domenica 14 giugno 2020

Dubai ed Abu Dhabi: le metropoli sospese tra presente e futuro


Cresciute dalla sabbia come fiori di cemento, circondate dal deserto eppure così vive e dinamiche, Dubai ed Abu Dhabi svettano verso il cielo in una gara con se stesse ed il mondo. 
Tutto qui è così esageratamente grande, scenografico, progettato per stupire che è inevitabile sentirsi piccoli ed esplorare queste città con la meraviglia negli occhi.

 Un viaggio tra la modernità del presente, le ambizioni del futuro e le tradizioni millenarie del popolo islamico.


Il presente si concretizza negli alti edifici, nelle grandi autostrade e nell’incredibile melting pot di popoli che abitano questo pezzo di terra.

 Emirati, europei, americani, orientali: in queste città c’è una rappresentanza di ogni popolo del mondo, che convive serenamente con i propri vicini. 
 Il presente si fonde però inevitabilmente col passato, non attraverso edifici storici come siamo abituati nella nostra quotidianità, bensì con le tradizioni legate alla religione.

 Gli immensi centri commerciali dove tutto è consumismo, si fermano cinque volte al giorno per ringraziare Dio, mentre la grande moschea di Abu Dhabi, una costruzione estremamente recente, con i suoi marmi bianchi e decorazioni dorate evoca un passato mitico legato alle suggestive atmosfere de “Le Mille e una Notte”.




Il futuro è invece rappresentato dai mille cantieri di queste città; si percepisce come tutto sia in divenire. 
Nuovi grattacieli si alzano veloci ogni giorno verso il cielo ed i grandiosi progetti per il futuro si vedono nei plastici futuristici che si trovano all’interno degli edifici e dei centri commerciali e si sentono dai racconti delle persone.

 Il futuro per gli Emirati è anche grande consapevolezza: il petrolio finirà e per evitare che si sgretolino le città che sono sorte e vivono con lui e grazie a lui, sono stati sviluppati progetti innovativi sulle energie rinnovabili, per far sì che tutto questo mondo continui a vivere nel futuro.



Fonte:mybestplace.com

Nelle isole Cook la salute viene prima dell’economia: così il Paese è libero dal coronavirus


Stop all’economia, nelle isole Cook la salute viene prima. E funziona, perché il Paese non ha nemmeno un caso di coronavirus. Chiuse tutte le frontiere, crolla il turismo, si blocca tutto, ma anche la diffusione dell’infezione. 
Una decisione quanto mai coraggiosa. 
 Le isole Cook sono un vero e proprio paradiso del Pacifico, in libera associazione con la Nuova Zelanda (secondo lo statuto possono divenire del tutto indipendenti in qualsiasi momento con un atto unilaterale). 
Per natura, straordinaria bellezza e posizione la loro economia dipende quasi esclusivamente dal turismo. Ma il Governo non ci ha pensato due volte: ha chiuso tutte le frontiere (salvo quelle con la Nuova Zelanda, comunque con controlli), arrestando di fatto il PIL. Ma anche il coronavirus: ad oggi, infatti, il Paese non ha registrato nemmeno un caso positivo tra i suoi 15.200 abitanti (dati 2018) sparsi nelle sue 15 isole. 

 Facile chiudere le frontiere, tracciare tutti e non far entrare il virus per un piccolo Paese? Più a dirsi che a farsi. Perché, quando l’economia dipende quasi esclusivamente da quelle frontiere, la scelta resta comunque difficile e i problemi da affrontare enormi.


“La nostra salute ed economia devono andare avanti insieme – ha detto infatti a chiare lettere a Bloomberg il Ministro delle Finanze Mark Brown – Non possiamo mantenere la nostra economia senza considerare la salute e la sicurezza delle nostre persone. Allo stesso modo, non possiamo mantenere il nostro sistema sanitario senza un’economia sostenibile”.


 Dal 19 giugno, comunque, il Paese ha deciso di “rilassarsi”, soprattutto perché la pandemia negli Stati più vicini e con maggiori legami politici ed economici sembra sconfitta, prima tra tutti la Nuova Zelanda, dove la Presidente Jacinda Ardern aveva annunciato la vittoria già a fine aprile e dove da 22 giorni permangono contagi zero.

 Nel piccolo e meraviglioso arcipelago del Pacifico inizia ora una nuova fase: ricostruire un’economia che, secondo gli esperti, avrà un arresto brusco e devastante, con un calo di produzione pari a circa il 60%, proprio a causa dei divieti al turismo internazionale. Ma il Primo Ministro Henry Puna non ha avuto dubbi e ha scelto. 


 ROBERTA DE CAROLIS