domenica 1 marzo 2020

Quando nel Sahara c’erano i pescatori e fiumi e laghi collegati col Nilo


Tra 10.000 e 5.000 anni fa, il Sahara non era un deserto, ma un territorio nel quale si alternava dune sabbiose costellate di piccoli laghi, a fiumi che scorrevano dalle montagne verso ampie pianure coperte da savana. 
Ed era densamente abitato, sia da animali selvatici, sia da comunità umane, prima di cacciatori-pescatori-raccoglitori, poi di pastori. Ora lo studio “Aquatic fauna from the Takarkori rock shelter reveals the Holocene central Saharan climate and palaeohydrography”, pubblicato su PLOS ONE da un team di ricercatori coordinato da Savino Di Lernia del dipartimento di Scienze dell’antichità dell’università La Sapienza di Roma, Andrea Zerboni del dipartimento di Scienze della Terra dell’università “A- Desio” Statale di Milano e del Dipartimento di scienze chimiche e geologiche dell’università degli Studi di Cagliari e Wim Van Neer dell’Institut royal des Sciences naturelles del Belgio, rivela che la fauna ittica rappresentava «Nel primo e medio Olocene, la maggior parte dei resti animali emersi nel riparo del Tarakori, nel Sahara centrale libico, rivelando così la predominanza del pesce nella dieta degli abitanti del Sahara di 10.000 anni fa» e fa luce sulle fasi del progressivo inaridimento nella regione.


Il team di ricercatori italo-belga, del quale facevano parte anche Francesca Alaique e Monica Gala del Museo delle Civiltà di Roma, Guido S- Mariani dell’”A. Desio”, spiegano che «Il deposito archeologico indagato – località privilegiata per comprendere la complessa interazione tra le comunità archeologiche sahariane e l’ambiente in cui vivevano – ha restituito migliaia di ossa di pesce, corrispondenti a specie diverse e a individui di grandi dimensioni, oltre un metro di lunghezza, paragonabili a quelli che oggigiorno vivono nel fiume Nilo o nei grandi laghi africani. 

Tutti i resti animali restituiti dal riparo del Takarori, più di 17.500, sono stati identificati come scarti alimentari, grazie ai segni di taglio e di cottura che presentavano; di questi, solo il 19% è costituito da mammiferi, uccelli rettili e molluschi (gli anfibi sono l’1% del totale) mentre il restante 80% è riconducibile alla fauna ittica».




Ma gli antichi cambiamenti climatici portarono a un cambiamento nella dieta dei nostri antenati sahariani con un forte calo dei pesci: «La datazione dei resti ha attestato la graduale riduzione della fauna ittica a favore dei mammiferi – dicono all’università La Statale – 
Dalla predominanza ittica pari al 90% tra gli anni 10.200-8.000, si è arrivati a circa il 40% di apporto ittico tra il 5.900-4.650; questo dato consente di apprezzare la progressiva affermazione della pastorizia nel Sahara, durante la quale la risorsa ittica ha gradualmente perso importanza, per scomparire intorno ai 5000 anni fa.

 L’analisi più approfondita della tipologia di fauna ittica ha poi consentito di delineare ulteriormente l’orizzonte temporale di questo passaggio, attraverso l’affermazione di una specie di pesce su un’altra. 
Nel loro insieme pesce gatto e tilapia costituivano la maggioranza tra i resti emersi; se però in una fase iniziale la tilapia è risultata la specie prevalente tra le due, i ricercatori hanno registrato nel periodo più recente, un’inversione di questa proporzione e il pesce gatto, che grazie al suo sistema respiratorio è grado di sopravvivere in acque poco ossigenate e a basso fondale, è diventato predominante: questa tendenza rappresenta un indizio prezioso nella ricostruzione del processo di progressivo inaridimento della regione e della sua successiva desertificazione».


Di Lernia evidenzia che «La presenza di specie tipiche dell’Africa orientale ha permesso di ricostruire la progressiva migrazione di pesci dal Nilo al centro del Sahara, avvenuta quando l’ambiente era più umido e offriva delle vie d’acqua tra loro connesse – spiega Savino di Lernia – e questo rende possibile ricostruire l’antico reticolo idrografico della regione Sahariana e la sua interconnessione con il Nilo, fornendo informazioni cruciali sui drammatici cambiamenti climatici che hanno portato alla formazione del più grande deserto caldo del mondo». 


 Fonte: welfarenetwork.it