lunedì 7 ottobre 2013

La tribù amazzonica degli indios Zo'é


Gli Zo’é sono una piccola tribù isolata e vivono nel folto della foresta amazzonica del nord del Brasile.
 Sono entrati stabilmente in contatto con gli esterni nel 1987, quando i missionari fondamentalisti della New Tribe Mission costruirono una base nelle loro terre.
 Il loro territorio è stato riconosciuto ufficialmente dal governo, che ne controlla anche l’accesso dall’esterno per limitare il rischio di trasmissione di malattie potenzialmente fatali per gli Zo’é, come l’influenza e il morbillo.

 Gli Zo’é costruiscono grandi case rettangolari con il tetto di paglia, aperte su tutti i lati, in cui convivono diverse famiglie; dormono in amache appese alle travi del tetto e cucinano su fuochi disposti lungo i lati della casa.
 Spesso insediano le loro comunità vicino agli alberi delle noci brasiliane, che amano moltissimo. Oltre a rappresentare una ricca fonte di cibo, le noci forniscono agli Zo’é anche materie prime per realizzare braccialetti (i gusci) e amache (le fibre del guscio). 
 Le comunità zo’é sono circondate da grandi orti in cui crescono manioca e altri tuberi, peperoni, banane e molti altri tipi di frutta e verdura.
 Coltivano anche il cotone, utilizzato per realizzare ornamenti e amache, per legare le punte delle frecce e per tessere i marsupi a fascia con cui trasportano i bambini.

Gli Zo’é sono poligami e sia gli uomini sia le donne hanno più di un partner. 
È piuttosto comune che una donna con tante figlie sposi diversi uomini che potrebbero in futuro diventare compagni delle sue figlie. 
 Nella società Zo’é regna l’uguaglianza. Non ci sono capi, anche se, in materia di matrimoni, riapertura di vecchi orti o insediamento di nuove comunità, l’opinione di uomini particolarmente abili nel parlare, conosciuti come yü, ha più peso rispetto a quella degli altri 
 Gli uomini sono abilissimi cacciatori. Solitamente cacciano da soli, ma in alcuni periodi dell’anno, per esempio durante “la stagione delle scimmie grasse” o “il tempo dell’avvoltoio reale”, organizzano battute di caccia collettive. 
 In presenza di grosse mandrie di pecari, gli Zo’é cacciano insieme, inseguendo gli animali animatamente e lanciando frecce; intanto le donne raccolgono i piccoli, immobilizzati dallo spavento, e li portano nelle comunità dove vengono poi allevati come animali domestici (raimbé).
 Gli Zo’é inoltre pescano usando arpioni dalle punte intrise di timbó un veleno ricavato dal succo di una vite.


Fin dall’infanzia, gli Zo’é indossano lo m’berpót, un lungo bastone di legno molto leggero inserito nel labbro inferiore.
 A spiegare loro come usarlo fu un antenato chiamato Sihié’abyr. 

Una delle cerimonie più importanti nella vita, un rito di passaggio per i bambini, è la perforazione del labbro inferiore; di solito avviene a 7 anni per le femmine e a 9 anni per i maschi. Durante la cerimonia, il labbro viene forato con l’osso appuntino della gamba della scimmia ragno e vi viene inserito un m’berpót sottile, che sarà poi sostituito con bastoni più grandi man mano che i bambini crescono.
 Le donne indossano elaborati copricapo fatti con le soffici piume bianche del petto dell’avvoltoio reale, e si dipingono il corpo con l’urucù, una pasta rosso brillante che ottengono pestando i semi dell’annatto.


I rituali segnano molti momenti importanti della vita degli Zo’é, come la nascita, la morte, le prime mestruazioni, il primo tapiro cacciato dai ragazzi adolescenti. 
 La più grande cerimonia collettiva è probabilmente la Seh’py effettuata per celebrare un qualsiasi evento importante. Prende il nome dalla bevanda fermentata naturalmente servita durante la cerimonia, ricavata ogni volta dal tubero di stagione. 
Gli uomini indossano lunghi gonnellini di fibre chiamati sy’pi. Uomini e donne danzano insieme tutta la notte, accompagnandosi con canti.
 All’alba gli uomini finiscono la bevanda, poi la vomitano tutti insieme.


Come per molti altri popoli tribali entrati recentemente in contatto con le società nazionali, la vita sta cambiando anche per gli Zo’é. Alcuni hanno accusato il FUNAI, il dipartimento del governo brasiliano per gli affari indigeni, di volerli mantenere in una sorta di “campana di vetro” perché solo poche persone hanno il permesso di entrare nelle loro terre e gli Zo’é sono stati scoraggiati ad uscirne. Questa politica, tuttavia, ha indubbiamente salvato la loro vita: la popolazione degli Zo’é ora è stabile, le comunità sono in buona salute e hanno iniziato a crescere.
 Incuriositi dai loro vicini e dal mondo che li circonda, gli Zo’é hanno cominciato a desiderare di conoscere meglio il mondo esterno. 
 Nel febbraio del 2011, un gruppo di Zo’é si è spinto per la prima volta fino alla capitale del Brasile, Brasilia, per sottoporre alcune richieste alle autorità. Chiedono un progetto di formazione per operatori sanitari propri e un programma di protezione della terra a cui essi possano partecipare attivamente.
La loro sfida è quella di diventare pienamente consapevoli dei propri diritti e di capire la società brasiliana, per potersi poi relazionare con essa in modo paritario, senza soccombere a malattie molto comuni come l’influenza alle quali sono ancora estremamente vulnerabili.

 La pressione sulla loro terra e le sue risorse naturali è sempre più forte: raccoglitori di noci, cercatori d’oro e missionari invadono periodicamente le loro aree, e la frontiera della coltivazione estensiva della soia è sempre più vicina. Sono comparse all’orizzonte anche alcune grandi compagnie minerarie.

© Fiona Watson/Survival 

 Gli Zo’é hanno vissuto in tranquillità nella fitta foresta tra i fiumi Erepecuru e Cuminapanema da tempo immemorabile.

 A disturbare per primi la pace della foresta furono i cacciatori di pelli di giaguaro e di altri felini selvatici, intorno agli anni ‘40 e ’50. Nello stesso periodo cominciarono ad avventurarsi nelle loro terre anche cercatori d’oro e raccoglitori di noci. 
 Gli Zo’é ebbero incontri fugaci con queste persone, ma la loro tranquillità non fu compromessa veramente fino a quando, nel 1975, un volo di prospezione mineraria non individuò una delle loro comunità. 
I periti tornarono indietro e lanciarono dall’aereo degli oggetti che gli Zo’é calpestarono e diedero alle fiamme. 
 Gradualmente, la notizia dell’esistenza degli Zo’é giunse fino ai missionari brasiliani.
 Tra il 1982 e il 1985, la New Tribes Mission effettuò varie spedizioni nel territorio degli Zo’é entrando in fugace contatto con un piccolo gruppo.
 I missionari distribuirono anche molti “doni” alle comunità lasciandoli cadere dai loro aerei. Poi, nel 1987 i missionari costruirono una base e una pista di atterraggio ai margini del territorio. Secondo i missionari, il primo contatto definitivo con gli Zo’é avvenne il 5 novembre del 1987. 
Nei giorni precedenti, alcuni gruppi di Zo’é erano rimasti a osservare di nascosto i missionari nella loro base.
 Anni dopo, uno Zo’é raccontò lo spasso nel vedere i missionari cacciare… Si muovevano nella foresta lentamente, e uno di loro trasportò un cinghiale sulla schiena lasciandogli “la testa penzoloni e le zanne che sbattevano emettendo un rumore molto secco”.


Alla fine, alcuni Zo’é entrarono nel campo e diedero ai missionari punte di frecce rotte in cambio di oggetti. 
Attratti dalla disponibilità di utensili come machete, coltelli, pentole e attrezzature da pesca, gradualmente arrivarono altri Zo’é e costruirono le loro case nei pressi della base. 

E presto scoppiò la tragedia.
 Gli Zo’é cominciarono a morire di malattie verso cui non avevano difese immunitarie. Con una tale concentrazione di persone in un unico luogo, influenza e malaria si diffusero rapidamente.
 Con il precipitare degli eventi, i missionari chiamarono il Funai, che mandò un’equipe medica.
 Le epidemie devastarono la tribù e tra il 1982 e il 1988, circa un quarto della popolazione originaria morì. 
 In risposta alla catastrofe, nel 1991 il Funai espulse i missionari e cominciò a suggerire agli Indiani di ritornare ai propri villaggi.

 Oggi il Funai ha allestito un campo base dotato di un mini ospedale per curare gli Zo’é ammalati senza doverli trasferire in città. Qualsiasi straniero voglia entrare nell’area viene visitato accuratamente. Grazie a queste precauzioni, ora la popolazione si è stabilizzata (conta circa 250 persone) e sta lentamente ricominciando a crescere.


Gli Zo’é continuano ad essere una tribù estremamente vulnerabile. La popolazione è piccola e ancora molto sensibile alla maggior parte delle nostre malattie più comuni, verso le quali gli Zo’é non hanno ancora avuto il tempo di sviluppare difese immunitarie. 

 Fino ad oggi, il territorio degli Zo’é è rimasto relativamente libero dalle invasioni; nel 2009 è stato ufficialmente ratificato dal governo e destinato a loro uso e occupazione esclusivi. 
 Tuttavia cacciatori e minatori esercitano pressioni crescenti, e a loro si aggiungono centinaia di raccoglitori di noci. 
Anche i missionari evangelici stanno cercando di entrare nell’area. L’arrivo di qualsiasi straniero rappresenta un rischio enorme per la salute di una tribù così isolata. 
 A sud, la terra degli Zo’é confina con le piantagioni estensive di soia e gli allevamenti di bestiame, la cui frontiera si sta gradualmente spingendo sempre più a nord: il timore è quello che senza un rigoroso programma di protezione, sarà difficile mantenere fuori allevatori e coltivatori. 
 D’altro lato, gli stessi Zo’é hanno cominciato a desiderare di conoscere meglio il mondo esterno. 
Nel febbraio del 2011, un gruppo di Zo’é si è spinto, per la prima volta, fino alla capitale Brasilia, per incontrare alcune autorità del governo. Ai ministri hanno espresso la loro preoccupazione per le pressioni crescenti sulla foresta e hanno manifestato chiaramente il desiderio di partecipare in modo attivo a un programma di protezione della terra. 
Hanno anche esplicitato il desiderio di attivare un programma scolastico adatto ai loro bisogni e un programma di formazione per operatori sanitari Zo’é. 

 La sfida è ora quella di aiutare gli Zo’é a capire e a relazionarsi in modo paritario con il mondo esterno, senza compromettere la loro salute e la loro terra.

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