domenica 28 ottobre 2012
Un insetto affascinante: l'ape
L’ape è da sempre simbolo di sovranità. Casate nobiliari di tutto il mondo e di tutte le epoche hanno raffigurato questo laborioso insetto sui propri stemmi. Insetto ricco di simbologie in tutte le società antiche, è stato considerato animale nobile, impenetrabile e magico in molte religioni, dall’Oriente all’Occidente.
Nell’antico Egitto l’ape ebbe un significato solare; secondo un mito, quando Ra piangeva, le sue lacrime si trasformavano in api. A Sais il tempio del dio Neith era soprannominato “casa dell’ape”.
Nella religione ellenica Zeus viene talvolta chiamato Melisseo (uomo-ape), perché da piccolo era stato nutrito dalle api di Creta, a cui aveva poi donato il colore aureo. L’ape era sacra anche ad Artemide nel suo ruolo di ninfa orgiastica e il piccolo insetto, in quanto simbolo di produttività, era identificato poi con la dea greca Demetra e con le romane Cerere e Opi. Anche dall’altro capo del mondo, secondo la religione indiana, Visnù, Krishna e Indra sono chiamati Madhava (nati dal nettare) e sono spesso raffigurati con un’ape posata su un fiore loto, mentre Karma ha una corda dell’arco fatta di api. Persino una religione monoteista come il cristianesimo adottò l’ape come simbolo: si narrava che San Giovanni Crisostomo (“dalla bocca d'oro”) fosse nato con uno sciame di api che gli volteggiava intorno alla bocca a simboleggiare la dolcezza della sua predicazione. Nella religione ellenica Zeus viene talvolta chiamato Melisseo (uomo-ape), perché da piccolo era stato nutrito dalle api di Creta, a cui aveva poi donato il colore aureo. L’ape era sacra anche ad Artemide nel suo ruolo di ninfa orgiastica e il piccolo insetto, in quanto simbolo di produttività, era identificato poi con la dea greca Demetra e con le romane Cerere e Opi. Anche dall’altro capo del mondo, secondo la religione indiana, Visnù, Krishna e Indra sono chiamati Madhava (nati dal nettare) e sono spesso raffigurati con un’ape posata su un fiore loto, mentre Karma ha una corda dell’arco fatta di api. Persino una religione monoteista come il cristianesimo adottò l’ape come simbolo: si narrava che San Giovanni Crisostomo (“dalla bocca d'oro”) fosse nato con uno sciame di api che gli volteggiava intorno alla bocca a simboleggiare la dolcezza della sua predicazione.
Porfirio, filosofo del III secolo, racconta che gli antichi chiamavano melìssas le anime avviate alla nascita, ma solo quelle destinate a vivere con giustizia, e a ritornare là da dove provengono dopo aver fatto il volere degli dei. Nell’Ippolito di Euripide, l’eroe offre ad Artemide una corona di fiori che proviene da un prato incontaminato, dove il pastore non osa pascolare il suo gregge e in cui solo l’ape può accedervi, in quanto luogo di grande purezza. Le api erano quindi considerate innanzitutto caste. Virgilio stesso ci dice che esse non si abbandonano al congiungimento, non fiaccano i loro corpi nei piaceri di Venere, né generano con le doglie. Del resto, le donne ateniesi che partecipavano alle feste Tesmoforie assumevano il nome di mélissai: esse si astenevano per tre giorni da ogni contatto sessuale, digiunavano per un giorno e giacevano a terra su giacigli di agnocasto, pianta dal potere anafrodisiaco. Messaggera tra i due amanti, l’ape rappresenta simbolicamente il legame di purezza e di fedeltà che deve stringerli l’uno all’altro: una volta infranto tale legame, è l’ape stessa che può svolgere il ruolo di punire il reo. L’ape è stata considerata un animale contrario al lusso e alla mollezza fino a tempi recenti, per questo nel folclore tedesco il mettersi di fronte a un alveare costituiva una tipica prova di purezza per le giovani spose. Dal codice amoroso si fa presto a passare al codice alimentare, e anche qui il comportamento deve essere irreprensibile: l’ape odia ogni forma di putrido, mai essa si poserà su un pezzo di carne, o là dove sia del sangue o del grasso. Inoltre l’ape tiene costantemente pulito l’alveare, trasportandone fuori gli escrementi, e sia Virgilio che Plinio affermano che l’apicoltore deve allontanare da esso ogni fonte di cattivi odori e costruirlo lontano da latrine, letamai e bagni e, persino nell’avvicinarsi all’alveare, deve curare di essersi astenuto da ogni cibo forte o troppo saporoso. Per molto tempo l’ape ha avuto una importante funzione economica, oltre che simbolica e magica; il miele è il primo dolcificante conosciuto dall’uomo.
Insetto dei fiori, della rugiada e del nettare. Lontana dal putrido ma anche dai profumi troppo forti. Essere né maschile né femminile, né domestica né selvatica, come a dire né dalla parte della cultura né da parte della natura. Insetto lontano, divino, enigmatico e, di certo, eccezionale.
Claudia Pecoraro
Nell’antico Egitto l’ape ebbe un significato solare; secondo un mito, quando Ra piangeva, le sue lacrime si trasformavano in api. A Sais il tempio del dio Neith era soprannominato “casa dell’ape”.
Nella religione ellenica Zeus viene talvolta chiamato Melisseo (uomo-ape), perché da piccolo era stato nutrito dalle api di Creta, a cui aveva poi donato il colore aureo. L’ape era sacra anche ad Artemide nel suo ruolo di ninfa orgiastica e il piccolo insetto, in quanto simbolo di produttività, era identificato poi con la dea greca Demetra e con le romane Cerere e Opi. Anche dall’altro capo del mondo, secondo la religione indiana, Visnù, Krishna e Indra sono chiamati Madhava (nati dal nettare) e sono spesso raffigurati con un’ape posata su un fiore loto, mentre Karma ha una corda dell’arco fatta di api. Persino una religione monoteista come il cristianesimo adottò l’ape come simbolo: si narrava che San Giovanni Crisostomo (“dalla bocca d'oro”) fosse nato con uno sciame di api che gli volteggiava intorno alla bocca a simboleggiare la dolcezza della sua predicazione. Nella religione ellenica Zeus viene talvolta chiamato Melisseo (uomo-ape), perché da piccolo era stato nutrito dalle api di Creta, a cui aveva poi donato il colore aureo. L’ape era sacra anche ad Artemide nel suo ruolo di ninfa orgiastica e il piccolo insetto, in quanto simbolo di produttività, era identificato poi con la dea greca Demetra e con le romane Cerere e Opi. Anche dall’altro capo del mondo, secondo la religione indiana, Visnù, Krishna e Indra sono chiamati Madhava (nati dal nettare) e sono spesso raffigurati con un’ape posata su un fiore loto, mentre Karma ha una corda dell’arco fatta di api. Persino una religione monoteista come il cristianesimo adottò l’ape come simbolo: si narrava che San Giovanni Crisostomo (“dalla bocca d'oro”) fosse nato con uno sciame di api che gli volteggiava intorno alla bocca a simboleggiare la dolcezza della sua predicazione.
Porfirio, filosofo del III secolo, racconta che gli antichi chiamavano melìssas le anime avviate alla nascita, ma solo quelle destinate a vivere con giustizia, e a ritornare là da dove provengono dopo aver fatto il volere degli dei. Nell’Ippolito di Euripide, l’eroe offre ad Artemide una corona di fiori che proviene da un prato incontaminato, dove il pastore non osa pascolare il suo gregge e in cui solo l’ape può accedervi, in quanto luogo di grande purezza. Le api erano quindi considerate innanzitutto caste. Virgilio stesso ci dice che esse non si abbandonano al congiungimento, non fiaccano i loro corpi nei piaceri di Venere, né generano con le doglie. Del resto, le donne ateniesi che partecipavano alle feste Tesmoforie assumevano il nome di mélissai: esse si astenevano per tre giorni da ogni contatto sessuale, digiunavano per un giorno e giacevano a terra su giacigli di agnocasto, pianta dal potere anafrodisiaco. Messaggera tra i due amanti, l’ape rappresenta simbolicamente il legame di purezza e di fedeltà che deve stringerli l’uno all’altro: una volta infranto tale legame, è l’ape stessa che può svolgere il ruolo di punire il reo. L’ape è stata considerata un animale contrario al lusso e alla mollezza fino a tempi recenti, per questo nel folclore tedesco il mettersi di fronte a un alveare costituiva una tipica prova di purezza per le giovani spose. Dal codice amoroso si fa presto a passare al codice alimentare, e anche qui il comportamento deve essere irreprensibile: l’ape odia ogni forma di putrido, mai essa si poserà su un pezzo di carne, o là dove sia del sangue o del grasso. Inoltre l’ape tiene costantemente pulito l’alveare, trasportandone fuori gli escrementi, e sia Virgilio che Plinio affermano che l’apicoltore deve allontanare da esso ogni fonte di cattivi odori e costruirlo lontano da latrine, letamai e bagni e, persino nell’avvicinarsi all’alveare, deve curare di essersi astenuto da ogni cibo forte o troppo saporoso. Per molto tempo l’ape ha avuto una importante funzione economica, oltre che simbolica e magica; il miele è il primo dolcificante conosciuto dall’uomo.
Insetto dei fiori, della rugiada e del nettare. Lontana dal putrido ma anche dai profumi troppo forti. Essere né maschile né femminile, né domestica né selvatica, come a dire né dalla parte della cultura né da parte della natura. Insetto lontano, divino, enigmatico e, di certo, eccezionale.
Claudia Pecoraro
Questo post è atrocemente VERO
Dolcissimo vero???
QUESTA E'...... la sua fine!!!!!
Soltanto in Italia, ogni anno, oltre 30 milioni di piccoli pulcini appena nati (maschi), essendo "inutili" per le uova e non adatti per la "carne", vengono ridotti in concime organico per i campi, come unica conseguenza dell'industria delle UOVA. I metodi di uccisione comunemente impiegati sono mediante gassazione Utilizzati sono anche i metodi per soffocamento o annegamento. Qualsiasi tipo di allevamento, sia esso in batteria, biologico o all'aperto, si risolve inevitabilmente con l'uccisione dei pulcini nati maschi prima e di tutte le galline di "fine carriera" dopo.
Il pollo cosi ben confezionato prima era cosi!!!! Una lunga catena di povere creature terrorizzate appese per le zampe in attesa della morte ..........BUON APPETITO
Che cosa pensereste di una persona che cattura una rondine, la chiude in una gabbia così piccola da non permetterle di aprire le ali e le taglia il becco? Un sadico? È proprio quello che fanno gli allevatori di galline ovaiole. L’apertura alare media di una gallina Leghorn è di 66 cm, ma lo spazio disponibile nelle gabbie degli allevamenti è di 15 cm. In queste condizioni diventano pazze e, per evitare che si ammazzino tra loro, gli viene tagliato il becco, senza anestesia. La produzione di uova produce morte e dolore
. Il Patè de fois gras: le povere oche, dopo aver passato l'intera vità ingozzate così:
Fanno poi questa fine - E TUTTO PER LE NOSTRE TARTINE A VOI CAPIRE SE SONO VIVE O NO?
Soltanto in Italia, ogni anno, oltre 30 milioni di piccoli pulcini appena nati (maschi), essendo "inutili" per le uova e non adatti per la "carne", vengono ridotti in concime organico per i campi, come unica conseguenza dell'industria delle UOVA. I metodi di uccisione comunemente impiegati sono mediante gassazione Utilizzati sono anche i metodi per soffocamento o annegamento. Qualsiasi tipo di allevamento, sia esso in batteria, biologico o all'aperto, si risolve inevitabilmente con l'uccisione dei pulcini nati maschi prima e di tutte le galline di "fine carriera" dopo.
Il pollo cosi ben confezionato prima era cosi!!!! Una lunga catena di povere creature terrorizzate appese per le zampe in attesa della morte ..........BUON APPETITO
Che cosa pensereste di una persona che cattura una rondine, la chiude in una gabbia così piccola da non permetterle di aprire le ali e le taglia il becco? Un sadico? È proprio quello che fanno gli allevatori di galline ovaiole. L’apertura alare media di una gallina Leghorn è di 66 cm, ma lo spazio disponibile nelle gabbie degli allevamenti è di 15 cm. In queste condizioni diventano pazze e, per evitare che si ammazzino tra loro, gli viene tagliato il becco, senza anestesia. La produzione di uova produce morte e dolore
. Il Patè de fois gras: le povere oche, dopo aver passato l'intera vità ingozzate così:
Fanno poi questa fine - E TUTTO PER LE NOSTRE TARTINE A VOI CAPIRE SE SONO VIVE O NO?
Una casa nel bosco...
In Finlandia, nelle case estive abbandonate dai loro proprietari a Suomusjärvi, sono subentrati gli animali
fotografie di Kai Fagerström
fotografie di Kai Fagerström
Gli uomini blu : i Tuareg
I leggendari cavalieri Tuareg sono gli ultimi uomini liberi.
Detti "uomini blu" dal caratteristico turbante blu scuro che indossano e dal velo che copre sempre il loro viso, vivono nella desolata distesa del Sahara centrale.
Un tempo predoni feroci oggi vivono di pastorizia praticata dai loro servi.
Sono alti, hanno i capelli rasati tranne una striscia in cui vengono lasciati lunghi e raccolti in una treccia. Gli occhi presentano una piega sul bordo superiore esterno che li protegge dalla luce troppo intensa.
L'ordinamento sociale dei Tuareg si basa sulla distinzione di quattro classi: i nobili, i vassalli, i servi egli operai.
I nobili costituiscono la classe più pura, invece gli operai, specialmente i fabbri, vengono grandemente disprezzati dai Tuareg che li considerano amici del "diavolo". Il re viene eletto dai nobili.
Spesso succede che un uomo possieda più schiavi di quanti gli occorrono e possa mantenere, allora concede loro la libertà. A uno schiavo può essere donata la libertà solo se è giovane e forte abbastanza per provvedere al proprio sostentamento.
Schiavi vecchi e malati non vengono mai liberati e il loro padrone li deve mantenere.
I Tuareg che possiedono terre vivono in villaggi; alcune pozze di acqua torbida costituiscono la possibilità di vita o di morte dell'intera comunità . Le loro case sono rettangolari, con tetto a terrazza, costituite da mattoni e da pietre. Le abitazioni dei nobili sono la tenda o la capanna e la donna è la padrona, che ha gli stessi diritti del marito. Il bambino appartiene sempre al rango e alla posizione della madre. Il padre gode di un'importanza molto minore. La donna non sa però se il marito è bello o brutto, appunto dal velo che porta, lo giudica in base alle sue attitudini. D'importanza massima è, per loro, la sua fama di guerriero .La rapina non è calcolata come delitto ma atto eroico. Il ladrocinio è invece ritenuto infamante e perfino gli schiavi non rubano. Un assassinio si vendica con un assassinio. L'antichissimo diritto tradizionale dei Tuareg, trasmesso di generazione in generazione esige la vendetta del sangue. Circa la metà di tutti i bambini sono orfani di madre. Infatti, più di 2/3 delle donne muoiono dando alla luce i propri figli. Perciò si trovano presso i Tuareg relativamente poche donne che abbiano più di cinquanta anni. Se un bambino perde la madre, viene accolto subito da un'altra famiglia ed allevato con lo stesso amore che si ha per un figlio proprio. L'unico mezzo di educazione è una parola di rimprovero o di monito. Battere un bambino è considerato crudele. I Tuareg sono gente molto sana e, se per caso si ammalano, si tratta, per lo più, d'infreddature che si possono curare benissimo con l'aspirina. In autunno una carovana di mille e più cammelli dalla catena montuosa dell'Hoggar si dirige a sud trasportando una merce che si trova in abbondanza nel Sahara: il sale. Il sale è molto importante per l'economia dei tuareg, con esso barattano tè, zucchero, stoffe, saggina, stuoie, sorgo. Quando tornano a casa gli uomini possono raccontare di aver visto molte cose nuove e animali che nell'Hoggar non esistono come: leoni, giraffe, zebre e struzzi. La sera, seduti intorno ai fuochi nascono mille racconti per grandi e piccoli.
I Tuareg che possiedono terre vivono in villaggi; alcune pozze di acqua torbida costituiscono la possibilità di vita o di morte dell'intera comunità . Le loro case sono rettangolari, con tetto a terrazza, costituite da mattoni e da pietre. Le abitazioni dei nobili sono la tenda o la capanna e la donna è la padrona, che ha gli stessi diritti del marito. Il bambino appartiene sempre al rango e alla posizione della madre. Il padre gode di un'importanza molto minore. La donna non sa però se il marito è bello o brutto, appunto dal velo che porta, lo giudica in base alle sue attitudini. D'importanza massima è, per loro, la sua fama di guerriero .La rapina non è calcolata come delitto ma atto eroico. Il ladrocinio è invece ritenuto infamante e perfino gli schiavi non rubano. Un assassinio si vendica con un assassinio. L'antichissimo diritto tradizionale dei Tuareg, trasmesso di generazione in generazione esige la vendetta del sangue. Circa la metà di tutti i bambini sono orfani di madre. Infatti, più di 2/3 delle donne muoiono dando alla luce i propri figli. Perciò si trovano presso i Tuareg relativamente poche donne che abbiano più di cinquanta anni. Se un bambino perde la madre, viene accolto subito da un'altra famiglia ed allevato con lo stesso amore che si ha per un figlio proprio. L'unico mezzo di educazione è una parola di rimprovero o di monito. Battere un bambino è considerato crudele. I Tuareg sono gente molto sana e, se per caso si ammalano, si tratta, per lo più, d'infreddature che si possono curare benissimo con l'aspirina. In autunno una carovana di mille e più cammelli dalla catena montuosa dell'Hoggar si dirige a sud trasportando una merce che si trova in abbondanza nel Sahara: il sale. Il sale è molto importante per l'economia dei tuareg, con esso barattano tè, zucchero, stoffe, saggina, stuoie, sorgo. Quando tornano a casa gli uomini possono raccontare di aver visto molte cose nuove e animali che nell'Hoggar non esistono come: leoni, giraffe, zebre e struzzi. La sera, seduti intorno ai fuochi nascono mille racconti per grandi e piccoli.
C'E' chi può perchè glielo permettiamo
Ci vogliamo aggiungere NOMISMA!!!
E veniamo al clou,:
L' aquila di Scandiano!!
La NOMISMA è una società di consulenza che l'aquila fonda nel 1981, sotto l’ala protettrice di Nerio Nesi, assieme a BNL: capitale iniziale 500 milioni di vecchie lire di cui ben cinque versati da prodi (gli altri 495 ce li mette la Banca). In quegli anni Nesi è Presidente della BNL mentre Prodi ne è il consulente economico.
Ovvio che la Banca abbia scelto persone conosciute e di fiducia per realizzare questa operazione.
Tuttavia, probabilmente per non dare il destro alle malelingue, già il giorno dopo Prodi cede le sue quote alla BNL e resta come Presidente del Comitato Scientifico.
Di cosa si occupa precisamente la NOMISMA? Della “potentia coeundi” dei somari somali e delle velocità medie di cammelli e ovini nel deserto (incarichi del Ministero degli Esteri, Dipartimento per la Cooperazione).
NO, NON STO AFFATTO SCHERZANDO - E' COSI' Nel 1989, Prodi lascia la Presidenza dell’IRI, disgustato giustamente da questo clima di feroce antipatia, ma resta saldamente al timone di NOMISMA. E’ un momento difficile, la società entra in crisi e i clienti nicchiano. Ma, dopo tante difficoltà, nella gestione delle quali Prodi dimostra tenacia e incrollabile volontà, arrivano le commesse del TAV (Treni Alta Velocità) che incaricano NOMISMA di stabilire che senso abbia realizzare il progetto.
E qui, passando dal tragico al comico.
L'aquila di Scandiano dà il meglio di sé. Cinquemilacinquecento pagine di rapporto (39 volumi)
Costo del lavoro di NOMISMA nemmeno esagerato, appena 9,7 miliardi di lire. Tra i principali risultati prodotti dallo studio, occorre ricordare i seguenti passi:
FATEVI DUE AMARE RISATE
1. “Un treno che viaggia a 300 km all’ora impiega metà tempo di uno che procede a 150 km orari a percorrere lo stesso tragitto”;
2. “Più alta è la velocità, maggiore è il rischio di incidenti”;
3. “Il beneficio dell’alta velocità è la velocità”;
4. [a proposito della Stazione Termini]: “La zona era, un tempo, linda e simpatica, ma poi si è degradata”;
5. “La velocità consente di risparmiare tempo”;
6. “Quattro corsie, o binari, consentono più scorrevolezza di due o una”
7. “Il posizionamento frontale dei seggiolini facilita la socializzazione”.
8."I treni corrono su rotaie"
E veniamo al clou,:
L' aquila di Scandiano!!
La NOMISMA è una società di consulenza che l'aquila fonda nel 1981, sotto l’ala protettrice di Nerio Nesi, assieme a BNL: capitale iniziale 500 milioni di vecchie lire di cui ben cinque versati da prodi (gli altri 495 ce li mette la Banca). In quegli anni Nesi è Presidente della BNL mentre Prodi ne è il consulente economico.
Ovvio che la Banca abbia scelto persone conosciute e di fiducia per realizzare questa operazione.
Tuttavia, probabilmente per non dare il destro alle malelingue, già il giorno dopo Prodi cede le sue quote alla BNL e resta come Presidente del Comitato Scientifico.
Di cosa si occupa precisamente la NOMISMA? Della “potentia coeundi” dei somari somali e delle velocità medie di cammelli e ovini nel deserto (incarichi del Ministero degli Esteri, Dipartimento per la Cooperazione).
NO, NON STO AFFATTO SCHERZANDO - E' COSI' Nel 1989, Prodi lascia la Presidenza dell’IRI, disgustato giustamente da questo clima di feroce antipatia, ma resta saldamente al timone di NOMISMA. E’ un momento difficile, la società entra in crisi e i clienti nicchiano. Ma, dopo tante difficoltà, nella gestione delle quali Prodi dimostra tenacia e incrollabile volontà, arrivano le commesse del TAV (Treni Alta Velocità) che incaricano NOMISMA di stabilire che senso abbia realizzare il progetto.
E qui, passando dal tragico al comico.
L'aquila di Scandiano dà il meglio di sé. Cinquemilacinquecento pagine di rapporto (39 volumi)
Costo del lavoro di NOMISMA nemmeno esagerato, appena 9,7 miliardi di lire. Tra i principali risultati prodotti dallo studio, occorre ricordare i seguenti passi:
FATEVI DUE AMARE RISATE
1. “Un treno che viaggia a 300 km all’ora impiega metà tempo di uno che procede a 150 km orari a percorrere lo stesso tragitto”;
2. “Più alta è la velocità, maggiore è il rischio di incidenti”;
3. “Il beneficio dell’alta velocità è la velocità”;
4. [a proposito della Stazione Termini]: “La zona era, un tempo, linda e simpatica, ma poi si è degradata”;
5. “La velocità consente di risparmiare tempo”;
6. “Quattro corsie, o binari, consentono più scorrevolezza di due o una”
7. “Il posizionamento frontale dei seggiolini facilita la socializzazione”.
8."I treni corrono su rotaie"
Proverbio cinese
Colui che sa di sapere, ascoltalo.
Colui che sa di non sapere, educalo.
Colui che non sa di sapere, sveglialo.
Colui che non sa di non sapere, sfuggilo.
piccola selezione di posti incredibili ma reali
Formazioni di sabbia spettacolari che si trovano in Arizona
Sono le più grandi Hot Springs d'America, la terza più grande del mondo, dopo il lago di Padella in Nuova Zelanda e Boiling Lake in Dominica.
Un ponte di pietra che si trova a Newfoundland in Canada.
Noto anche come l'Occhio del Sahara e Guelb er Richat, è conformazione circolare nel deserto del Sahara vicino Ouadane
Un fenomeno geologico che si può vedere in diverse zone in Cina. Le immagini riguardano lo Zhangye Danxia Landform, nella provincia di Gansu
Una delle più note cascate dell'Islanda sud-occidentale, lungo il percorso del fiume Hvítá nel Haukadalur. La portata media è di circa 140 m³/s in estate e 80 m³/s in inverno.
Campi di Tulipano, Lisse, Paesi Bassi Uno dei giardini primaverili più estesi al mondo, un parco storico di 32 ettari maestosamente ricco di giacinti, tulipani, narcisi e altri fiori a bulbo.
Sono le più grandi Hot Springs d'America, la terza più grande del mondo, dopo il lago di Padella in Nuova Zelanda e Boiling Lake in Dominica.
Un ponte di pietra che si trova a Newfoundland in Canada.
Noto anche come l'Occhio del Sahara e Guelb er Richat, è conformazione circolare nel deserto del Sahara vicino Ouadane
Un fenomeno geologico che si può vedere in diverse zone in Cina. Le immagini riguardano lo Zhangye Danxia Landform, nella provincia di Gansu
Una delle più note cascate dell'Islanda sud-occidentale, lungo il percorso del fiume Hvítá nel Haukadalur. La portata media è di circa 140 m³/s in estate e 80 m³/s in inverno.
Campi di Tulipano, Lisse, Paesi Bassi Uno dei giardini primaverili più estesi al mondo, un parco storico di 32 ettari maestosamente ricco di giacinti, tulipani, narcisi e altri fiori a bulbo.
Il castello di Amboise
Tra i castelli della Loira, quello di Amboise è storicamente uno dei più importanti. Vi nacque Carlo VIII di Francia che fece del castello una sontuosa residenza reale, per molti versi la reggia vera e propria del Paese. Qui il sovrano morì nel 1498. con lui si estinse la linea diretta dei sovrani di Valois.
Per lungo tempo il castello di Amboise mantenne il rango di prediletta residenza reale. A far cessare questo stato di cose fu una congiura ordita nel 1560 contro il sovrano allora regnante: gli ugonotti, come si chiamavano in Francia i protestanti, avevano tentato di rapire re Francesco II, all’epoca appena sedicenne. Spinto dalla madre Caterina de’Medici, il giovanissimo monarca mise in atto una vendetta spietata: non meno di 1200 ugonotti, rastrellati dalle truppe reali, furono impiccati ai merli della Tour des Minimes. In seguito Francesco e sua moglie, la regina scozzese Maria Stuarda, lasciarono per sempre Amboise, con i suoi cupi ricordi.
Il castello, inizialmente feudo della famiglia d’Amboise, era di antica origine. Se ne hanno notizie già nel secolo XI. La proprietà venne confiscata nel 1434 da re Carlo VII in seguito alla partecipazione di Luigi d’Amboise a un complotto, peraltro fallito. L’edificio passò così tra i domini reali. Il successore di Carlo, il figlio Luigi XI, amava particolarmente il castello e ne dispose l’ampliamento. Ma fu solo con il nipote del sovrano, Carlo VIII, che l’antica costruzione feudale, ristrutturata in modo sontuoso, divenne la residenza privilegiata dei sovrani francesi.
L’edificio venne poi ancora manipolato nel corso dei secoli. Alcune incisioni antiche mostrano un complesso molto più grande dell’attuale. Dell’impianto originale resta oggi l’appartamento del sovrano, al cui angolo destro venne annessa, da parte dei successori di Carlo VIII, una nuova ala. Nel XVII secolo fu trasformato in prigione di Stato e solo nel 1872 fu restituito alla casa d’Orleans, che ne iniziò i restauri.
Nel 1539 l’imperatore Carlo V si recò in visita ufficiale ad Amboise per rendere visita al re di Francia Francesco I. i due erano stati antagonisti nella corsa al trono imperiale e Francesco I, battuto nella gara, volle almeno riservare all’ex rivale un’accoglienza davvero solenne: che fosse tale da “incenerirlo”.
La Tour Hurtault venne ricoperta di arazzi e l’intera area del castello illuminata con fiaccole. Ma l’imprevisto era in agguato. Quando l’imperatore cercò di entrare nella torre, un portafiaccole inciampò, e in una manciata di secondi intero edificio andò a fuoco.l’incendio fu spento, ma il fumo quasi soffocò l’illustre visitatore.
Non sono rare, nei castelli tardo medievali e rinascimentali destinati a sovrani e feudatari notevolmente importanti, le rampe elicoidali da risalire a cavallo fino agli appartamenti signorili senza scendere di sella. Le prime realizzazioni furono italiane, ma ben presto si diffusero in tutta Europa. Erano, non solo delle comodità, ma soprattutto dei segni di rango: la visibile testimonianza dell’importanza del loro costruttore. Amboise ne vanta una eccellente, di insolita ampiezza, nel colossale torrione detto Tour des Minimes: uno vero “ascensore” per sovrani.
LA TOMBA DI LEONARDO DA VINCI – Nel 1516 Francesco I ospitò ad Amboise Leonardo da Vinci, considerato il maggior genio del suo tempo. Il poliedrico artista, inventore e scienziato, trascorse gli ultimi tre anni della sua vita nella residenza di Cloux, oggi Clos-Lucé, ai margini della città. A quell’epoca Leonardo non riusciva più a disegnare correttamente, avendo il braccio semi paralizzato, ma la mente era ancora lucida, e la sua conversazione sempre avvincente. Francesco I e Leonardo si incontravano spesso. Il re era affascinato soprattutto dagli studi anatomici dell’artista, che non solo aveva misurato e disegnato con grande esattezza le proporzioni esterne del corpo umano, ma aveva anche sezionato cadaveri (cosa assai insolita per quel tempo) e annotato precisamente la forma delle ossa, dei muscoli, dei nervi, delle vene e degli organi interni. Leonardo si spense il 2 maggio 1519 tra le braccia del sovrano.
Le sue spoglie vennero inumate nella cappella di Amboise, poi abbattuta. Il suo teschio (o quello che fu ritenuto tale) fu rinvenuto con altre ossa durante alcuni scavi effettuati nel 1869, assieme a una lapide con tracce della scritta “LEON… …INC…”. cinque anni più tardi i resti del grande artista trovarono nuova e definitiva sepoltura nel castello, nella Chapelle de Saint Hubert, la cappella di Sant’Uberto.
Per lungo tempo il castello di Amboise mantenne il rango di prediletta residenza reale. A far cessare questo stato di cose fu una congiura ordita nel 1560 contro il sovrano allora regnante: gli ugonotti, come si chiamavano in Francia i protestanti, avevano tentato di rapire re Francesco II, all’epoca appena sedicenne. Spinto dalla madre Caterina de’Medici, il giovanissimo monarca mise in atto una vendetta spietata: non meno di 1200 ugonotti, rastrellati dalle truppe reali, furono impiccati ai merli della Tour des Minimes. In seguito Francesco e sua moglie, la regina scozzese Maria Stuarda, lasciarono per sempre Amboise, con i suoi cupi ricordi.
Il castello, inizialmente feudo della famiglia d’Amboise, era di antica origine. Se ne hanno notizie già nel secolo XI. La proprietà venne confiscata nel 1434 da re Carlo VII in seguito alla partecipazione di Luigi d’Amboise a un complotto, peraltro fallito. L’edificio passò così tra i domini reali. Il successore di Carlo, il figlio Luigi XI, amava particolarmente il castello e ne dispose l’ampliamento. Ma fu solo con il nipote del sovrano, Carlo VIII, che l’antica costruzione feudale, ristrutturata in modo sontuoso, divenne la residenza privilegiata dei sovrani francesi.
L’edificio venne poi ancora manipolato nel corso dei secoli. Alcune incisioni antiche mostrano un complesso molto più grande dell’attuale. Dell’impianto originale resta oggi l’appartamento del sovrano, al cui angolo destro venne annessa, da parte dei successori di Carlo VIII, una nuova ala. Nel XVII secolo fu trasformato in prigione di Stato e solo nel 1872 fu restituito alla casa d’Orleans, che ne iniziò i restauri.
Nel 1539 l’imperatore Carlo V si recò in visita ufficiale ad Amboise per rendere visita al re di Francia Francesco I. i due erano stati antagonisti nella corsa al trono imperiale e Francesco I, battuto nella gara, volle almeno riservare all’ex rivale un’accoglienza davvero solenne: che fosse tale da “incenerirlo”.
La Tour Hurtault venne ricoperta di arazzi e l’intera area del castello illuminata con fiaccole. Ma l’imprevisto era in agguato. Quando l’imperatore cercò di entrare nella torre, un portafiaccole inciampò, e in una manciata di secondi intero edificio andò a fuoco.l’incendio fu spento, ma il fumo quasi soffocò l’illustre visitatore.
Non sono rare, nei castelli tardo medievali e rinascimentali destinati a sovrani e feudatari notevolmente importanti, le rampe elicoidali da risalire a cavallo fino agli appartamenti signorili senza scendere di sella. Le prime realizzazioni furono italiane, ma ben presto si diffusero in tutta Europa. Erano, non solo delle comodità, ma soprattutto dei segni di rango: la visibile testimonianza dell’importanza del loro costruttore. Amboise ne vanta una eccellente, di insolita ampiezza, nel colossale torrione detto Tour des Minimes: uno vero “ascensore” per sovrani.
LA TOMBA DI LEONARDO DA VINCI – Nel 1516 Francesco I ospitò ad Amboise Leonardo da Vinci, considerato il maggior genio del suo tempo. Il poliedrico artista, inventore e scienziato, trascorse gli ultimi tre anni della sua vita nella residenza di Cloux, oggi Clos-Lucé, ai margini della città. A quell’epoca Leonardo non riusciva più a disegnare correttamente, avendo il braccio semi paralizzato, ma la mente era ancora lucida, e la sua conversazione sempre avvincente. Francesco I e Leonardo si incontravano spesso. Il re era affascinato soprattutto dagli studi anatomici dell’artista, che non solo aveva misurato e disegnato con grande esattezza le proporzioni esterne del corpo umano, ma aveva anche sezionato cadaveri (cosa assai insolita per quel tempo) e annotato precisamente la forma delle ossa, dei muscoli, dei nervi, delle vene e degli organi interni. Leonardo si spense il 2 maggio 1519 tra le braccia del sovrano.
Le sue spoglie vennero inumate nella cappella di Amboise, poi abbattuta. Il suo teschio (o quello che fu ritenuto tale) fu rinvenuto con altre ossa durante alcuni scavi effettuati nel 1869, assieme a una lapide con tracce della scritta “LEON… …INC…”. cinque anni più tardi i resti del grande artista trovarono nuova e definitiva sepoltura nel castello, nella Chapelle de Saint Hubert, la cappella di Sant’Uberto.
Ci vuole fantasia anche per costruire case
Le case più strane del mondo
La casa a testa in giù Irek Glowacki e Marek Rozhanski, due architetti austriaci hanno costruito come attrazione turistica una casa in cui tutto è sottosopra, a partire dal tetto.
Casa do Penedo Per chi crede che i Flinstones siano solo fantasia, ecco la prova del nove! Si tratta della Casa do Penedo costruita nel 1974 sulle Nas Montanhas de Fafe, in Portogallo.
La casa Boeing 727 si trova a Benoit nel Mississippi. La casa presenta una vasca idromassaggio nella cabina di guida!
In Cina, ad An Huo si trova questo enorme edificio a forma di pianoforte accompagnato da un bel violino trasparente. Perchè? Nessuno lo ha mai capito
Costruita dall'architetto Terry Brown, si trova nel quartiere di Hyde Park di Cincinnati, Ohio.
E' la casa mollusco che si trova in Messico. Si tratta di una casa conchiglia disegnata dallo studio Senosiain Arquitecto.
La casa a testa in giù Irek Glowacki e Marek Rozhanski, due architetti austriaci hanno costruito come attrazione turistica una casa in cui tutto è sottosopra, a partire dal tetto.
Casa do Penedo Per chi crede che i Flinstones siano solo fantasia, ecco la prova del nove! Si tratta della Casa do Penedo costruita nel 1974 sulle Nas Montanhas de Fafe, in Portogallo.
La casa Boeing 727 si trova a Benoit nel Mississippi. La casa presenta una vasca idromassaggio nella cabina di guida!
In Cina, ad An Huo si trova questo enorme edificio a forma di pianoforte accompagnato da un bel violino trasparente. Perchè? Nessuno lo ha mai capito
Costruita dall'architetto Terry Brown, si trova nel quartiere di Hyde Park di Cincinnati, Ohio.
E' la casa mollusco che si trova in Messico. Si tratta di una casa conchiglia disegnata dallo studio Senosiain Arquitecto.
I gioielli delle antiche romane
Le leggi vigenti nel periodo repubblicano vietavano qualsiasi forma di lusso riferito ai diversi aspetti della vita come l'arredamento della propria casa, l'abbigliamento, l'uso dei gioielli, ecc. Praticamente si viveva in austerità considerando il lusso disdicevole e inutile.
Nel 193 a.C. le matrone romane si coalizzarono in una forma di ribellione contro queste leggi proibizioniste. Giulio Cesare promulgò una legge che regolamentava l'uso delle perle. Addirittura Tiberio in epoca imperiale vietò l'uso di vasellame di oro massiccio. Ma lentamente queste disposizioni vennero disattese ed in epoca imperiale dimenticate. Da ricordare un aneddoto in epoca repubblicana, quando degli ambasciatori provenienti da territori lontani si accorsero che il servizio di bicchieri e brocche in argento sulla mensa di un personaggio politico dei quale erano ospiti, era inequivocabilmente lo stesso della mensa di un altro personaggio presso il quale erano stati ospiti il giorno precedente.
Nell'epoca imperiale, però gradualmente si affermò la tendenza contraria al fine di mostrare Roma agli ospiti stranieri superiore sotto tutti gli aspetti a qualsiasi altra città. Lo stesso Augusto raccomandò la copertura in travertino o marmo di qualsiasi costruzione importante, sia essa tempio, basilica o quant'altro. Automaticamente lo sfarzo, per la grande ricchezza che in quel periodo circolava nella città, si riversò anche all'interno delle case, specialmente di quelle dei più ricchi. In un contesto simile bisogna immaginare quanti e quali sviluppi si sono ottenuti nel campo della gioielleria. Le persone addette alla lavorazione dell'oro e dell'argento normalmente identificati in servi o liberti, cominciarono la loro attività prima degli ultimi anni della repubblica su disegni greci e tecniche etrusche. Lentamente questi laboratori verranno ad essere guidati da operatori sempre più bravi, molto probabilmente venuti dall'oriente, che osavano tecniche diverse e materiali provenienti da quelle località I ricchi romani in epoca imperiale spendevano delle somme immense per ostentare il loro stato sociale nella propria casa, sia essa di città, campagna o mare, con un numero sempre alto di aiutanti e servi. Qualcuno poteva permettersi anche un piccolo esercito privato.
Cerchiamo di immaginare il comportamento di una donna, semmai molto bella e ambiziosa, che sfruttava una certa situazione fatta di lusinghe, compiacimenti e regali, oppure quello di una donna che per discendenza o matrimonio acquisiva il potere. Una donna simile poteva in un pomeriggio qualsiasi dimostrare la propria forza facendo combattere e fare uccidere qualche perdente gladiatore, nel piccolo circo della propria residenza (la vita umana aveva un prezzo come qualsiasi altra cosa), per poi rilassarsi con amici e ammiratori durante la riunione serale in un lussuoso triclinio: donna molto bella, riverita, ossequiata e temuta per il suo potere, che non poteva assolutamente presentarsi in pubblico con un piccolo anello al dito e un paio di orecchini insignificanti. La terza moglie di Caligola (Lollia Paolina), si è presentata ad una manifestazione a dire di Plinio il Vecchio, che in quel momento faceva del giornalismo mondano, con svariati gioielli che dovevano raggiungere la bella somma di 40.000.000 di sesterzi . Un povero diavolo per un lavoro umile, per di più saltuario, riusciva a guadagnare 4 o 5 sesterzi al giorno somma che serviva appena per l'acquisto di un pane e un companatico. Quando questo individuo non trovava lavoro o era ammalato, per evitare la fame mendicava o rubava. A Roma alcuni laboratori di orefici erano disseminati lungo la via Sacra dove vi lavoravano i CAELATORES (cesellatori), gli INAURATORES (doratori), gli ANULARII (quelli che realizzavano gli anelli), i BRACTEARII (quelli che ottenevano delle foglie sottilissime di oro con la battitura dello stesso, tra due strati di cuoio). Erano anche comuni i lavoratori di MARGARITARII dove si lavoravano solo perle. Infatti all'oro e all'argento si abbina l'uso delle perle pescate nel Mar Rosso in Egitto o nell'Oceano Indiano e anche quello di pietre preziose in particolar modo rubini, smeraldi, diamanti, topazi, zaffiri, acqua marine, pasta di vetro e ambra (resine fossili di antiche conifere che qualche volta includono insetti ben conservati, provenienti dal Baltico e dal nord della Germania).
I gioielli più usati nel mondo romano erano gli anelli, i bracciali, gli orecchini, le spille e le collane. Dopo che il culto di Iside (dea Egiziana della Fertilità), si propagò anche nel mondo romano, venne di moda l'effige del serpente, animale sacro a questa dea, che appariva spesso in bracciali realizzati in oro con diverse spire squamate e occhi di pasta vitrea o pietre preziose luccicanti. Questi bracciali potevano essere portati anche all'avambraccio (pensate alle riproduzioni pittoriche della famosa Cleopatra). Il serpente era spessoriprodotto anche in forma di anello. La collana era ovviamente il monile più prestigioso e appariscente perché in primo piano sul petto della persona che la portava. La maglia poteva es~ sere realizzata da anelli più o meno grandi infilati uno dentro l'altro oppure da matassine di fili intrecciate tra loro, o dalla piegatura di quattro nastri di metallo tra loro. La collana era corredata ad intervalli regolari da costoni contenenti una pietra preziosa, oppure, monete di oro o di argento e terminava nella parte centrale con un o TettQ-gu-grosso e pesante che le dava un senso di equilibrio e stabilità. Queste collane potevano raggiungere una lunghezza mediamente di 40 cm., con un peso adeguato. Negli scavi di Pompei è stata rinvenuta una collana lunga due metri e mezzo, con un peso vicino al chilo, avente un intreccio particolare sul petto, sotto i seni, sulle spalle e anche sotto le ascelle. Veniva indossata come un capo di vestiario. Gli orecchini erano realizzati con pendagli di qualsiasi forma e foggia: delfini, anfore, cuori, amorini, soli, mezze lune, rosette ecc.. Famosi sono i CROTALIA costituiti da più pendenti che terminavano con una perla. Con il movimento della persona queste perle producevano dei rumori urtandosi tra loro. Il Crotalo è il sonaglio situato all'estremità della coda di alcuni serpenti velenosi del Sud America formato da anelli cornei che producono un suono caratteristico. Altro oggetto prezioso usato dalle donne era una rete ovviamente d'oro a maglia intrecciata che veniva posata sulla testa per tener fermi i capelli. Si devono anche menzionare spille, spilloni, fermagli, fibbie e per gli uomini anelli con sigillo, pettorali per parate, foderi per le armi (pugnali, spade, stiletti), parti di armature (come corazze, ed elmi). E' bene ricordare due tecniche di lavorazione dell'oro. La filigrana e la granulazione. L'oro è un metallo che può essere ridotto in fili sottilissimi. Un solo grammo d'oro può svilupparsi con le tecniche di oggi in un filo sottile lungo due chilometri e mezzo. Questi fili venivano saldati su lamine dello stesso metallo nel disegno artistico voluto dall'orefice. L'altra tecnica è quella della granulazione. Si trattava di ottenere delle perfette piccole sfere di oro facendo scaldare alla temperatura dovuta piccole scagliette dello stesso metallo miste a polvere di carbone. Terminata l'operazione si lavava il tutto con acqua che raffreddava l'oro e portava via il carbone. Queste piccole sferette venivano poi saldate ala lamina d'oro di supporto con una lega a fusione più bassa tipo oro e argento. Di questa tecnica molto antica ci giungono testimonianze dalla Mesopotania e gli Etruschi ne fecero largo uso. Al Museo Etrusco di Firenze, c'è una raccolta di gioielli considerevole e unica al mondo. Gli Etruschi al contrario dei Romani avevano una concezione particolare, religiosa, sulla vita oltre la morte. I Romani raramente portavano nella propria tomba testimonianze simili. Solo in presenza di giovani morti in tenera età, si sentiva questo trasporto, per evitare gelosamente che altri usassero quei piccoli gioielli o giocattoli tipo bambole e i gioielli delle bambole che erano stati i primi oggetti di divertimento dell'infante deceduto. Nel mondo romano occidentale, salvo qualche raro ritrovamento di qualche piccolo tesoro nascosto alle incursioni barbariche, si possono avere testimonianze da affreschi, mosaici, bassorilievi, statue per cui si può con buona precisione stabilire il tipo, la fattezza e la tecnica di lavorazione di diversi gioielli. Una eccezione a quello che abbiamo detto è stata l'eruzione del Vesuvio nell'agosto del 79 d.C. che ha sepolto di cenere e lapilli Pompei, Ercolano e Stabia, i conseguenti ritrovamenti in scavi non lontani di un'innumerevole oggettistica ovviamente comprensiva di svariati gioielli. L'oro veniva estratto in Egitto (per parecchio tempo fonte di approvvigionamento) in Spagna, in Dalmazia, nel Norico in Britannia, in Piemonte e nel Veneto. Le miniere d'oro della Grecia erano state sfruttate in precedenza per cui abbandonate. Negli anni dell'impero questo prezioso metallo veniva importato anche dall'Arabia, dall'India, e dalla Siberia. Seneca disprezzava apertamente chi indossava anelli in ogni dito delle mani; Marziale, uno scrittore divertente e pungente spagnolo, diceva di Carino che ostentava giorno e notte anelli su tutte le dita delle mani perché non aveva una cassaforte per custodirli.
Roberto Zoffoli
Nell'epoca imperiale, però gradualmente si affermò la tendenza contraria al fine di mostrare Roma agli ospiti stranieri superiore sotto tutti gli aspetti a qualsiasi altra città. Lo stesso Augusto raccomandò la copertura in travertino o marmo di qualsiasi costruzione importante, sia essa tempio, basilica o quant'altro. Automaticamente lo sfarzo, per la grande ricchezza che in quel periodo circolava nella città, si riversò anche all'interno delle case, specialmente di quelle dei più ricchi. In un contesto simile bisogna immaginare quanti e quali sviluppi si sono ottenuti nel campo della gioielleria. Le persone addette alla lavorazione dell'oro e dell'argento normalmente identificati in servi o liberti, cominciarono la loro attività prima degli ultimi anni della repubblica su disegni greci e tecniche etrusche. Lentamente questi laboratori verranno ad essere guidati da operatori sempre più bravi, molto probabilmente venuti dall'oriente, che osavano tecniche diverse e materiali provenienti da quelle località I ricchi romani in epoca imperiale spendevano delle somme immense per ostentare il loro stato sociale nella propria casa, sia essa di città, campagna o mare, con un numero sempre alto di aiutanti e servi. Qualcuno poteva permettersi anche un piccolo esercito privato.
Cerchiamo di immaginare il comportamento di una donna, semmai molto bella e ambiziosa, che sfruttava una certa situazione fatta di lusinghe, compiacimenti e regali, oppure quello di una donna che per discendenza o matrimonio acquisiva il potere. Una donna simile poteva in un pomeriggio qualsiasi dimostrare la propria forza facendo combattere e fare uccidere qualche perdente gladiatore, nel piccolo circo della propria residenza (la vita umana aveva un prezzo come qualsiasi altra cosa), per poi rilassarsi con amici e ammiratori durante la riunione serale in un lussuoso triclinio: donna molto bella, riverita, ossequiata e temuta per il suo potere, che non poteva assolutamente presentarsi in pubblico con un piccolo anello al dito e un paio di orecchini insignificanti. La terza moglie di Caligola (Lollia Paolina), si è presentata ad una manifestazione a dire di Plinio il Vecchio, che in quel momento faceva del giornalismo mondano, con svariati gioielli che dovevano raggiungere la bella somma di 40.000.000 di sesterzi . Un povero diavolo per un lavoro umile, per di più saltuario, riusciva a guadagnare 4 o 5 sesterzi al giorno somma che serviva appena per l'acquisto di un pane e un companatico. Quando questo individuo non trovava lavoro o era ammalato, per evitare la fame mendicava o rubava. A Roma alcuni laboratori di orefici erano disseminati lungo la via Sacra dove vi lavoravano i CAELATORES (cesellatori), gli INAURATORES (doratori), gli ANULARII (quelli che realizzavano gli anelli), i BRACTEARII (quelli che ottenevano delle foglie sottilissime di oro con la battitura dello stesso, tra due strati di cuoio). Erano anche comuni i lavoratori di MARGARITARII dove si lavoravano solo perle. Infatti all'oro e all'argento si abbina l'uso delle perle pescate nel Mar Rosso in Egitto o nell'Oceano Indiano e anche quello di pietre preziose in particolar modo rubini, smeraldi, diamanti, topazi, zaffiri, acqua marine, pasta di vetro e ambra (resine fossili di antiche conifere che qualche volta includono insetti ben conservati, provenienti dal Baltico e dal nord della Germania).
I gioielli più usati nel mondo romano erano gli anelli, i bracciali, gli orecchini, le spille e le collane. Dopo che il culto di Iside (dea Egiziana della Fertilità), si propagò anche nel mondo romano, venne di moda l'effige del serpente, animale sacro a questa dea, che appariva spesso in bracciali realizzati in oro con diverse spire squamate e occhi di pasta vitrea o pietre preziose luccicanti. Questi bracciali potevano essere portati anche all'avambraccio (pensate alle riproduzioni pittoriche della famosa Cleopatra). Il serpente era spessoriprodotto anche in forma di anello. La collana era ovviamente il monile più prestigioso e appariscente perché in primo piano sul petto della persona che la portava. La maglia poteva es~ sere realizzata da anelli più o meno grandi infilati uno dentro l'altro oppure da matassine di fili intrecciate tra loro, o dalla piegatura di quattro nastri di metallo tra loro. La collana era corredata ad intervalli regolari da costoni contenenti una pietra preziosa, oppure, monete di oro o di argento e terminava nella parte centrale con un o TettQ-gu-grosso e pesante che le dava un senso di equilibrio e stabilità. Queste collane potevano raggiungere una lunghezza mediamente di 40 cm., con un peso adeguato. Negli scavi di Pompei è stata rinvenuta una collana lunga due metri e mezzo, con un peso vicino al chilo, avente un intreccio particolare sul petto, sotto i seni, sulle spalle e anche sotto le ascelle. Veniva indossata come un capo di vestiario. Gli orecchini erano realizzati con pendagli di qualsiasi forma e foggia: delfini, anfore, cuori, amorini, soli, mezze lune, rosette ecc.. Famosi sono i CROTALIA costituiti da più pendenti che terminavano con una perla. Con il movimento della persona queste perle producevano dei rumori urtandosi tra loro. Il Crotalo è il sonaglio situato all'estremità della coda di alcuni serpenti velenosi del Sud America formato da anelli cornei che producono un suono caratteristico. Altro oggetto prezioso usato dalle donne era una rete ovviamente d'oro a maglia intrecciata che veniva posata sulla testa per tener fermi i capelli. Si devono anche menzionare spille, spilloni, fermagli, fibbie e per gli uomini anelli con sigillo, pettorali per parate, foderi per le armi (pugnali, spade, stiletti), parti di armature (come corazze, ed elmi). E' bene ricordare due tecniche di lavorazione dell'oro. La filigrana e la granulazione. L'oro è un metallo che può essere ridotto in fili sottilissimi. Un solo grammo d'oro può svilupparsi con le tecniche di oggi in un filo sottile lungo due chilometri e mezzo. Questi fili venivano saldati su lamine dello stesso metallo nel disegno artistico voluto dall'orefice. L'altra tecnica è quella della granulazione. Si trattava di ottenere delle perfette piccole sfere di oro facendo scaldare alla temperatura dovuta piccole scagliette dello stesso metallo miste a polvere di carbone. Terminata l'operazione si lavava il tutto con acqua che raffreddava l'oro e portava via il carbone. Queste piccole sferette venivano poi saldate ala lamina d'oro di supporto con una lega a fusione più bassa tipo oro e argento. Di questa tecnica molto antica ci giungono testimonianze dalla Mesopotania e gli Etruschi ne fecero largo uso. Al Museo Etrusco di Firenze, c'è una raccolta di gioielli considerevole e unica al mondo. Gli Etruschi al contrario dei Romani avevano una concezione particolare, religiosa, sulla vita oltre la morte. I Romani raramente portavano nella propria tomba testimonianze simili. Solo in presenza di giovani morti in tenera età, si sentiva questo trasporto, per evitare gelosamente che altri usassero quei piccoli gioielli o giocattoli tipo bambole e i gioielli delle bambole che erano stati i primi oggetti di divertimento dell'infante deceduto. Nel mondo romano occidentale, salvo qualche raro ritrovamento di qualche piccolo tesoro nascosto alle incursioni barbariche, si possono avere testimonianze da affreschi, mosaici, bassorilievi, statue per cui si può con buona precisione stabilire il tipo, la fattezza e la tecnica di lavorazione di diversi gioielli. Una eccezione a quello che abbiamo detto è stata l'eruzione del Vesuvio nell'agosto del 79 d.C. che ha sepolto di cenere e lapilli Pompei, Ercolano e Stabia, i conseguenti ritrovamenti in scavi non lontani di un'innumerevole oggettistica ovviamente comprensiva di svariati gioielli. L'oro veniva estratto in Egitto (per parecchio tempo fonte di approvvigionamento) in Spagna, in Dalmazia, nel Norico in Britannia, in Piemonte e nel Veneto. Le miniere d'oro della Grecia erano state sfruttate in precedenza per cui abbandonate. Negli anni dell'impero questo prezioso metallo veniva importato anche dall'Arabia, dall'India, e dalla Siberia. Seneca disprezzava apertamente chi indossava anelli in ogni dito delle mani; Marziale, uno scrittore divertente e pungente spagnolo, diceva di Carino che ostentava giorno e notte anelli su tutte le dita delle mani perché non aveva una cassaforte per custodirli.
Roberto Zoffoli