lunedì 30 settembre 2013
Una cantina in fondo al mare
Capitan Nemo offrì ai suoi ospiti sul Nautilus pesci rari e un «liquore fermentato estratto dall’alga nota col nome di “rodomenia palmata”».
Lo credevano matto, racconta Jules Verne in ”Ventimila leghe sotto i mari”, quando invitò tutti a una battuta di caccia nella sua foresta di Crespo, nel Pacifico, rivelando che si trattava di boschi sottomarini. Ma la foresta esisteva davvero e tutti la videro usando speciali scafandri.
Quei viaggi tra perle giganti, mostri e tunnel segreti che portano al Mediterraneo, vengono in mente ascoltando il racconto di un’impresa meno epica ma carica dello stesso fascino che porta alla scoperta di nuovi mondi nascosti.
L’avventura sottomarina è quella di Pierluigi Lugano, 65 anni, ex professore di storia dell’arte e ora vignaiolo.
Ha aperto la prima cantina d’Italia in fondo al mare. Ha stivato ogni anno 15 mila bottiglie a 60 metri di profondità. E ora ha portato a galla un nuovo vino: un migliaio di bottiglie con un primato di immersione, 30 mesi tra pesci e alghe.
Il nuovo vino si chiamerà Abissi Riserva, uno spumante, o per meglio dire un Metodo classico, ovvero un vino prodotto con la stessa procedura di uno champagne.
Solo che le bottiglie, invece di riposare in cantine buie, spesso storiche, con il giusto grado di temperatura e servizio, vengono adagiate sul fondale davanti alla Cala degli Inglesi, nel Parco marino di Portofino.
Sembrava una idea al limite della follia, una trovata per attirare l’attenzione. Invece ha funzionato. Non solo, ne ha scritto un esperto di vino come Alan Tardi sul New York Times e ne hanno parlato le televisioni di mezzo mondo (l’ultimo servizio è stato mandato in onda in Russia).
Anche dalle degustazioni sono arrivati giudizi positivi:
«Molto coerente, deciso e ficcante» è ad esempio il giudizio di Ernesto Gentili e Fabio Rizzardi sulla guida dei vini d’Italia dell’Espresso.
Lugano ha iniziato la sua seconda vita («dopo aver girovagato come insegnante tra scuole medie e licei dal Veneto alla Sardegna») nel 1978. Fonda l’azienda Bisson. L’idea è semplice: recuperare vitigni locali della Riviera del Levante, acquistando uve da piccoli contadini e vinificando poi con tecniche moderne. Arrivano in cantina, a Chiavari, le uve di Bianchetta genovese e Vermentino ligure. Poi di Ciliegiolo e Cimixià.
«Dopo qualche anno ho iniziato la seconda fase — racconta Lugano — ho impiantato vigneti miei e ho pensato a uno spumante. Ma non avevo una cantina sotterranea, non sapevo dove poter affinare il vino che ha bisogno di penombra e temperatura costante. E ho pensato a tutti quei galeoni naufragati con carichi a volte sopravvissuti dopo centinaia di anni sott’acqua».
Nel maggio del 2009 è partito il primo esperimento, 6.500 bottiglie che sono state messe in vendita due anni dopo, poco prima di Natale. «Non sono operazioni semplici — spiega Lugano — le bottiglie vengono stivate in cassoni d’acciaio e portate sul fondale da sub esperti che si danno il turno, perché più di 15 minuti non possono stare in profondità. Serve un rimorchiatore attrezzato per assisterli».
Quando tornano sulla terra le bottiglie sono piccole opere d’arte, impreziosite dal tempo, come quelle di Kounellis che sono state esposte alla Fondazione Cini di Venezia nella mostra «Fragile come il vetro» nell’aprile scorso.
Crostacei, alghe, stelle marine, conchiglie, residui di vita marina restano saldati alle bottiglie, che vengono avvolte da un pellicola trasparente prima di essere portate nelle enoteche e vendute a circa 40 euro per quanto riguarda la versione «normale» di Abissi, quella con 18 mesi affinamento.
Abissi viene prodotto con i vitigni autoctoni, Bianchetta, Cimixià e Vermentino, con le uve dei 15 ettari di Bisson. C’è anche una versione rosè (con l’aggiunta di Ciliegiolo), che debutterà a novembre assieme alla Riserva.
Ora Lugano potrebbe ripetere quello che pensava Capitan Nemo alla cena prima della battuta di caccia nella foresta sottomarina:
«Mi avete creduto matto. Non bisognerebbe mai giudicare gli uomini alla leggera».
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