venerdì 22 novembre 2019
Hong Kong: alle origini della protesta
Una volta la regione era famosa per il suo "porto profumato", da cui prenderebbe anche il nome (in cinese Xianggang), merito delle tante fabbriche di incenso.
Oggi Hong Kong è più conosciuta per lo skyline, la piazza finanziaria e il terziario avanzato, pur trovandosi nella Cina comunista.
Ed è proprio questo il punto: gli abitanti di Hong Kong si sentono cinesi "occidentalizzati", un sentimento che mal si sposa con l'autoritarismo di Pechino, come dimostrano le proteste ininterrotte.
Per capire questa vicenda è necessario andare indietro di qualche secolo, fino al Settecento, quando la Compagnia britannica delle Indie Orientali stabilì la sua sede a Canton (Cina del Sud), avviandovi le prime attività commerciali.
Di lì a poco gli inglesi diventarono il maggior fornitore di oppio della Cina, e fecero affari d'oro fino al 1839, anno in cui le autorità cinesi promulgarono il divieto di importare la droga.
Fu la scintilla della Prima guerra dell'oppio tra Cina e Regno Unito: gli inglesi occuparono l'isola di Hong Kong (riconosciuta colonia nel 1842, con il Trattato di Nanchino) e vi rimasero per oltre 150 anni.
Dopo la Seconda guerra dell'oppio, nel 1860, fu occupata anche la penisola di Caolun, oggi parte del territorio urbano di Hong Kong.
Nel 1997, in base agli accordi siglati tra i due Paesi nel 1984, la sovranità della città-Stato è passata dal Regno Unito alla Cina, rimanendo però una regione a statuto autonomo (fino al 2047, quando diventerà Cina a tutti gli effetti).
Per questo si parla di "un Paese, due sistemi", con una moneta tutta sua, il dollaro di Hong Kong, un sistema di leggi ancora basate sulla Common Law inglese e un sistema scolastico di stampo britannico.
Il governatore è formalmente eletto da una ristretta cerchia di persone, un comitato elettorale composto da circa un migliaio di membri, ma nella pratica è espressione del governo centrale di Pechino.
Gli accordi anglo-cinesi avevano pianificato anche il futuro dell'ex colonia, a partire dall'introduzione del suffragio universale per eleggere sia il governatore (Chief Executive), sia consiglio legislativo (LegCo).
In teoria, la modifica costituzionale che permetterebbe di arrivare al suffragio universale avrebbe dovuto essere messa all'ordine del giorno già nel 2017: ancora oggi, però, è tutto come prima e l'attuale governatore si è dichiarato non disponibile ad avviarne l'attuazione.
Oltre che politica (il suffragio universale, la legge sull'estradizione, ...) ed economica (Pechino vorrebbe inglobare Hong Kong nell'immenso sistema della Nuova Via della Seta), la questione è anche culturale.
Dal 1997 Hong Kong ha visto l'invasione dei "fratelli" continentali e il progressivo cambiamento dei programmi scolastici: le prime proteste risalgono al 2012, quando il governo cinese tentò di introdurre l'educazione patriottica nella scuola.
Quello che insomma gli scontenti di Hong Kong temono di più è la "cinesizzazione", la scomparsa della loro particolare identità.
Fonte: focus.it
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