giovedì 1 novembre 2012
Chichén Itzá
Albeggia su Chichén Itzá e il sole si affaccia sempre più deciso sull’orizzonte, fino a lambire la scalinata del tempio di Kukulcan, come una grande meridiana. Avvolto da un gioco di luci e ombre, il serpente piumato Quetzalcóatl, posto a lato, sembra discendere la piramide e quando il raggio ne illumina la testa in pietra con le fauci aperte si compie l’equinozio di primavera, momento importante per la comunità Maya che abitò questo sito e per le migliaia di turisti che accorrono da ogni dove per assistere al fenomeno.
Lo stesso spettacolo avviene ovviamente al tramonto, quando il serpente pare ritirarsi, e durante l’equinozio d’autunno. I Maya, fini astronomi, crearono questa illusione ottica per degli scopi pratici, ovvero sapere quando piantare il raccolto, incoronare un nuovo sovrano, o intraprendere battaglie dall’esito potenzialmente vittorioso. In un misto tra religione e astronomia, la vita pubblica era infatti permeata da studi complessi e credenze che si servivano di rituali e sacrifici umani, come gettare le vittime in un cenote per propiziare la pioggia. Il sito archeologico dello Yucatan fu anche un complesso religioso e mantiene tutt’ora le notevoli dimensioni. Visitarlo oggi significa fare un salto indietro nel tempo e in una cultura diversa dalla nostra per il periodo, ma che – straordinariamente – mostra similitudini con altre molto più antiche dell’area mediorientale. Racchiusi tra alte e moderne mura protettive, tutelati da un sistema di controllo per prevenire deturpamenti e ruberie, nell’area trovarono posto numerosi templi a forma piramidale oltre al celebre El Castillo (o tempio di Kukulcan), tombe di sacerdoti, bagni purificatori, campi per il gioco de la pelota, cenotes sacri e il particolare El Caracol, così chiamato dagli spagnoli colonizzatori per la scala a chiocciola in pietra situata all'interno
Questo edificio circolare – unico in tutto il complesso – era l’osservatorio astronomico ed è uno dei pochi in cui si può ancora accedere, ripercorrendo i passi antichi dei sacerdoti che dalla cupola stabilivano i momenti propizi per le attività collettive. Ciò che è rimasto, dopo secoli di abbandono e un egregio recupero che ha portato l’intero luogo a essere una delle meraviglie del mondo moderno, rende comunque l’idea della struttura passata: i quattro accessi sono rivolti ai punti cardinali (e allineati con la posizione del sole durante gli equinozi) e si presume fossero colorati dalle tinte deputate: rosso per l’est, bianco per il nord, nero per l’ovest, giallo per il sud, mentre il verde simboleggia il centro.
Grandi coppe in pietra e maschere del dio della pioggia Chac-Mool decorano i varchi, per ribadire quanto fosse importante l’acqua per la sopravvivenza della popolazione, mentre le massime pendenze a nord e sud rilevano le posizioni della luna e le finestre della cupola sono allineate sulla posizione di alcune stelle, visibili solo in certi momenti dell’anno e che stabilivano i punti fermi del loro calendario. Con un eccezionale studio sulle zone d’ombra all’interno dell’edificio erano poi in grado di determinare con precisione il momento dei solstizi, controllando così il passaggio di tutte le stagioni. Durante lo spettacolo di luci, che ogni sera dell’anno riproduce con suoni e grandi suggestioni il fenomeno naturale degli equinozi, si possono alzare gli occhi al cielo e cercare di scorgere quanto vedesse quel popolo, o per lo meno immaginare i tredici livelli celesti che facevano da contrappasso ai nove gironi degli inferi, dove discendevano i morti. Se la terra era considerata il dorso di un immenso rettile che galleggia in uno stagno, la fantasia aiuta a immaginarsela tale quando – guardandosi attorno, oltre l’ingresso e l’esteso parcheggio del sito – si viaggia in quella parte di pianura non ancora violata da costruzioni e turismo, cercando magari di capire cosa determinò la misteriosa scomparsa di quella civiltà.
Fonte : reporterpercaso.com
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