice che, secondo la leggenda, non doveva assolutamente essere spostato dal luogo in cui era conservato, pena terribili disgrazie che si sarebbero abbattute senza pietà sulla stirpe di colui che avrebbe osato fare una cosa simile. Sir John, incurante di questa stupida diceria, portò il calice nella sua nuova residenza. Da allora, per generazioni e generazioni, tra gli abitanti di Glamis si verificarono misteriose ed orribili morti. Ad iniziare proprio da sir John, che, undici anni dopo essersi trasferito a Glamis, perì in un duello. Nel XVI secolo fu la volta di Lady Campbell, la moglie del sesto conte di Glamis. Sospettata d'aver tentato di avvelenare re Giacomo V, marchiata dell'accusa di stregoneria, trascorse gli ultimi anni della sua vita nelle segrete di una prigione sotterranea, prima di morire sul rogo, davanti al castello di Edimburgo. Si dice che dopo il supplizio abbia fatto ritorno a Glamis, in veste di spettro, e che disturbi la calma del maniero dondolandosi in una vampa di fuoco, proprio sopra l'orologio della torre.
LA STANZA SEGRETA
Nel XVII secolo il castello fu ereditato dal conte Patrick Strathmore, che la storia e la leggenda vogliono essere un individuo violento e di costumi dissoluti, divorato dal gioco ed eternamente ubriaco. Su di lui circolavano due sinistre leggende. Si diceva infatti che avesse rinchiuso in una stanza segreta un suo figlio nato deforme, verso il 1800. Egli era una creatura deforme, senza collo e con braccia e gambe rattrappite, dotata però di una forza straordinaria. Per tenerlo lontano dagli sguardi dei curiosi, venne rinchiuso in una camera speciale, con una serratura massiccia. Fino ad oggi la camera segreta non è stata ancora ritrovata. A giurare sulla sua esistenza fu, però, addirittura Peter Underwood, uno dei più famosi Ghost Hunters (cacciatori di fantasmi) del Regno Unito, autore tra l'altro di un opera fondamentale per tutti gli appassionati di ectoplasmi, una vera e propria guida ai fantasmi britannici. Underwood riteneva infatti che la stanza segreta fosse stata costruita attorno al 1684 e che qui il mostro di Glamis fosse stato rinchiuso fino alla data della sua morte, nel 1921 (dunque ultracentenario!!). La stanza segreta e lord Patrick, però, come già detto, sono legati ad un'altra orribile leggenda. Si racconta che Patrick, accanito giocatore, abbia perso la sua anima giocando a carte con il Diavolo. Tale partita sarebbe avvenuta per l'appunto nella stanza segreta. Ancora si dice che il conte rinchiudesse i suoi nemici nella stanza segreta, lasciandoli morire di fame. I disgraziati, spinti dalla disperazione non solo iniziarono a mangiarsi l'uno con l'altro, ma arrivarono al punto di strapparsi a morsi dei pezzi di carne dalle proprie braccia. A conferma di questa tradizione due fantasmi, un negro ed un bianco, che subirono appunto questa atroce sorte, si aggirerebbero ogni tanto nei pressi del castello. Agli inizi del Novecento il XIV conte Strathmore organizzò nel castello una festa, durante la quale egli pensò di organizzare una ricerca della stanza segreta. Allora gli ospiti girarono per tutte le stanze, appendendo a ciascuna finestra un lenzuolo bianco. Dopo che ebbero finito, si ritrovarono tutti nel giardino e, con loro grande stupore, si accorsero che ben sette finestre erano senza lenzuolo. Si cercò a quel punto di individuare le stanze corrispondenti, ma ogni ricerca fu totalmente vana. A prendere sul serio questo racconto, sembrerebbe dunque, non solo che la stanza segreta esista, ma anche che ce ne sia più di una. La stanza segreta interessò anche Walter Scott. Lo scrittore scozzese nottetempo si recò, allo scopo di trovare la stanza in cui lord Strathmore e il Diavolo avevano giocato a carte, nella cripta della torre. Accompagnato da un valletto che faceva luce con la torcia attraversò un corridoio, le cui pareti erano piene di muffa e trasudavano umidità, in mezzo allo squittire costante dei topi. All'improvviso vide una luce brillare e di fronte a lui comparvero due nobili, uno dei quali doveva essere proprio Patrick, che seduti attorno ad un tavolo giocavano accanitamente a dadi, imprecavano, bevevano e maledicevano Dio. Ad un tratto il demonio, attirato dalle bestemmie, apparve nella stanza. Il Diavolo costrinse i due nobili a giocare per tutta l'eternità. Ancora oggi qualcuno dice di aver sentito provenire da qualche parte del castello un chiaro rumore di dadi che scivolano sul tavolo. Più tardi Walter Scott scrisse "Devo ammettere che quando udii le porte che venivano chiuse, una dopo l'altra, dopo che la mia guida si era ritirata, cominciai a sentirmi troppo distante dai vivi e troppo vicini ai morti."
Altre sono le entità soprannaturali che, di notte, popolano il castello. C'è la donna senza lingua che va girando per il parco indicando a chiunque incontri la sua menomazione, c'è The Mad Earl's Walk, un folle che, nelle notti di tempesta, si aggira per il castello percorrendo sempre lo stesso tragitto. C'è un bambino che siede davanti alla camera della Regina Madre e che si suppone fosse un servo maltrattato dai padroni. Lady Halifax disse di aver visto, una volta, due giocatori di dadi nella Blue Room, una stanza del castello. Si dice infine che ci sia una porta che si apre ogni notte, anche quando la si blocchi con dei fermi.
Si dice che la famiglia degli Strathmore nasconda un terribile segreto che ogni discendente maschile deve rivelare al figlio nel giorno del ventunesimo compleanno. Nessuno sa logicamente di quale segreto si tratti nè quanto antico sia, per la prima volta questa storia si conobbe nel 1904, quando il XIII conte, Claude Bowes-Lyon, a ventun anni, ammise pubblicamente l'esistenza di un segreto e ad un suo amico disse queste testuali parole: "Se solo sapessi la natura del nostro segreto ti getteresti in ginocchio e ringrazieresti Dio per esserne immune". Il figlio di Claude, ovvero il XIV conte, fu informato, come avveniva da secoli ormai, del segreto di famiglia quando compì 21 anni, non resistendo a tale fardello, confidò il segreto al giardiniere, il quale senza pensarci due volte fece i bagagli e si allontanò per sempre dal castello. Oggi la discendenza maschile degli Strathmore si è estinta, il castello è di proprietà della nipote del XIV conte, la quale, quando interrogò l'ex giardiniere, cercando di farsi dire quale fosse il segreto, per tutta risposta egli le disse: "Siete fortunata a non conoscerlo, e non lo saprete mai, perché sareste altrimenti la più infelice delle donne".
Il Manoscritto Voynich
Il Manoscritto Voynich
di Sergio della Valle
Il Manoscritto Voynich è un tomo scritto ed illustrato a mano, di piccole dimensioni (16x22 cm), che consta di 102 fogli, per un totale di 204 pagine, legati in pergamena, ed è sicuramente uno dei libri più affascinanti e misteriosi mai esistiti. Nel seguito sono riportate le fotografie di alcune pagine relative alle varie sezioni del Manoscritto.
Il libro è privo di titolo, non se ne conosce l’autore né l’epoca di origine, ed è scritto probabilmente in una lingua sconosciuta, ovvero in un codice crittografico, che peraltro ad oggi nessuno è riuscito a decifrare. Nelle sue inquietanti illustrazioni acquerellate sono rappresentati curiosi simboli, animali e piante (sconosciute ma plausibili alla luce delle attuali conoscenze biologiche), sfere celesti e donne nude, talora impegnate in attività del tutto incomprensibili.
Il Manoscritto compare per la prima volta nelle cronache a Praga, nel ‘600, dove l’imperatore Rodolfo II d’Asburgo, ben noto alchimista, lo acquista ad un prezzo elevatissimo da John Dee, mago ed esoterista inglese. Questi lo aveva ricevuto dalla famiglia del duca di Northumberland, che se ne era impadronito in un monastero inglese, tra i tanti da lui rapinati durante il regno di Enrico VIII. Oggi esso è conosciuto come “Manoscritto Voynich” dal nome dell’antiquario russo Wilfred Voynich, che lo ritrovò tre secoli dopo, nel 1912, nella biblioteca dei Gesuiti di Villa Mondragone a Frascati, quando lo si riteneva ormai perduto per sempre. Il Voynich lo vendette successivamente al libraio americano Hans P. Kraus, che tentò invano di venderlo ad alto prezzo, e lo donò poi alla Beinecke Rare Book and Manuscript Library dell'Università di Yale, negli Stati Uniti, cui attualmente appartiene; questa Istituzione ha di recente provveduto ad effettuarne le riproduzioni fotografiche,
. Le illustrazioni acquerellate sono state in genere scelte dagli studiosi come punto di riferimento per una suddivisione del Manoscritto in diverse sezioni: • Sezione I (fogli 1-66): chiamata botanica, contiene 113 disegni di piante sconosciute.
Sezione II (fogli 67-73): chiamata astronomica o astrologica, presenta 25 diagrammi che sembrano richiamare delle stelle. Vi si riconoscono anche alcuni segni zodiacali, e forse alcune costellazioni. Anche in questo caso risulta alquanto arduo stabilire di cosa effettivamente tratti questa sezione. • Sezione III (fogli 75-86): chiamata biologica, a causa della presenza di numerose figure femminili nude, sovente immerse fino al ginocchio in strane vasche intercomunicanti contenenti un liquido scuro, o impegnate in attività del tutto incomprensibili.
Subito dopo questa sezione vi è un foglio ripiegato sei volte, raffigurante nove medaglioni con immagini di stelle o figure vagamente simili a cellule, raggiere di petali e fasci di tubi. • Sezione IV (fogli 87-102): detta farmacologica, per via delle immagini di ampolle e fiale dalla forma analoga a quella dei contenitori presenti nelle antiche farmacie; la sezione contiene anche numerosi disegni di piccole piante e radici, presumibilmente erbe medicinali. • L'ultima sezione del Manoscritto Voynich comincia dal foglio 103 e prosegue sino alla fine. Non vi figura alcuna immagine, eccettuate piccole stelle
a sinistra delle righe, che potrebbero indurre a credere possa trattarsi di una sorta di indice.
Il Manoscritto fu inzialmente studiato per lungo tempo dal famoso scienziato gesuita Athanasius Kircher, tra l’altro noto come specialista di crittografia e geroglifica egizia, cui era stato sottoposto dal Rettore dell’Università di Praga Johannes Marcu Marci, e successivamente, sempre nel ‘600, dallo scienziato ceco Johannes di Tepenecz; nessuno dei due studiosi riuscì peraltro a decifrarlo.
A questi primi tentativi di decifrazione seguì una lunga pausa negli studi sul Manoscritto, dovuta al fatto che esso era ormai entrato in possesso di una biblioteca dei Gesuiti, e diventato quindi di fatto inaccessibile. Negli ultimi 90 anni però, dopo il suo ritrovamento, anche grazie alle numerose riproduzioni fotografiche che iniziavano a circolare, il testo è stato nuovamente sottoposto a lunghi e approfonditi studi da innumerevoli paleografi, linguisti, filologi, archeologi, botanici, biologi ed esobiologi, matematici, informatici, criptoanalisti, sovente di chiara fama. Tutti questi studiosi, peraltro, pur producendo una sterminata bibliografia, non sembra siano riusciti finora a darne un’interpretazione plausibile e condivisa, e neppure a dimostrare in modo incontrovertibile se il Codice sia scritto in una lingua sconosciuta, in un sistema crittografico, ovvero si tratti di un falso d’epoca.
Le numerose e contrastanti ipotesi fin qui avanzate sull’epoca cui il Manoscritto risale vanno dal ‘300 (alcuni lo ritengono opera del celebre scienziato ed alchimista inglese Roger Bacon, altri un falso medievale), alla fine del ‘400, ai primi del ‘600 (falso dell’epoca di Rodolfo II). Per quanto attiene al suo contenuto, la cui comprensione appare ancora molto lontana, gli studi linguistici sul testo, che tengono conto delle ormai ben note ed universali frequenze di ripetizione di lettere e parole, unitamente alla dimostrata plausibilità biologica delle piante rappresentate nella “Sezione botanica” (peraltro inesistenti e per quanto si sa mai esistite sulla Terra), sembrerebbero escludere l’ipotesi che si tratti di un falso privo di significato, di epoca medievale ovvero dei primi del ‘600, come sostenuto da alcuni.
Può quindi al momento ritenersi forse più probabile l’ipotesi che il codice sia scritto in una lingua sconosciuta, che usa un alfabeto del pari ignoto, di difficilissima interpretazione perché non riconducibile ad alcun ceppo linguistico esistente e mancante di riferimenti comparativi del tipo della Stele di Rosetta. Appaiono peraltro evidenti le possibili implicazioni sull’origine del Manoscritto che discendono direttamente da tale ipotesi; esse potrebbero ovviamente condurre a conclusioni fantastiche, in molti casi poco credibili, e comunque probabilmente, allo stato attuale della conoscenza, non altrimenti dimostrabili. Nel seguito sono riportate le fotografie di alcune pagine relative alle varie sezioni del Manoscritto.
Il Manoscritto Voynich è un tomo scritto ed illustrato a mano, di piccole dimensioni (16x22 cm), che consta di 102 fogli, per un totale di 204 pagine, legati in pergamena, ed è sicuramente uno dei libri più affascinanti e misteriosi mai esistiti. Nel seguito sono riportate le fotografie di alcune pagine relative alle varie sezioni del Manoscritto.
Il libro è privo di titolo, non se ne conosce l’autore né l’epoca di origine, ed è scritto probabilmente in una lingua sconosciuta, ovvero in un codice crittografico, che peraltro ad oggi nessuno è riuscito a decifrare. Nelle sue inquietanti illustrazioni acquerellate sono rappresentati curiosi simboli, animali e piante (sconosciute ma plausibili alla luce delle attuali conoscenze biologiche), sfere celesti e donne nude, talora impegnate in attività del tutto incomprensibili.
Il Manoscritto compare per la prima volta nelle cronache a Praga, nel ‘600, dove l’imperatore Rodolfo II d’Asburgo, ben noto alchimista, lo acquista ad un prezzo elevatissimo da John Dee, mago ed esoterista inglese. Questi lo aveva ricevuto dalla famiglia del duca di Northumberland, che se ne era impadronito in un monastero inglese, tra i tanti da lui rapinati durante il regno di Enrico VIII. Oggi esso è conosciuto come “Manoscritto Voynich” dal nome dell’antiquario russo Wilfred Voynich, che lo ritrovò tre secoli dopo, nel 1912, nella biblioteca dei Gesuiti di Villa Mondragone a Frascati, quando lo si riteneva ormai perduto per sempre. Il Voynich lo vendette successivamente al libraio americano Hans P. Kraus, che tentò invano di venderlo ad alto prezzo, e lo donò poi alla Beinecke Rare Book and Manuscript Library dell'Università di Yale, negli Stati Uniti, cui attualmente appartiene; questa Istituzione ha di recente provveduto ad effettuarne le riproduzioni fotografiche,
. Le illustrazioni acquerellate sono state in genere scelte dagli studiosi come punto di riferimento per una suddivisione del Manoscritto in diverse sezioni: • Sezione I (fogli 1-66): chiamata botanica, contiene 113 disegni di piante sconosciute.
Sezione II (fogli 67-73): chiamata astronomica o astrologica, presenta 25 diagrammi che sembrano richiamare delle stelle. Vi si riconoscono anche alcuni segni zodiacali, e forse alcune costellazioni. Anche in questo caso risulta alquanto arduo stabilire di cosa effettivamente tratti questa sezione. • Sezione III (fogli 75-86): chiamata biologica, a causa della presenza di numerose figure femminili nude, sovente immerse fino al ginocchio in strane vasche intercomunicanti contenenti un liquido scuro, o impegnate in attività del tutto incomprensibili.
Subito dopo questa sezione vi è un foglio ripiegato sei volte, raffigurante nove medaglioni con immagini di stelle o figure vagamente simili a cellule, raggiere di petali e fasci di tubi. • Sezione IV (fogli 87-102): detta farmacologica, per via delle immagini di ampolle e fiale dalla forma analoga a quella dei contenitori presenti nelle antiche farmacie; la sezione contiene anche numerosi disegni di piccole piante e radici, presumibilmente erbe medicinali. • L'ultima sezione del Manoscritto Voynich comincia dal foglio 103 e prosegue sino alla fine. Non vi figura alcuna immagine, eccettuate piccole stelle
a sinistra delle righe, che potrebbero indurre a credere possa trattarsi di una sorta di indice.
Il Manoscritto fu inzialmente studiato per lungo tempo dal famoso scienziato gesuita Athanasius Kircher, tra l’altro noto come specialista di crittografia e geroglifica egizia, cui era stato sottoposto dal Rettore dell’Università di Praga Johannes Marcu Marci, e successivamente, sempre nel ‘600, dallo scienziato ceco Johannes di Tepenecz; nessuno dei due studiosi riuscì peraltro a decifrarlo.
A questi primi tentativi di decifrazione seguì una lunga pausa negli studi sul Manoscritto, dovuta al fatto che esso era ormai entrato in possesso di una biblioteca dei Gesuiti, e diventato quindi di fatto inaccessibile. Negli ultimi 90 anni però, dopo il suo ritrovamento, anche grazie alle numerose riproduzioni fotografiche che iniziavano a circolare, il testo è stato nuovamente sottoposto a lunghi e approfonditi studi da innumerevoli paleografi, linguisti, filologi, archeologi, botanici, biologi ed esobiologi, matematici, informatici, criptoanalisti, sovente di chiara fama. Tutti questi studiosi, peraltro, pur producendo una sterminata bibliografia, non sembra siano riusciti finora a darne un’interpretazione plausibile e condivisa, e neppure a dimostrare in modo incontrovertibile se il Codice sia scritto in una lingua sconosciuta, in un sistema crittografico, ovvero si tratti di un falso d’epoca.
Le numerose e contrastanti ipotesi fin qui avanzate sull’epoca cui il Manoscritto risale vanno dal ‘300 (alcuni lo ritengono opera del celebre scienziato ed alchimista inglese Roger Bacon, altri un falso medievale), alla fine del ‘400, ai primi del ‘600 (falso dell’epoca di Rodolfo II). Per quanto attiene al suo contenuto, la cui comprensione appare ancora molto lontana, gli studi linguistici sul testo, che tengono conto delle ormai ben note ed universali frequenze di ripetizione di lettere e parole, unitamente alla dimostrata plausibilità biologica delle piante rappresentate nella “Sezione botanica” (peraltro inesistenti e per quanto si sa mai esistite sulla Terra), sembrerebbero escludere l’ipotesi che si tratti di un falso privo di significato, di epoca medievale ovvero dei primi del ‘600, come sostenuto da alcuni.
Può quindi al momento ritenersi forse più probabile l’ipotesi che il codice sia scritto in una lingua sconosciuta, che usa un alfabeto del pari ignoto, di difficilissima interpretazione perché non riconducibile ad alcun ceppo linguistico esistente e mancante di riferimenti comparativi del tipo della Stele di Rosetta. Appaiono peraltro evidenti le possibili implicazioni sull’origine del Manoscritto che discendono direttamente da tale ipotesi; esse potrebbero ovviamente condurre a conclusioni fantastiche, in molti casi poco credibili, e comunque probabilmente, allo stato attuale della conoscenza, non altrimenti dimostrabili. Nel seguito sono riportate le fotografie di alcune pagine relative alle varie sezioni del Manoscritto.
Amiamo la nostra casa comune è la sola che abbiamo
Scelgo di vivere per scelta e non per caso.
Scelgo di fare dei cambiamenti, anzichè avere delle scuse.
Scelgo di essere motivata non manipolata.
Scelgo di essere utile, non usata.
Scelgo l’autostima, non l’autocommiserazione.
Scelgo di eccellere, non di competere.
Scelgo di ascoltare la voce interiore, e non l’opinione casuale della gente.
(Eileen Caddy)