lunedì 29 marzo 2021

Papakolea, la meravigliosa spiaggia verde delle Hawaii


 Papakolea è una delle rare spiagge di sabbia verde del pianeta ed è situata nella parte meridionale di Big Island, isola principale dell’arcipelago delle Hawaii. 

Questo spettacolo naturale deve la sua colorazione alla presenza di Olivina, un minerale magmatico contenente ferro e magnesio che in forma cristallina crea il peridoto, una gemma semi-preziosa utilizzata anche per creare gioielli.


Il minerale che colora di verde di Papakolea proviene dal Pu'u Mahana, il vicino vulcano ormai inattivo da ben 49 mila anni.

 Le onde oceaniche che si frangono sulle pendici del vulcano permettono all’olivina di staccarsi dalla cenere e depositarsi sulla spiaggia. 

Un fenomeno di estrema bellezza che si verifica solo in altri tre luoghi della terra: sull’isola di Guam, su Floreana Island alle isole Galápagos e sul lago Hornindalsvatnet, in Norvegia.


La spiaggia verde di Papakolea è piuttosto isolata, immersa in un silenzio dallo scenario quasi fiabesco. Lambita dalle splendide acque cristalline dell'Oceano, è il luogo ideale per il surf e lo snorkeling, un’oasi di pace dove ammirare la ricca e meravigliosa fauna marina da una posizione privilegiata.

 A protezione della sua unicità, l'accesso alla baia è limitato da un permesso gestito dal Department of Hawaii. L’ingresso ha un costo di circa 25 Euro ed è sempre sottoposto a una scrupolosa sorveglianza per evitare che un qualsiasi “souvenir” venga sottratto dalla spiaggia.


Fonte: mybestplace.com

domenica 28 marzo 2021

Crolla l’ultimo ponte Inca in Perù per mancanza di manutenzione a causa della pandemia


 Era l’unico ponte inca ancora conservato in Perù
Un capolavoro in fibre naturali di 30 metri intrecciato a mano secondo una tradizione tramandata di generazione in generazione dalle comunità contadine che tutti gli anni, da almeno sei secoli, si ritrovano nel mese di giugno per ricostruirlo e mantenerlo in vita.

Tutti gli anni meno uno: il 2020, annus horribilis della pandemia. Uno stop che ha determinato il deterioramento delle sue corde causandone il crollo.

Profondamente dispiaciuti per quanto accaduto, sono stati proprio le persone delle comunità della zona di Quehue, presso Cusco, i primi a segnalare la caduta dell’ultimo ponte inca. 

Sono costoro infatti coloro i quali hanno svolto, senza mai interrompere la tradizione, a giugno di ogni anno il tradizionale compito di tessere e sostituire le vecchie fibre con quelle nuove, permettendo in questo modo che il ponte rimanesse in piedi dai tempi degli Incas. 

Tuttavia lo scorso anno, per via del divieto di mobilità e per il distanziamento, il compito non è stato svolto, con il risultato a cui ora assistiamo. 


Dopo una riunione di emergenza fra tutte le autorità e le quattro comunità che ogni anno si incaricano della cerimonia di manutenzione del ponte, il sindaco del distretto di Quehue, Mario Tacuma Taype, ha annunciato che i lavori per il recupero del Q´eswachaka inizieranno a metà aprile.

Il ponte naturale, costruito a mano interamente con fibre vegetali, sta in piedi da circa 600 anni ed è una testimonianza vivente di una delle più grandi conquiste della civiltà Inca: il “Qhapaq Ñan” o Cammino Inca. 

Dichiarato dall’Unesco patrimonio culturale immateriale dell’umanità nel 2013, questo ponte ci lega con la nostra eredità ancestrale e speriamo possa presto rinascere.

Fonte: www.greenme.it



mercoledì 24 marzo 2021

Sigiriya: la rupe che divenne il palazzo dalle zampe di leone


 Nello Sri Lanka centrale si trova uno dei siti archeologici più suggestivi del mondo: si tratta di Sigiriya, una maestosa rupe che si innalza tra le pianure circostanti immerse in una fitta giungla.

Sigiriya contiene le rovine di un antico palazzo costruito durante il regno di re Kasyapa nel V secolo d.C., e per lo straordinario scenario che offre e l’antica testimonianza che preserva è stato insignito del titolo di Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco sin dal 1982.

I visitatori che si recano nello Sri Lanka non mancano quasi mai di visitare le rovine di Sigiriya, poiché quello che è uno degli otto Patrimoni dell’Umanità Unesco dello Sri Lanka, ed è a buon diritto una delle attrazioni preferite dai turisti.

Nella giungla che circonda il sito archeologico ogni tanto spuntano Stupa e statue di Buddha, ma il luogo in cui si respira l’atmosfera più magica è certamente la rupe che divenne un palazzo dalle zampe di leone di Sigiriya, visibile anche a chilometri di distanza.

La collina ha un’altezza di 370 metri e una sommità a forma di ellissi che si presenta piatta e declina a picco sui lati. La roccia sui cui sorge Sigiriya è composta da una dura placca magmatica probabilmente eredità di un vulcano eroso.


Da molti è considerata l’ottava meraviglia del mondo, e in effetti l’emozione che suscita lo stagliarsi sulla linea dell’orizzonte è uno spettacolo unico.
Il complesso monumentale, poi, custodisce le rovine di un antico palazzo, edificato sotto il regno di re Kasyapa, che governò tra il 477 e il 495 d.C., ed è circondato da un’estesa rete di fortificazioni, giardini, stagni, fontane, canali e viali.

Il palazzo maggiore, fungeva sia da palazzo che da fortezza, esso si colloca sulla cima della roccia comprende cisterne intagliate nella roccia che contengono ancora l’acqua, mentre le mura e i fossati e le mura che circondano i palazzi conservano intatte le loro caratteristiche originarie.


L’accesso al sito consta di un percorso proprio attraverso il complesso di giardini e fossati di cui si componevano i giardini reali. I giardini acquatici si estendono sulla base occidentale della rocca e racchiudono un’area in cui sono disposti simmetricamente laghetti e isolotti.

Mentre i giardini rocciosi, più vicini alla rocca, sono formati appunto dai massi che in passato costituivano le basi degli edifici. Le depressioni sui lati delle rocce, simili a gradini, sorreggevano i muri di mattoni e le colonne di legno, tra questi, particolarmente imponenti erano le rocce su cui poggiavano la cisterna e la sala delle udienze.


Ai piedi del rilievo qui si trovano due gigantesche sentinelle: due zampe di leone scolpite nella roccia che proteggono la scalinata che dà accesso al palazzo e probabilmente sono ciò che rimane di quella che un tempo doveva essere la “Porta dei Leoni”, una enorme testa di leone con le fauci spalancate che fungevano proprio da entrata per il palazzo reale, proprio per questo motivo il sito è noto anche come Lion Rock.


L’escursione è piuttosto impegnativa poiché dopo aver attraversato o giardini acquatici con le piscine e le vasche in marmo si affronta la faticosa salita di circa 1200 gradini che conducono alla cima.


A metà della scalata si raggiungono una serie di pitture murali ben conservate che raffigurano fanciulle; pare infatti che il re Kasyapa fosse un estimatore della bellezza femminile e non è escluso che quelle rappresentate fossero le sue numerose concubine, o secondo altre teorie rappresenterebbero le apsara (ninfe celestiali).

Sebbene non sia stata stabilita con certezza la data di esecuzione degli affreschi si può affermare che in base allo stile si possano trovare delle similitudini con le pitture rupestri di Ajanta, in India, ma queste si distinguono per la straordinaria fusione tra classicismo e realismo.



Le scale hanno termine nel punto più alto del rilievo roccioso che ha una superficie di 1,6 ettari e in passato era interamente occupata da edifici, di cui ora sono rimaste solamente le fondamenta.
La struttura di questo palazzo e i magnifici panorami di cui gode indicano che Sigiriya svolgesse più le funzioni di luogo di residenza che di fortezza. 

La vasca di 27 x 21 metri scavata nella roccia ha, infatti, l’aspetto di una moderna piscina, sebbene probabilmente venisse allora usata semplicemente come cisterna.


Secondo la leggenda Kasyapa uccise il padre murandolo vivo e usurpandone in tal modo il trono che per diritto di successione sarebbe toccato al fratello Mugallan. Questi fuggì in India per evitare la furia omicida del fratello e meditare il modo di ottenere vendetta.

Durante il periodo in India mise infatti insieme un esercito con l’intento di riappropriarsi del trono dello Sri Lanka; ma Kasyapa, venuto a conoscenza delle intenzioni del fratello, fece costruire il suo palazzo proprio sulla sommità della roccia di Sigiriya così che nessuno potesse raggiungerlo.

Il bellicoso fratello riuscì comunque a dare battaglia e, abbandonato dal suo esercito, Kasyapa scelse di togliersi la vita lanciandosi sulla propria spada. Dopo questa vicenda Mugallan trasformò Sigiriya in un monastero.

Le rovine di Sigiriya furono scoperte solamente nel 1907 dall’esploratore britannico John Still, e tra le ipotesi avanzate dagli studiosi la roccia potrebbe essere stata abitata fin dalla preistoria e usata come riparo per un monastero a partire dal III secolo a.C.

Certamente dopo la morte del re Kasyapa, il palazzo mantenne l’uso monastico sino al XIV-XV secolo d.C., quando fu infine abbandonato.
Tuttavia, i nuovi studi condotti dall’archeologo Raja Da Silva e basati sull’analisi dei reperti, la comparazione dei dati provenienti da diversi testi storici nonché sulle indagini di laboratorio, avvalorano la teoria secondo la quale in realtà Sigiriya non sarebbe stata la capitale di alcun sovrano, ma solamente un centro di monaci buddhisti della dottrina Mahayana, diffusa appunto nello Sri Lanka, e che le famose “cortigiane” rappresentassero soltanto divinità femminili appartenenti al pantheon buddista.

Fonte: meteoweb.eu

lunedì 22 marzo 2021

Trovato il primo fossile di dinosauro col nido, intento a covare


 Recentemente, nei pressi di Ganzhou, una città dello Jiangxi, nella Cina meridionale, è stato ritrovato un fossile di dinosauro molto particolare, forse unico nel suo genere. 

Si tratta di un fossile di un oviraptor, colto nell’atto di covare sul suo nido, pervenutoci perfettamente conservato, con una covata di ben ventiquattro uova.

L’oviraptor era un animale alto circa 1m e lungo 2m, con forti zampe posteriori e un corpo snello e agile, in realtà molto simile ad un uccello.

 Il fossile ritrovato ha permesso di constatare che gli embrioni ritrovati avevano raggiunto livelli di sviluppo diversi tra loro.

 Tale fenomeno è tipico degli uccelli, e non si credeva fosse proprio anche di questo dinosauro.


La straordinarietà di questo ritrovamento, come afferma il Dr. Matthew Lamanna, consiste nel fatto che siano stati ritrovati gli embrioni, almeno all’interno di sette uova. Infatti, questo non è il primo nido fossilizzato ritrovato, ma è il primo che presenta la presenza di embrioni.

Gli studiosi sono riusciti a trarre molte informazioni dalla scoperta del fossile.

 Anzitutto, pare che nello stomaco del genitore, di cui ancora non si conosce il sesso, siano stati rinvenuti dei gastroliti, ossia dei calcoli allo stomaco, il che dimostrerebbe che l’oviraptor sia stato uno di quei dinosauri che consumava queste pietre per aiutare il processo digestivo, a causa di una limitata capacità di macinazione dei cibi con i denti (il becco dell’oviraptor, in realtà, era del tutto privo di denti).

Inoltre si è scoperto che le uova di questo dinosauro necessitavano di essere covate non solo a scopo difensivo, ma anche per permettere lo sviluppo e la crescita degli embrioni che avveniva solo ad un’alta temperatura, garantita solo dal calore del corpo del genitore.

Fonte : ilbosone.com

lunedì 15 marzo 2021

Antico cimitero di animali nei pressi del porto romano di Berenice


 Cani gatti giacciono come se dormissero, in tombe individuali. Molti di loro indossavano collari o altri ornamenti ed erano stati curati da lesioni e malattie dovute alla vecchiaia, proprio come gli animali domestici di oggi. Con la differenza che l'ultima persona che seppellì il suo amato compagno a quattro zampe nell'arida terra egiziana, lo ha fatto quasi duemila anni fa.

Questo antico cimitero di animali, situato nei pressi del porto romano di Berenice, venne ritrovano dieci anni or sono, ma non se ne comprese la funzione, al di là di quella di conservare i corpi dei fedeli compagni di viaggio.
 Ora uno scavo approfondito ha portato alla luce i corpi di 600 tra cani e gatti con le evidenze che si trattava di animali domestici molto preziosi per l'uomo. Questo fatto renderebbe il sito il più antico cimitero di animali domestici mai conosciuto.
L'archeozoologa Marta Osypinska ed i suoi colleghi dell'Accademia delle scienze polacca hanno scoperto la necropoli nel 2011, appena fuori le mura della città, al di sotto di una discarica romana. 
Sembra che questo particolare cimitero sia stato utilizzato prevalentemente tra il I ed il II secolo d.C., quando Berenice era un vivace porto romano al quale affluivano avorio, tessuti ed altri beni di lusso dall'India, dall'Arabia e dall'Europa.
Nel 2017 il team della Dottoressa Osypinska ha riferito di aver portato alla luce i resti di circa 100 animali, per lo più gatti, curati al pari degli animali domestici. Ma all'epoca la natura esatta del sito non era ancora ben chiara. 
La Dottoressa Osypinska ed i suoi colleghi hanno, a tutt'oggi, scavato i resti di 585 animali, analizzando le ossa nel dettaglio.
 Un veterinario ha aiutato il team a determinare la salute, la dieta e la causa della morte delle bestie.

Gli animali sembra siano stati deposti con estrema delicatezza in fosse ben preparate.
 Molti erano coperti con tessuti o pezzi di ceramica che formavano una sorta di sarcofago.
 Il 90% degli animali erano gatti, molti dei quali portavano collari di ferro o collane di vetro e conchiglie
Uno dei felini è stato deposto sull'ala di un grande uccello. 
Sono state anche individuate prove di mummificazione, di sacrifici ed altri rituali già conosciuti come parte degli antichi luoghi di sepoltura di animali, come il sito di Ashkelon, in Israele. La maggior parte degli animali sepolta a Berenice sembra essere morta per ferite o malattie. Alcuni gatti presentano le zampe fratturate od altre fratture che potrebbero essere state causate da cadute accidentali o da calci di cavallo. 
Alcuni sono morti in giovane età, forse per malattie infettive che si diffondevano rapidamente nella città.

Le sepolture di cani sono il 5% del totale (il resto è costituito da sepolture di scimmie). 
I cani sembrano morti di vecchiaia.
 Molti avevano perso la maggior parte dei denti o soffrivano di malattie parodontali e degenerazione articolare.
 Sebbene molte patologie sembrano essere state piuttosto invalidanti, questi animali hanno potuto vivere a lungo grazie alla somministrazione di cibo, che talvolta era una pappa destinata a cani privi di denti.
Queste sepolture dimostrano l'esistenza di un forte legame affettivo tra i padroni ed i loro animali domestici, tanto più forte dal momento che Berenice era, all'epoca, una città quasi in rovina, dove tutte le merci necessarie dovevano essere importate.
Fonte: sciencemag.org

giovedì 4 marzo 2021

Ritrovamento archeologico unico nel suo genere a Pompei: uno straordinario carro da parata


 A due mesi dalla scoperta di un'antica tavola calda con tanto di bancone decorato, Pompei presenta al mondo un nuovo reperto di inestimabile valore: un carro cerimoniale abbellito con raffinate decorazioni a tema erotico, probabilmente destinato alle cerimonie nuziali, scoperto proprio accanto ai resti di tre cavalli ritrovati nel 2018.

 
Secondo gli archeologi potrebbe trattarsi di un pilentum, un carro da parata usato dagli aristocratici durante i matrimoni e ampiamente citato dalle fonti antiche, ma di cui non si era mai trovata traccia in Italia.
Il carro si trovava all'interno di un porticato a due piani della villa di Civita Giuliana, una dimora suburbana a 700 metri a nord di Pompei, fuori dalle mura dell'antica città. 
Nello stesso edificio, qualche mese fa erano venuti alla luce i resti di due uomini, forse un nobile con il suo schiavo, ricostruiti con la tecnica dei calchi.
 
Si tratta, come ha spiegato il direttore uscente del Parco Archeologico di Pompei, Massimo Osanna, di «una villa molto grande e particolarmente preziosa per le indagini storiche, perché a differenza di tante altre che erano state svuotate dalle ristrutturazioni seguite al terremoto del 62 d.C., nei giorni dell'eruzione (il Vesuvio eruttò 79 d.C., ndr) era ancora abitata».
Il carro era sorretto da quattro alte ruote in ferro che sostenevano un leggero cassone, con una seduta per una o due persone contornata da braccioli e schienale metallici. Le fiancate del carro sono decorate con pannelli lignei dipinti in rosso e nero e lamine bronzee intagliate; sul retro compaiono invece medaglioni in bronzo con figurine in stagno applicate - satiri, ninfe, amorini, impegnati in una serie di amplessi. Analisi di archeologia botanica hanno concluso che per il carro sono stati usati almeno due tipi di legname, l'elastico e leggero frassino per la struttura e le ruote, e faggio come supporto alle decorazioni.

 I pilenta citati dagli antichi erano veicoli alla stregua delle nostre auto di rappresentanza, che servivano forse anche a condurre la sposa alla nuova dimora. 
Questi carri non erano mai stati ritrovati in Italia, e l'unico altro precedente è il pilentum rinvenuto ormai 15 anni fa in un tumulo funerario in Tracia (Grecia settentrionale): rispetto al carro pompeiano, però, quello della Tracia è meno riccamente decorato. 
Fonte: focus.it