giovedì 31 dicembre 2020

martedì 29 dicembre 2020

Pompei incanta di nuovo il mondo: scoperto un Termopolio straordinariamente intatto nella Regio V


 Non si stanca veramente mai di incantare il mondo lo scavo archeologico forse più famoso, quello di Pompei, antica città sepolta dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.. A seguito di lavori iniziati già nel 2019, riemerge ora in tutto il suo splendore il Termopolio della Regio V, una sorta di bar/ristorante dell’epoca, completo di decorazioni e utensili.

Come spiega Pompeii Sites, la struttura commerciale era stata studiata solo in parte nel 2019, durante gli interventi del Grande Progetto Pompei volti a stabilizzare e consolidare i fronti di scavo storici. Solo ora di scopre però il Termopolio praticamente intatto.

E dunque, vista l’eccezionalità delle decorazioni, si è deciso di ampliare il progetto e completare lo scavo del intera area, con l’obiettivo di ripristinare l’assetto completo del “ristorante”, che si trova nello spiazzo tra Vicolo delle Nozze d’Argento e Vicolo dei Balconi.


Alcune decorazioni erano state già ritrovate, tra le quali quella di una Nereide che cavalca un cavalluccio marino in ambiente marinaro sul fronte e un’illustrazione che probabilmente apparteneva al negozio stesso, come una sorta di marchio di fabbrica.

Ma ora anche l’ultima sezione del bancone ha rivelato altre squisite scene di natura morta, con raffigurazioni di animali che qui venivano probabilmente macellati e venduti. Frammenti ossei appartenenti agli stessi animali sono stati rinvenuti anche all’interno di contenitori incassati nel bancone, che contenevano derrate alimentari destinate alla vendita, come nel caso delle due anatre domestiche capovolte, pronte per essere cucinate e mangiate, un gallo e un cane al guinzaglio, probabilmente un vero e proprio Cave Canem, ‘Attenti al cane’.


“Oltre ad essere un altro spaccato della vita quotidiana di Pompei, le possibilità di studio di questo Termopolio sono eccezionali, perché per la prima volta un’area di questo tipo è stata scavata nella sua interezza, ed è stato possibile effettuare tutte le analisi che la tecnologia odierna permette – spiega Massimo Osanna, Direttore Generale ad Interim del Parco Archeologico di Pompei – I materiali scoperti sono stati infatti scavati e studiati sotto tutti i punti di vista da un team interdisciplinare composto da professionisti del settore di antropologia fisica, archeologia, archeobotanica, archeozoologia, geologia e vulcanologia. I reperti verranno ulteriormente analizzati in laboratorio, e in particolare si prevede che i resti rinvenuti nei dolia (contenitori di terracotta) del banco forniscano dati eccezionali per far capire cosa veniva venduto e com’era la dieta”.

Molto di più dunque di una curiosità archeologia: la scoperta promette di essere una via per una conoscenza più approfondita della vita dell’epoca (siamo nel I secolo d.C.).


Gli scavi hanno portato alla luce anche ossa umane, anche se trovate purtroppo disperse a causa delle gallerie scavate nel XVII secolo da scavi illegali alla ricerca di oggetti preziosi. Diversi frammenti, come confermano le prime analisi, appartengono a un individuo di almeno cinquant’anni, che, nel momento in cui è stato raggiunto dalle ceneri e dai lapilli, molto probabilmente si trovava in un giaciglio, come testimonia lo spazio riservato per riporlo e una serie di chiodi e residui di legno trovati sotto il corpo.

Altre ossa, ancora da indagare, appartengono invece ad un altro individuo, e sono state trovate all’interno di un grande dolium, forse dove furono collocate dai primi scavatori.

Lo scheletro completo di un cane è stato inoltre trovato nell’angolo tra le due porte del Termopolio (nell’angolo nord-occidentale della stanza). Non era un cane grande e muscoloso come quello raffigurato sul bancone, ma un esemplare estremamente piccolo, alto circa 20-25cm al garrese nonostante fosse un cane adulto. Anche se piuttosto rari, cani di taglia così piccola indicano che anche in epoca romana veniva praticata la selezione intenzionale.


giovedì 24 dicembre 2020

lunedì 21 dicembre 2020

La Grotta Chauvet in Francia: i temi delle pitture rupestri


 Siamo in Francia, nel dicembre 1994, Jean Marie Chauvet, speleologo, insieme a due amici perlustra una serie di siti e caverne nella zona di Ardèche, a Vallon-pont d’Arc, convinto di poter trovare qualcosa di archeologicamente interessante.

 Sembra un capriccio, ma J.M.Chauvet non viene smentito e scopre una meraviglia mai conosciuta e vista prima, la Grotta Chauvet o Grotta delle Meraviglie.

Fino a quel momento non si sapeva nulla di questa caverna, la sua scoperta si è rivelata un evento grandioso e significativo in campo archeologico. Ma perché è cosi importante?

Partiamo dalle origini della Grotta Chauvet:

Stiamo parlando di 500 metri di lunghezza all’interno della montagna. La caverna infatti fu scavata nei secoli dal fiume Ardèche, e le frane ne hanno impedito l’accesso per ben 20.000 anni!

 La bellezza di questo luogo è inspiegabile, ma il suo valore preistorico è unico, e vale la pena provare a descriverlo. I nostri antenati vivevano proprio qui all’epoca, in una zona come la tundra, desolata e fredda.


Le straordinarie pitture trovate all’interno della grotta risalirebbero a ben 30.000 anni fa, e sono il motivo del grande entusiasmo degli archeologi e storici. 

Decorano le pareti della grotta, e sono di certo la più antica e più raffinata manifestazione di arte pittorica rupestre conosciuta. Possiamo vantare la certezza di questa affermazione, grazie alle conferme che ci provengono dallo studio condotto da ricercatori dell’Université de Savoie/CNRS e dell’Aix-Marseille Université

Il sito rappresenta un’eccellenza, in quanto, i temi pittorici rappresentati al suo interno non si riscontrano in alcun altro sito di arte rupestre del Paleolitico.


I temi sono diversi, ma vi troviamo in prevalenza animali come, iene, renne, bisonti, mammut, gufi,  felini enormi, rinoceronti, leoni, orsi, cervi, cavalli.

 Le figure hanno un elevato dinamismo, ma molte sono abbozzate, e ciò contribuisce a darne un indole magica ed eccitante.

 Usualmente, siamo abituati ad immaginare le pitture ripresti come disegni estremamente arcaici, privi di ogni senso realistico, eppure in questa grotta è incredibile come gli animali sembrino uscire dalla roccia stessa, o rientrarvi grazie a dei sorprendenti e forse anche inconsapevoli giochi di luce.


Proprio per tale motivo, la qualità delle tecniche degli artisti nella grotta Chauvet è considerata l’esempio più esaltante dell’arte del Paleolitico superiore. Ma nella grotta non c’è solo quanto detto: rinveniamo anche ossa di animali e qualche teschio, probabilmente usato come sacrificio divino in un rito.


Il momento più interessante per gli archeologi, oltre al valore estetico di queste pitture, è sicuramente la fase di interpretazione di queste.

Le ipotesi sui significati delle pitture rupestri sono il mezzo migliore che possiamo usare, per poter capire meglio lo stile di vita dei nostri antenati.

Inizialmente, si ipotizzò fossero opera di soggetti iniziati ai culti, convinti che le grotte fossero luoghi di creature mostruose, potenti e stregate.

Di conseguenza, forse un incontro con queste creature rappresentava prove di coraggio, qualificando la persona come adulta, idonea alla caccia e a procreare.

 Il segno del coraggio e del passaggio alla vita adulta spesso era rappresentato da una ferita di circoncisione per gli uomini, da parte di creature che personificavano il leone; ciò creava le basi per l’attività sessuale e per la caccia agli animali, proprio le attività indispensabili ad assicurare la sopravvivenza a lui e al suo clan.


Tra le ipotesi più discusse, questa sembra essere l’interpretazione più attendibile per una serie di successive e più approfondite analisi. Scopriamo perché: esiste all’interno della grotta una sorta di sala più interna, infatti chiamata la Sala del Fondo, che proprio per la sua posizione avrebbe potuto rappresentare il cardine del percorso di iniziazione

Qui c’è una figura con corna frontali: sembrerebbe un bisonte e qualcuno l’ha chiamato lo Stregone della grotta.


Di fronte invece, ci ritroviamo un pendente dalla palese forma fallica, proprio davanti ad una cavità invece di forma vaginale. Questa chiara mescolanza di forme maschili e femminili, dunque, ci rimanda all’ipotesi formulata da speleologi e archeologi.

 Una terza creatura, forse un leone, unisce la donna a quella sorta di bisonte, che rimanda invece al cerchio “vita-morte” che abbiamo tentato di ricostruire. 

Il leone, per tutti i periodi storici, dalla preistoria al medioevo, fino all’epoca moderna, è sempre stato un giudice di morte e portatore di vita, ma anche di rinascita.


Il tratto più suggestivo e anche simpatico emerge da alcuni disegni che riproducono le mani di un individuo, probabilmente lo stesso che ha prodotto tutte le pitture presenti nella grotta. Infatti c’è la traccia di un suo lieve difetto fisico, il quinto dito della mano destra che ha falangina leggermente curvata verso l’interno.


La grotta è un sito di estrema delicatezza, miracolosamente conservato grazie ai materiali naturali prodotti dalle frane, per cui, non è visitabile per non danneggiare alcun millimetro di questo grande tesoro. 

Negare però al pubblico una risorsa simile sarebbe un limite enorme: per questo è stata aperta al pubblico la replica perfettamente identica della Grotta Chauvet-Pont d’Arc. 

È il più grande duplicato di grotta paleolitica mai realizzato al mondo. Tutti gli elementi geologici ed artistici, quindi stalagmiti, stalattiti, formazioni rocciose, pitture e incisioni rupestri, sono stati riprodotti in un ambiente sotterraneo identico all’originale.

 La cura con la quale si è portato avanti questo magnifico progetto è degna di grande ammirazione da parte di tutta l’Europa.

Fonte: lacooltura.com

venerdì 11 dicembre 2020

Newgrange: in Irlanda l’immenso sepolcro più antico delle piramidi d’Egitto


 Nella vicina Inghilterra ancora non c’era traccia del gigantesco anello di megaliti che oggi conosciamo come Stonehenge, il più suggestivo e misterioso monumento preistorico della Gran Bretagna. Nel lontano Egitto la Piramide di Cheope era molto di là da venire: fu costruita sei secoli dopo Newgrange (Brú na Bóinne in lingua irlandese), una grande tomba risalente all’incirca al 3200 a.C, che domina un complesso neolitico tra i più importanti d’Europa.


Nella verde Irlanda, gli uomini del neolitico trovarono qualche forte motivazione per impegnarsi nella costruzione di monumenti rituali che devono aver richiesto uno sforzo enorme, sia in termini di tempo, sia di lavoro. Perché oltre a Newgrange, altre tombe ugualmente imponenti, e con la stessa struttura, si possono trovare in un territorio che oggi occupa diverse contee.

E’ verosimile che chi ha costruito Newgrange abbia avuto una forte influenza in aree estese dell’Irlanda, ma al di là della capacità costruttiva e degli scopi rituali che possono averli animati, di questi straordinari architetti della preistoria non si sa praticamente nulla.

Il professor Muiris Ó  Súilleabháin, della Scuola di Archeologia dell’Università di Dublino, li definisce “estremamente sfuggenti”, perché non è rimasto niente che possa testimoniare la vita quotidiana di quei costruttori di tombe: “Non ci sono prove di un insediamento su larga scala che spiegherebbe l’organizzazione e il grado di sofisticazione mostrate nelle tombe”.


Newgrange è un esempio notevole di “tomba a corridoio”: un gigantesco tumulo di forma circolare, contenuto da un muro di ciottoli di quarzo bianco e granito, provenienti anche da luoghi molto lontani, con un tetto di erba verde.

76 metri di diametro per un’altezza di 12 e complessivi 4500 metri quadrati: sono le dimensioni del gigantesco tumulo, che copre un corridoio lungo 19 metri, in fondo al quale si allarga una camera con tetto a volta, da dove si aprono altre tre stanze più piccole.



Resti umani di diverse persone, cremati e non, sono stati trovati all’interno delle camere piccole, ma questo non significa che Newgrange fosse una semplice tomba collettiva.

Quasi certamente per il popolo che costruì il tumulo (e gli altri simili), il sole aveva una parte fondamentale nei riti religiosi: l’ingresso alla tomba è allineato con il sorgere del sole nel giorno del solstizio d’inverno.


Cinquemila anni fa, esattamente all’alba di ogni 21 dicembre (oggi avviene circa 4 minuti dopo), attraverso un’apertura posta sull’ingresso, chiamata tettuccio, la luce inondava la camera interna, facendo risplendere le incisioni sulle pietre e illuminando il corridoio per circa 17 minuti.


Era il segno tanto atteso che finalmente i giorni avrebbero ricominciato lentamente ad allungarsi, portando alla ciclica rinascita dei campi e della vita.

Il luogo di culto di Newgrange fu probabilmente abbandonato già verso la fine del neolitico, anche se tornò probabilmente in uso nei primi secoli dopo Cristo, tanto che all’interno sono stati trovarti reperti di epoca romana (320/337 d.C.).

Poi tutti si dimenticarono della grande tomba, che fu ritrovata per caso nel 1699. Nessuno, nel corso dei decenni e dei secoli successivi riuscì a dare delle risposte alle tante domande che il tumulo faceva sorgere: era opera dei fenici, oppure dei visitatori romani che adoravano Mitra (l’Irlanda non fu mai annessa all’Impero Romano), o forse erano arrivati in Irlanda gli antichi egizi, o i meno lontani Vichinghi?

Solo gli scavi compiuti dal professor Michael O’Kelly, tra il 1962 e il 1975, hanno in gran parte risolto il mistero. Fu lui ad accorgersi, il 21 dicembre 1967, che i lontanissimi antenati neolitici avevano voluto onorare il sole e i loro morti con una costruzione che impressiona ancora oggi, dopo cinquemila anni. Perché il ciclo della vita e della morte, il rincorrersi delle stagioni in un continuo addormentarsi e risvegliarsi, sono immutabili e immutati .

Fonte: vanillamagazine.it

martedì 8 dicembre 2020

Il “volo” del Botafumeiro, il grande incensiere di Santiago de Compostela


 Uno dei simboli più famosi e internazionalmente riconoscibili della Cattedrale di Santiago de Compostela è il Botafumeiro, si tratta di un incensiere di imponenti dimensioni che si muove nella cupola centrale della Cattedrale.

Grazie a un sistema di carrucole e pulegge, otto uomini chiamati “tiraboleiros” fanno oscillare verso le navate laterali e lungo tutta la navata centrale questo grande incensiere che pesa 53 chilogrammi e misura un metro e mezzo.

 Durante il momento in cui il Botafumeiro asperge i fedeli con l’incenso, sospeso a circa 20 metri d’altezza, la sua velocità può raggiungere quasi i 70 chilometri orari e lasciare letteralmente senza fiato gli astanti con il suo volo iperbolico.


La prima fonte documentaria che cita il Botafumeiro è una nota marginale del Codex Calixtinus, del XIV secolo dove è chiamato “Turibulum magnum” che con tutta probabilità rappresenta il primo degli incensieri che si sono avvicendati nel corso dei secoli.

Uno dei più noti è quello regalato dal re francese Luigi XI nel XVI secolo e che era stato realizzato completamente in argento; probabilmente proprio il suo grande valore lo rese oggetto dell’interesse dell’esercito napoleonico che lo rubò nel 1809.
Il Botafumeiro che viene utilizzato oggi nelle funzioni religiose risale al 1851 è stato costruito in ottone e argento ad opera di Josè Losanda, ed è quello che viene utilizzato regolarmente; ma dopo il furto avvenuto durante l’occupazione francese del principale ne è stata realizzata una replica in argento.


Non sempre il suo funzionamento fu così perfetto, nel corso della storia, infatti, sono diverse le testimonianze che segnalano i difetti di gestione dell’incensiere: nel 1610, il pellegrino Diego de Guzman scriveva nel suo diario che il Botafumeiro toccava regolarmente la struttura della cattedrale “dando colpi alle volte alte”; e in diverse altre occasioni, in effetti, sappiamo che l’incensiere arrivò a sganciarsi dai suoi ingranaggi.

Il primo scopo del Botafumeiro non era di natura religiosa, poiché veniva utilizzato per coprire i cattivi odori dei pellegrini che giungevano alla Cattedrale di Santiago de Compostela dopo mesi di intenso cammino.
Solo più tardi assunse la sua funzione liturgica a simboleggiare la vera attitudine del credente che, analogamente a quanto accade con il fumo dell’incenso che sale in cima alle navate, profonde le sue preghiere con intensità così che salgano al cuore di Dio.

Il suo aroma ha, infatti, un riconoscibile significato simbolico connesso con la preghiera e con la purificazione spirituale: “Come incenso salga a te la mia preghiera” (Salmo 141:2).


Fonte : meteoweb.eu

 

martedì 1 dicembre 2020

La scienza svela cosa si nasconde dietro 2 Mummie scoperte nel 1615


 Circa 2.000 anni fa tre persone morirono e vennero mummificate, finendo poi sepolte nella necropoli di Saqqara.

 Due delle mummie vennero scoperte nell’ormai lontano 1615, mentre un’altra, quella di una ragazza, è stata svelata in epoca più recente.

 I loro volti furono dipinti nelle assi di legno che ricoprivano la mummia, similmente ai ritratti del Fayyum, e ci mostrano l’aspetto dei defunti quando erano ancora in vita.

Grazie alla tomografia computerizzata, ovvero a una TAC su corpi ormai antichissimi, sono emersi particolari interessanti riguardo le mummie, particolari inimmaginabili sino a quando non sono stati svelati.


Tutte e tre le mummie risalivano all’epoca romana dell’Egitto, fra il 30 a.C. e il 395 a.C., e avevano età simili tra loro:

  • Tra i 30 e 40 anni la donna, alta 151 centimetri
  • Tra i 25 e 30 anni l’uomo, alto 164 centimetri
  • Tra i 17 e 19 anni la ragazza, alta 156 centimetri

Stephanie Zesch, antropologa ed egittologa tedesca, spiega: “E’ probabile che a nessuna di queste mummie siano stato rimossi il cervello e gli organi interni. Siamo sicuri che i loro corpi si siano preservati e siano riusciti a sopravvivere fino a oggi grazie a una semplice tecnica di disidratazione, dove si utilizzava il natron (un particolare tipo sale)”.


L’ipotesi della mummificazione per disidratazione e della non asportazione degli organi è confermata dalla mummia della ragazza, che presenta sia un tumore benigno alla spina dorsale sia residui dei suoi organi.

 Gli adulti non presentano tracce così evidenti di organi e tessuti organici, e di loro sono ormai rimaste soltanto le ossa.

Le tre persone sepolte inoltre dovevano essere membri abbienti della società, perché portavano con sé collane e monete d’oro e diversi altri gioielli.


Le mummie dei due adulti furono scoperte nel 1615 da un compositore italiano, Pietro della Valle (1586-1652), che si trovava a passare dall’Egitto durante il pellegrinaggio verso la terra santa.


A Saqqara scoprì questi corpi e decise di portarli con sé in Europa, a Roma, precisamente, considerando la scoperta come un miracolo legato al suo viaggio. Gli Europei dell’epoca videro, per la prima volta, dei ritratti appartenenti a delle mummie morte nel periodo romano dell’Antico Egitto. I reperti passarono di mano in mano sino a giungere in Germania, dove sono state infine analizzate e da dove abbiamo scoperto (alcuni) dei loro segreti.

Fonte: vanillamagazine.it