martedì 22 febbraio 2022

L’orologio della Conciergerie, il più antico di Parigi


 L’ orologio, come recita il vocabolario, altro non è che un meccanismo per la misurazione del tempo. Dietro questa piccola parola, però, si nascondono sentimenti contrastanti, che hanno tutti a che fare con la vita e il modo di affrontarla di ciascuno.

Horloge! dieu sinistre, effrayant, impassible,

Dont le doigt nous menace et nous dit: Souviens-toi! …

Così comincia L’Horloge di Charles Baudelaire nei Fiori del male e il resto ve lo lascio immaginare…

L’orologio, elemento indispensabile per muoverci in questo mondo, ci tiranneggia.

Ma le cose non sono sempre andate così, penso, lasciandomi avvolgere dal blu lapislazzuli e dall’oro del più antico orologio di Parigi.


Si dà arie da gran signore, mostra orgoglioso i ricchi decori e si vanta della vivacità dei suoi colori, che lo fanno rifulgere come un arcobaleno dopo la pioggia sulla pietra chiara della Tour de l’Horloge, alla Conciergerie.

Di fianco alla Senna e al quai de l’Horloge, giusto per rimarcare la sua presenza vecchia di secoli là dove Parigi è nata, non passa certo inosservato, anche se gioca a nascondino con le foglie di un frondoso platano, che qualche zelante cittadino vorrebbe fare abbattere.

Per fortuna, la bellezza della natura e la sua utilità pubblica hanno avuto la meglio, e la Mairie lascia il platano lì dov’è, anche se copre un po’ il vecchio orologio.


C’era un tempo in cui era il cielo a scandire l’ininterrotto fluire del tempo e la vita seguiva placida i ritmi della natura, senza che ci fosse bisogno di un orologio. Poi, a qualcuno venne in mente di inventare clessidre e meridiane, che garantivano certo una maggiore precisione, ma niente aggiungevano alla giornata dell’uomo comune. I semplici continuarono imperterriti a guardare il cielo. 

Nel medioevo le cose cambiarono e si avvertì l’imprescindibile esigenza di accordare i ritmi dell’intera comunità.

 L’ora cominciò a correre sul rintocco grave di una campana. La vita pubblica si adeguò alle cadenze precise di quella liturgica e il lavoro nei campi, nelle botteghe, e persino la giornata delle massaie, seguivano le ore canoniche dei monasteri.

Certo non ci si alzava per il mattutino, che risuonava nel silenzio immacolato che precede l’alba. A meno che non si fosse molto devoti o, all’opposto, grandi peccatori, decisi a recitare le lodi del mattino assieme ai monaci.

Di sicuro, però, la sveglia suonava all’ora prima, ovvero intorno alle sei e il lavoro terminava con i rintocchi dei Vespri, al tramonto.

Tutto questo conformarsi alle ore liturgiche faceva piuttosto innervosire l’amministrazione pubblica, che faticava non poco a stabilire il primato della legge dell’uomo su quella di Dio.


Fu così che si pensò di costruire delle torri dotate di un orologio meccanico, spesso associate al municipio, per regolare la giornata dei cittadini, in diretta concorrenza con le campane del Signore.

Gli orologiai, artigiani dalle mani d’oro, molto stimati all’epoca, si sbizzarrirono e gareggiarono in savoir-faire.

Ancora oggi troviamo in giro per l’Europa torri-orologio con incredibili automi che offrono un delizioso spettacolo a ogni cambio di ora.

La torre dell’orologio divenne quindi un simbolo, un punto di riferimento per la cittadinanza, che poteva adeguare la propria vita all’ora del re.

Ecco dunque come si spiega la presenza del grosso orologio dalla foggia antica su un muro del palazzo di giustizia di Parigi .


Il fatto che sembri nuovo fiammante non ci deve trarre in inganno, perché si tratta del primo orologio pubblico della città, restaurato con grande cura nel 2012.

Fu ordinato dal re Charles V attorno al 1370 per il palazzo di giustizia, che un tempo era stato la sua residenza. Sconvolto dall’insurrezione del 1358 guidata da Étienne Marcel e dall’assalto della cittadinanza al palazzo reale della Cité, il prudente Charles pensò bene di andare ad abitare altrove.

Autore della delicata meccanica fu un orologiaio lorenese, Henri de Vic, che per ordine del re fu alloggiato nella torre dell’orologio affinché se ne prendesse cura. Lo stipendio pattuito fu di sei soldi parisi (antico nome dei primi abitanti di Parigi) al giorno.

Tutta la città si dava appuntamento ai piedi della torre per ascoltare l’ora del re.
Si trattò di un forte segnale politico, con cui la monarchia cominciò ad affrancarsi dal potere della chiesa.

L’anno seguente, la Tour de l’horloge fu dotata di una campana in argento, i cui rintocchi celebravano la nascita e la morte dei sovrani e dei loro figli.

Nel 1418, i cittadini, stanchi di contare i rintocchi dell’orologio per conoscere l’ora, chiesero a gran voce un quadrante esterno

Parte dell’aspetto dell’orologio giunto a noi risale a quel periodo.

Già nel 1472 il quadrante subì un importante restauro condotto da Philippe Brille.

Durante il suo regno, Henri II fece aggiungere ai lati del frontone il suo monogramma, intrecciato a quello della reale consorte, Caterina de Medici. O almeno così voleva far credere. 

Con lo stesso stratagemma grafico già utilizzato altrove, riuscì a far apparire su un’opera pubblica le sue iniziali e quelle dell’amante, Diana di Poitiers. 

Nel 1585 il re Henri III ordinò un nuovo quadrante, la cui imponente cornice fu realizzata dallo scultore Germain Pilon, figura di rilievo già alla corte del padre e di Caterina. 

Due grandi figure allegoriche furono poste ai lati, la Giustizia e la Legge.

Anche Henri IV, che gli succedette al trono, volle lasciare il suo segno.

 Nel soffitto dell’arco che protegge il quadrante, il suo monogramma, intrecciato a quello della regina Maria de Medici, è alternato al monogramma fedigrafo di Henri II.

L’orologio fu di nuovo restaurato nel 1685, ma durante la Rivoluzione i Sanculotti, che se ne andavano in giro per Parigi a prendere a martellate tutti i simboli reali, lo danneggiarono sensibilmente.

 Bisognerà attendere il XIX secolo perché l’orologio del re ritrovi il suo antico splendore, grazie a M. Toussaint e ai disegni originali di Germain Pilon.

Nel restauro del 2012, invece, sono stati presi a modello i documenti relativi al restauro del 1852.

 Numerosi dettagli hanno ritrovato il loro posto e si possono di nuovo ammirare teste di ariete, colombe, mascheroni e cherubini, a fianco delle insegne e degli emblemi reali.

Inoltre, sotto il quadrante sono state apposte le date dei due restauri maggiori, avvenuti rispettivamente nel 1852 e nel 1909.


Sono, inoltre, presenti due epigrafi in lingua latina. La prima, nella parte superiore del quadrante, recita: “Colui che ha già dato due corone gliene darà una terza”, riferimento a Re Enrico III, contemporaneamente re di Francia e di Polonia. L’iscrizione in basso riporta invece la frase: “Questa macchina che suddivide le ore in dodici parti così perfette, insegna a preservare la Giustizia e a difendere le leggi”.

Fonte: frammentidiparigi