lunedì 29 giugno 2020

La leggenda della "barca di San Pietro"


Il culto di San Pietro risale al Medioevo quando i monaci Benedettini lo diffusero in territorio lombardo; nell’ottocento era popolare la leggenda secondo cui «nel giorno di San Pietro debba seguire temporale, perché il diavolo promette alla di lui madre di uscire dall’ inferno per quell’ anniversario», per questo motivo molti pescatori durante questa notte non escono in barca per timore di burrasche e temporali. 

In altri luoghi invece si pensa che questa notte sia proficua per la pesca, in altri ancora si narra ai ragazzi che le acque del lago siano infide perché la madre di San Pietro pretenderebbe un sacrificio umano, sempre la madre del santo è protagonista di altre leggende che la vedono invece benevola nei confronti dei raccolti perché nei periodi di siccità provvederebbe il 29 giugno a far cadere la pioggia per salvarli. 

 Oltre a queste leggende e storie che si tramandano oralmente ce n’è una che affascina particolarmente grandi e piccini e si tratta della barca di San Pietro che appare per “magia” la notte tra il 28 e 29 giugno, un’usanza figlia del Nord d’Italia ma che che si sta espandendo un po’ ovunque.


Il 28 giugno prendete un vaso o una damigiana senza paglia, o una bottiglia l’importante è che sia di vetro e leggermente panciuta, versatevi dentro acqua fredda, meglio se di fonte e riempitela per metà, ora con molta delicatezza dovrete far scivolare nell’acqua l’albume di un uovo. 
 Senza sbattere il contenitore portatelo all’aperto, meglio sotto un albero o in mezzo ad un prato, ma va bene anche il davanzale di casa; lasciatelo aperto tutta la notte in modo che la rugiada faccia la sua magia. 

 La mattina controllate il vostro contenitore, noterete che l’albume ha assunto una forma molto particolare, i filamenti bianchi che si saranno formati durante la notte avranno l’aspetto di alberi maestri, e di vele spiegate e la forma che assume sembra proprio quella di una barca. 


 A seconda della forma delle vele i contadini prevedevano le condizioni del tempo: le vele aperte indicavano la venuta del sole mentre le vele chiuse e sottili, l’arrivo della pioggia.

 Si narra che quando nell’acqua si forma un bel veliero sia un buon auspicio per ottimi raccolti nell’arco dell’annata. 

L’effetto del veliero si vedrà fino a mezzogiorno, poi lentamente si dissolverà.


Secondo tradizione questa forma assunta dalla chiara dell’uovo è la barca di San Pietro, che alla vigilia della festa ha voluto mostrare la sua vicinanza ai suoi fedeli, in altri paesi si narra invece che sia la barca dell’apostolo Pietro, pescatore e traghettatore di anime, usata per diffondere nel mondo la fede di Cristo; in altri ancora si tramanda la storia che questa barca sia quella che Pietro ha usato per scendere all’ inferno e liberare la madre e accompagnarla in cielo.

 Nel bergamasco si legge in maniera un po’ diversa l’oracolo dell’albume, se esso forma una barca con vela la sposa avrà un figlio e la zitella troverà marito.


 Ma perché si forma questa barca di San Pietro la notte del 29 giugno?
 In realtà si formerebbe anche il giorno prima o il giorno dopo, perché le condizioni per cui questo fenomeno accada sono simili nei giorni intorno a quella data, sole caldo di giorno e temperature ancora fresche e umide di notte.
 Siccome la densità della chiara dell’uovo è di poco superiore a quella dell’acqua, essa tende ad affondare e rimanere sul fondo; l’acqua fredda raffredda il contenitore che a contatto con la superficie calda dal sole della terra o del davanzale della finestra subirà un trasferimento di calore formando dei moti convettivi, cioè l’acqua riscaldata dalla terra tenderà ad andare verso l’alto, il problema avviene quando incontra la resistenza della chiara dell’uovo che tenderà a trascinare con se e quindi a formare la famosa barchetta.
 Quindi è facile intuire come più la giornata abbia scaldato la terra più la barchetta assumerà una forma più complessa.


Ora che sapete la sua storia, le sue leggende e la sua spiegazione scientifica, non vi resta che provare a realizzare la vostra Barca Di San Pietro ma perché abbia un significato magico è meglio rispettare le tradizioni e porre in giardino il vaso con l’albume la notte di San Pietro e Paolo, e poi molte persone affermano che “leggendo” le figure che si formano si ha una lettura del futuro, c’è chi ha intravisto l’argomento della sua tesi di laurea, chi ha intuito la sua sorte futura e chi spera sempre di vedere quello che vorrebbe realizzare… e questo è un buon inizio per qualcosa che sta a cuore.

 Fonte: eticamente.net

domenica 28 giugno 2020

In Slovenia c’è un mondo incantato sotterraneo dominato da due draghi bianchi


Nascosto tra le Alpi e il mare Adriatico si trova un luogo magico. Un mondo sotterraneo modellato dall'acqua in milioni di anni, in cui vivono due piccoli draghi bianchi.


Potrebbe sembrare una favola, e invece questo posto esiste davvero: stiamo parlando delle grotte di Postumia, in Slovenia. Qui, sottoterra, scorrono fiumi, s'innalzano montagne e sfreccia anche la prima ferrovia sotterranea del mondo, inaugurata nel 1872.


Il simbolo della grotta è una immensa stalagmite bianca brillante, alta oltre cinque metri, chiamata non a caso Brilliant.
 Ma è solo una delle meraviglie di Postumia, che è quasi integralmente ricoperta da un sottile strato di flowstone, pietre di flusso composte da depositi simili a fogli di calcite che donano a tutta la grotta un aspetto luccicante.

 Ma la vera attrazione del sito sotterraneo sono i baby dragons, due piccoli draghi con degli insoliti ciuffi rossi, occhi che non si vedono e quattro piccole zampette. 
Le loro fattezze sono decisamente differenti rispetto all'immaginario collettivo, ma non per questo meno affascinanti.


Questi piccoli draghi sono in realtà dei Proteus Anguinus, un anfibio endemico delle acque sotterranee che scorrono nell'altopiano carsico che vive più di 100 anni ma che è in grado di non mangiare anche per 12 anni consecutivi e di riprodursi ogni dieci.

 I cuccioli della grotta slovena sono nati nel 2016. 
I primi quattro anni della loro vita l'hanno trascorsa in un nido segreto e ora è la prima volta che il pubblico li potrà ammirare da dietro un vetro, ma solo poche persone al giorno.





Fonte: lastampa.it

mercoledì 24 giugno 2020

La tomba di una giovane guerriera Scita sembra confermare l’esistenza delle Amazzoni


Quando l’archeologo russo Vladimir Semyonov aprì quell’antica tomba quasi non riusciva a credere ai propri occhi: il cadavere parzialmente mummificato custodito all’interno era talmente ben conservato da mostrare ben visibile una verruca sul viso.

 Era il 1988 quando l’archeologo, insieme alla collega Marina Kilunovskaya, trovò la sepoltura di un giovane guerriero del popolo degli Sciti, nell’attuale repubblica di Tuva, in Siberia. Kilunovskaya racconta oggi la sua emozione all’apertura della tomba: “E’ stato così sorprendente quando, appena aperto il coperchio, ho visto la faccia, con quella verruca, che sembrava davvero impressionante.”


I ricercatori stimarono che si trattasse dei resti di un ragazzo di circa 12/13 anni, sepolto con tutte le sue armi: un’ascia, un arco in betulla lungo un metro e una faretra con dieci frecce di diverso tipo.


Nella tomba non ci sono perle, specchi od ornamenti femminili, come si addice a un giovane maschio di quel bellicoso popolo nomade, di cui si sa molto poco.
 Ne parla lo storico greco Erodoto, e i suoi racconti sono sempre sembrati molto frutto di fantasia.
 Li descrive come abilissimi (e feroci) arcieri che bevono il sangue dei nemici e prendono come trofeo i loro scalpi, mentre la pelle dei cadaveri viene usata per rivestire le faretre. 

Sempre secondo Erodoto, gli Sciti usano gettare dei semi di canapa su pietre roventi poste all’interno di una tenda di feltro, per poi respirare i vapori e urlare di gioia. 
 Questa usanza veniva ritenuta un’invenzione dello storico, ma in realtà scoperte archeologiche recenti suffragano il racconto: semi di canapa, bracieri, treppiedi, e pietre, rinvenuti insieme, raccontano che Erodoto non si era inventato nulla.
 Sembra ipotizzabile che Erodoto non si sia inventato nulla (almeno nella sostanza se non nell’origine mitica) nemmeno quando racconta delle Amazzoni, che colloca proprio nella Scizia, dove sarebbero emigrate dopo essere state sconfitte dai guerrieri greci. 

In quella terra lontana, tra le montagne del Caucaso, le amazzoni si uniscono, anche carnalmente, ai guerrieri sciti, dando origine al popolo dei Sarmati.
 Le donne combattono a cavallo insieme agli uomini, indossano gli stessi abiti e rimandano il matrimonio fino a che non hanno ucciso un nemico in battaglia.


 I resti di quell’adolescente, ritrovati nel 1988, sembrano oggi confermare le storie di Erodoto, perché non si tratta di un giovane adolescente ma della mummia di una ragazza: le analisi paleogenetiche, condotte nel laboratorio di genetica storica dell’Istituto di fisica e tecnologia di Mosca, hanno prodotto un risultato straordinario.
 L’adolescente sepolta con il suo corredo di armi è una giovane amazzone di circa 14 anni, morta all’incirca 2.600 anni fa. 

La sua bara, ricavata da un unico pezzo di legno, si trovava sepolta a circa mezzo metro sotto terra, orientata verso su-ovest.
 La ragazza indossava una pelliccia a doppio petto lunga fino al ginocchio, fatta con le pelli di piccoli roditori cucite insieme, e un berretto di pelle colorato con un pigmento rosso.
 Della camicia e dei pantaloni rimane poco o nulla.


Oggi tuttavia, al di là degli oggetti trovati nella tomba, l’entusiasmo dei ricercatori è dovuto sopratutto alla scoperta del genere della mummia, che pare confermare non solo i racconti di Erodoto, ma anche quelli del medico greco Ippocrate, vissuto all’incirca tra il 460 e il 377 a.C. 
 Nel suo racconto, le donne scite rimangono vergini guerriere fino a quando non hanno ucciso tre nemici in battaglia. 
Solo quando hanno assolto a questo compito possono sposarsi, ma dopo il matrimonio devono abbandonare l’attività guerresca. 

 A conferma dell’esistenza delle donne guerriere scite, che sempre più spesso vengono indicate come discendenti delle mitiche amazzoni, ci sono stati altri ritrovamenti: a gennaio 2020, in una tomba scavata nella regione russa di Voronezh, sono stati rinvenuti i resti di quattro donne di età diverse sepolte insieme, risalenti al IV secolo a.C. 
Nel corredo funerario c’erano, tra le altre cose, punte di freccia, imbracature per cavalli, coltelli, ma anche gioielli e un prezioso copricapo miracolosamente integro.


 Dopo Omero, che canta le loro gesta nell’Iliade, passando per Eschilo, Erodoto, Ippocrate, il geografo Strabone e poi ancora Plutarco e molti altri autori greci (che non amano le Amazzoni, antitesi perfetta del loro ideale di donna), le antiche donne guerriere riemergono dalle nebbie del mito ed entrano di fatto nella storia, a dimostrazione di quanto c’è ancora da scoprire del nostro passato.

 Fonte: vanillamagazine

domenica 21 giugno 2020

Il Ponte del Diavolo


Il Ponte della Maddalena, conosciuto come Ponte del Diavolo, è una delle costruzioni più originali di tutta la Toscana e si trova a Borgo a Mozzano, tra Lucca e la Garfagnana. 

 Il suo profilo singolare, con la grande arcata a tutto sesto affiancata agli altri tre archi minori, ha ispirato numerosi artisti e fatto fiorire leggende sulla sua costruzione. 
Il suo aspetto slanciato, che tuttora colpisce chi lo ammira, doveva essere ancora più suggestivo in passato, quando non era stata ancora costruita la diga che dal secondo dopoguerra ha innalzato il livello dell'acqua nei pressi del ponte.


Secondo la leggenda il ponte fu costruito da San Giuliano che, non riuscendo a completarlo per l'eccessiva difficoltà, chiese aiuto al diavolo in persona, promettendogli in cambio l'anima del primo essere vivente che vi fosse passato sopra.

 Una volta terminato il ponte, San Giuliano vi tirò sopra un pezzo di focaccia, attirandovi un cane e beffando così Satana.


 Le notizie storiche certe sulla costruzione del ponte sono scarse. Nicolao Tegrimi, nella sua biografia di Castruccio Castracani, ne attribuisce la costruzione a Matilde di Canossa (1046-1125) e riferisce di un restauro da parte di Castruccio Castracani (1281-1328).
 Secondo le ipotesi di Massimo Betti, durante il governo di Castruccio sono stati realizzati in muratura gli archi minori del ponte, sostituendo precedenti strutture in legno. 
Ciò spiegherebbe la differenza tra l'arco maggiore e quelli minori, e anche la diversa pendenza della via sul lato sinistro del ponte, costruito a partire dall'arco preesistente.



Fonte: visittuscany

A Londra riaffiora il “Red Lion”, il più antico teatro elisabettiano


Una picconata di troppo, ed ecco che Londra ha fatto un salto indietro di oltre cinquecento anni fino a giungere ai tempi del primo teatro elisabettiano costruito nella capitale inglese.

 E’ quanto accaduto pochi giorni fa durante alcuni lavori all’interno di un cantiere nella zona di Whitechapel, quando di fronte agli operai sono apparsi dei resti di quello che fin da subito è sembrata essere un’antica costruzione. 
 Giunti sul posto gli esperti archeologi, la prima impressione è stata quella di aver trovato i resti della più antica struttura elisabettiana conosciuta ad oggi. 
 Per l’esattezza, il primo teatro costruito appositamente per ospitare rappresentazioni artistiche, considerato il prototipo di quel teatro che venne poi costruito nei decenni successivi sul quale vennero messe in scena le prima opere di un giovane William Shakespeare.




Il nome che venne datto alla struttura è “Red Lion” e secondo i primi rilievi potrebbe essere stato realizzato intorno al 1567. Probabilmente ospitò molti gruppi di attori in viaggio, come era solito accadere in quei tempi, quando ancora non erano molto comuni le compagnie stabili. 

 A costruirlo fu John Brayne, che nove anni dopo si dedicò al più famoso teatro, realizzato nell’attuale area di Shoreditch, insieme al collega James Burbage, il padre dell’attore elisabettiano Richard Burbage. 

Il teatro fu la prima casa permanente per le compagnie di recitazione e le rappresentazioni teatrali di Shakespeare nel 1590. Dopo una disputa fu smantellato e i suoi legni furono usati nella costruzione del più famoso Globe on Bankside.


La stampa britannica ha dedicato molto spazio alla scoperta e alla conferma, da parte degli archeologi dell’University College London, che quelle pietre appartengono con ogni probabilità proprio al “Red Lion”, un edificio che rappresentava finora un anello mancante nella storia del teatro inglese. 

 La vita dell’edificio come teatro non fu lunga, riferiscono gli storici: a quanto pare, non più di una decina di anni.

 Nel frattempo la tradizione dei teatri a tema aveva preso piede, e il Red Lion divenne probabilmente nel tempo un luogo in cui si facevano combattere i cani, anche a giudicare dai molti scheletri di quadrupedi reperiti durante gli scavi.


Proprio negli ultimi decenni Londra sta riscoprendo il suo passato glorioso grazie proprio a questi eventi occasionali. 
Come nel caso dell’antico anfiteatro romano rimasto sepolto per secoli fin quando è stato casualmente scoperto durante alcuni lavori di ristrutturazione al palazzo che ospita la galleria d’arte nell’omonima Guildhall Yard. 

 Una scoperta che ha continuato a solidificare gli antichi legami tra l’Impero Romano e quella che sarà poi Londra, attraverso anche altri ritrovamenti unici come sono state le antiche tavole in legno dei primi decenni dopo la nascita di Gesù o come il Tempio di Mitra risalente al III secolo dopo Cristo.

martedì 16 giugno 2020

Crimea, il "Nido delle rondini"


Il “Nido delle rondini”, conosciuto anche come Swallow's Nest castle, è una fortezza decorativa situata poco distante da Yalta, nella penisola di Crimea.
 Appollaiato su una scogliera di quaranta metri affacciata sul Mar Nero è uno dei luoghi più visitati dell’Ucraina.


Si tratta di un castello gotico in miniatura, una struttura di piccole dimensioni che colpisce per la sua scultura neogotica e soprattutto per la splendida posizione panoramica che domina il promontorio di Ai-Todor. Nonostante l'edificio, opera dell'architetto russo Leonid Sherwood, misuri soltanto 20 metri in lunghezza e 10 metri in larghezza, è sicuramente una delle attrazioni turistiche più popolari della Crimea.


La storia del Nido di Rondine inizia nel 1895, quando era solo una piccola casetta di legno sulla cima della scogliera, costruita per un vecchio generale russo. Era chiamato "Castello dell'Amore", ma ben presto la proprietà passò a un medico della Corte dello zar, e successivamente alla moglie di un commerciante che lo trasformò in un castello dall’aspetto architettonico medievale. Nel 1911 il barone tedesco von Steingel, un industriale che aveva fatto fortuna grazie al petrolio del mar Caspio, acquistò la struttura realizzando il vero e proprio edificio di pietra in stile gotico che vediamo oggi.


Nel 1914, con l’inizio della Prima Guerra Mondiale, il barone decise di vendere il castello a un ristoratore.

 Alla sua morte il ristorante fu chiuso e poi utilizzato come sala di lettura dalla vicina colonia marina.
 In seguito, nel 1927, il castello sopravvisse a un fortissimo terremoto e nonostante non vennero riscontrati gravi danni strutturali, l’intero edificio fu ritenuto pericoloso e chiuso al pubblico per i successivi quarant'anni.

 Oggi il “Nido delle rondini” è completamente restaurato e nella sua parte anteriore è tornato a ospitare un rinomato ristorante italiano con una magnifica e impareggiabile vista sul mare.

 Fonte: mybestplace.

domenica 14 giugno 2020

Dubai ed Abu Dhabi: le metropoli sospese tra presente e futuro


Cresciute dalla sabbia come fiori di cemento, circondate dal deserto eppure così vive e dinamiche, Dubai ed Abu Dhabi svettano verso il cielo in una gara con se stesse ed il mondo. 
Tutto qui è così esageratamente grande, scenografico, progettato per stupire che è inevitabile sentirsi piccoli ed esplorare queste città con la meraviglia negli occhi.

 Un viaggio tra la modernità del presente, le ambizioni del futuro e le tradizioni millenarie del popolo islamico.


Il presente si concretizza negli alti edifici, nelle grandi autostrade e nell’incredibile melting pot di popoli che abitano questo pezzo di terra.

 Emirati, europei, americani, orientali: in queste città c’è una rappresentanza di ogni popolo del mondo, che convive serenamente con i propri vicini. 
 Il presente si fonde però inevitabilmente col passato, non attraverso edifici storici come siamo abituati nella nostra quotidianità, bensì con le tradizioni legate alla religione.

 Gli immensi centri commerciali dove tutto è consumismo, si fermano cinque volte al giorno per ringraziare Dio, mentre la grande moschea di Abu Dhabi, una costruzione estremamente recente, con i suoi marmi bianchi e decorazioni dorate evoca un passato mitico legato alle suggestive atmosfere de “Le Mille e una Notte”.




Il futuro è invece rappresentato dai mille cantieri di queste città; si percepisce come tutto sia in divenire. 
Nuovi grattacieli si alzano veloci ogni giorno verso il cielo ed i grandiosi progetti per il futuro si vedono nei plastici futuristici che si trovano all’interno degli edifici e dei centri commerciali e si sentono dai racconti delle persone.

 Il futuro per gli Emirati è anche grande consapevolezza: il petrolio finirà e per evitare che si sgretolino le città che sono sorte e vivono con lui e grazie a lui, sono stati sviluppati progetti innovativi sulle energie rinnovabili, per far sì che tutto questo mondo continui a vivere nel futuro.



Fonte:mybestplace.com

Nelle isole Cook la salute viene prima dell’economia: così il Paese è libero dal coronavirus


Stop all’economia, nelle isole Cook la salute viene prima. E funziona, perché il Paese non ha nemmeno un caso di coronavirus. Chiuse tutte le frontiere, crolla il turismo, si blocca tutto, ma anche la diffusione dell’infezione. 
Una decisione quanto mai coraggiosa. 
 Le isole Cook sono un vero e proprio paradiso del Pacifico, in libera associazione con la Nuova Zelanda (secondo lo statuto possono divenire del tutto indipendenti in qualsiasi momento con un atto unilaterale). 
Per natura, straordinaria bellezza e posizione la loro economia dipende quasi esclusivamente dal turismo. Ma il Governo non ci ha pensato due volte: ha chiuso tutte le frontiere (salvo quelle con la Nuova Zelanda, comunque con controlli), arrestando di fatto il PIL. Ma anche il coronavirus: ad oggi, infatti, il Paese non ha registrato nemmeno un caso positivo tra i suoi 15.200 abitanti (dati 2018) sparsi nelle sue 15 isole. 

 Facile chiudere le frontiere, tracciare tutti e non far entrare il virus per un piccolo Paese? Più a dirsi che a farsi. Perché, quando l’economia dipende quasi esclusivamente da quelle frontiere, la scelta resta comunque difficile e i problemi da affrontare enormi.


“La nostra salute ed economia devono andare avanti insieme – ha detto infatti a chiare lettere a Bloomberg il Ministro delle Finanze Mark Brown – Non possiamo mantenere la nostra economia senza considerare la salute e la sicurezza delle nostre persone. Allo stesso modo, non possiamo mantenere il nostro sistema sanitario senza un’economia sostenibile”.


 Dal 19 giugno, comunque, il Paese ha deciso di “rilassarsi”, soprattutto perché la pandemia negli Stati più vicini e con maggiori legami politici ed economici sembra sconfitta, prima tra tutti la Nuova Zelanda, dove la Presidente Jacinda Ardern aveva annunciato la vittoria già a fine aprile e dove da 22 giorni permangono contagi zero.

 Nel piccolo e meraviglioso arcipelago del Pacifico inizia ora una nuova fase: ricostruire un’economia che, secondo gli esperti, avrà un arresto brusco e devastante, con un calo di produzione pari a circa il 60%, proprio a causa dei divieti al turismo internazionale. Ma il Primo Ministro Henry Puna non ha avuto dubbi e ha scelto. 


 ROBERTA DE CAROLIS

sabato 13 giugno 2020

Da Parco a Lago, da Lago a Parco: la reversibilità della Natura


Albert Einstein sosteneva che ogni cosa che puoi immaginare, la natura l’ha già creata.
 In effetti non possiamo dargli torto! 
Anche la più difficile “metamorfosi” da parco a lago, da lago a parco, l’opera meravigliosa della natura l’ha già compiuta.
 Dove? In Austria, nella località di Tragöß, nella regione della Stiria. 

 Provate a chiudere gli occhi solo per un istante: immaginate di essere seduti su una roccia… Attorno a voi solo natura a 360° fatta di alti abeti che sembrano voler toccare il cielo, vette rocciose che si stagliano nell’azzurro, infiniti sentieri trekking che si snodano nel bosco ed un piccolo laghetto chiamato Grüner See o Green Lake. 
Apriteli lentamente: davanti a voi una distesa d’acqua, un meraviglioso lago verde smeraldo che arriva ad accarezzare la roccia su cui siete seduti…


In questo luogo particolare, immerso tra le montagne carsiche austriache, con l’alternarsi delle stagioni, accade qualcosa di unico e di particolare.

 In primavera, l’acqua della neve sciolta, confluisce in una conca che durante l’anno è uno splendido parco e si trasforma in un lago dalle meravigliose acque limpide. 

Puntuale e regolare, quando la neve si scioglie, l’acqua sommerge il manto erboso, facendo raddoppiare le dimensioni del bacino, da 2.000 a oltre 4.000 metri quadrati.




In questa stagione, appassionati sub, si recano a Green Lake per scoprire un mondo sommerso fatto di ponti, panchine e sentieri trekking, assaporando la bellezza di un’immersione “con gli scarponi”. 

 Ma attenti: se vi recate dopo fine luglio, potrete trovare la sorpresa di non scorgere più il lago, ma uno splendido e lussureggiante parco, poiché le acque del lago si dissolvono grazie all’opera di un piccolo fiume che lascia defluire le sue acque. 

 Qualsiasi sia la vostra idea di vacanza, se decidete di regalarvi un soggiorno a Tragöß, ricordate di mettere nello zaino, scarponi da trekking, muta, bombola e una buona macchina fotografica







Fonte: ecobnb.it

mercoledì 10 giugno 2020

L’incredibile scultura “vivente” dei Giardini perduti di Heligan che cambia aspetto in base alle stagioni


Nella selvaggia penisola della Cornovaglia c’è un luogo in cui si respira un’atmosfera epica e misteriosa: i Giardini perduti di Heligan. 
In lingua cornica il termine heligan indica il salice piangente, una delle numerosissime piante che ospita il complesso di giardini.
 Ma ciò che affascina di più i visitatori sono le enormi sculture presenti nell’area, tra cui spicca la meravigliosa Ragazza di Fango (in inglese Mud Maid).


Questo posto, che sorge nel villaggio di Pentewan, era considerato nel XIX secolo uno dei più bei giardini dell’Inghilterra. 

La realizzazione degli splendidi giardini risale alla fine del Settecento e si deve alla famiglia nobile Teyman, ma con l’arrivo della Prima guerra mondiale, l’area verde (che all’epoca si estendeva su 400 ettari) fu abbandonata e cadde in rovina. 

 I Giardini perduti di Heligan sono stati riscoperti e rivalorizzati soltanto negli anni Novanta grazie ad un grandioso lavoro che il Times ha definito “il progetto di restauro del secolo”. 
 Oggi questo luogo suggestivo si estende su un’area di circa 80 ettari ed è suddiviso in più zone: The productive garden, The Pleasure Grounds, The Italian Gardens e The jungle.

 Tutti i giardini originali realizzati dalla famiglia Teyman sono ritornati al loro antico splendore, mentre il bosco di rododendri e camelie è diventato Patrimonio Nazionale. 


Passeggiando per i Giardini perduti di Heligan ci si imbatte in alcune sculture giganti, ma quella che colpisce più di tutte è chiamata Mud Maid.
 Si tratta di un’opera realizzata nel 1998 da due artisti locali, i fratelli Pete e Sue Hill. La scultura che ritrae la ragazza di fango è considerata “vivente”.
 Il suo aspetto, infatti, varia in base alle stagioni.
 La chioma e gli abiti cambiano nel corso dei mesi; in alcuni periodi è spoglia, mentre in altri si ricopre di erba, edera, muschio e neve.

 La ragazza di fango è stata creata a partire da una struttura cava in legno e una rete ricoperta di fango, mentre il viso è stato modellato con cemento e sabbia.

 Questo suggestiva scultura immersa nella natura è indubbiamente una tappa obbligata per chi visita i Giardini di Heligan.





ROSITA CIPOLLA

giovedì 4 giugno 2020

I Pilastri della Lena , l'imponente cresta calcarea della Siberia


I Pilastri della Lena sono una magnifica formazione geologica che si innalza lungo il corso del fiume Lena nella Repubblica di Sakha, situata nella parte orientale della Siberia.
 Questi spettacolari pilastri, che in russo vengono chiamati Lenskiye Stolby, raggiungono anche i 300 metri d'altezza e sono il risultato del processo di erosione iniziato ben 500 milioni di anni fa.

 La bellezza di questa foresta di pietra ha dato vita al Lena Pillars Nature Park, un territorio protetto oggi inserito nella lista del Patrimonio dell'umanità dell'Unesco. 

Una distesa di rocce calcaree costituite da marna, dolomite e ardesia che si mostra in tutto il suo imponente splendore correndo sulla sponda del fiume per oltre 40 chilometri.


Una zona impervia e selvaggia, caratterizzata da escursioni termiche in grado di passare dai 60° sotto zero dell’inverno ai 40° dell’estate. 

Tra queste profonde gole create dall’alternanza dello scioglimento e del congelamento dell'acqua, dove in passato sono stati rinvenuti i resti di ossa di animali preistorici come mammut, bisonti e altri mammiferi ormai estinti, oggi vivono zibellini, orsi, scoiattoli, alci e oltre 100 specie di uccelli.
 Qui crescono anche 21 specie di piante rarissime e il fiume vanta oltre 31 specie di pesci.




Il Parco Naturale dei Pilastri della Lena si trova a circa 200 km da Yakutsk, una città portuale che si raggiunge da Mosca con un volo di circa 7 ore. 
Una volta arrivati a Yakutsk, per ammirare al meglio questo straordinario capolavoro della natura, ci si può affidare alle numerose crociere organizzate sul fiume. 
Tutte le imbarcazioni offrono cabine dotate del massimo comfort, ma si può scegliere di partire anche in elicottero, un viaggio veloce di appena un’ora, ma molto costoso. 

 Fonte: mybestplace.com

martedì 2 giugno 2020

A giugno potrai vedere un’eclissi anulare solare e un’eclissi lunare


L’estate ci saluta con una meravigliosa eclissi di Sole, visibile anche nelle nostre regioni del Sud (anche se per noi sarà solo parziale). 

Il 21 giugno occhi al cielo (protetti con adeguati filtri) per uno spettacolo che è sempre emozionante poter ammirare.
 Il tutto “anticipato” dall’eclissi penombrale di luna del 5 giugno. Non è un caso: le eclissi di Sole non vengono mai da sole, ma sempre circa due settimane prima o dopo un’eclissi lunare. 
Di solito ci sono due eclissi consecutive, ma altre volte ce ne sono addirittura tre durante la stessa stagione di eclissi. 
E sarà proprio questo il caso, perché un’altra eclissi penombrale di Luna è prevista il 5 luglio. 

 E così, dopo l’eclissi penombrale di luna prevista per il 5 giugno, ecco immancabile l’eclissi di Sole, di tipo anulare, il 21 del mese (appena qualche ora dopo il solstizio d’estate), che nelle nostre regioni del Sud potrà essere ammirata dal vivo, anche se solo parziale.

 In Africa, Arabia Saudita, India, Cina e Oceano Pacifico lo spettacolo sarà al completo: i fortunati che si troveranno in quelle zone della Terra ammireranno l’emozionante anello di fuoco, l’eclissi anulare di Sole.


L’eclissi anulare di Sole è un’eclissi di Sole a tutti gli effetti, quindi dovuta alla luna, posta in mezzo tra Sole e Terra con tutti e tre gli astri perfettamente allineati che proietta la sua ombra sul nostro Pianeta, dal quale vedremo la nostra stella oscurata (se con allineamento non perfetto, solo in modo parziale).

 Si parla però di eclissi anulare quando la Luna è particolarmente lontana da noi: nei giorni intorno al 21 giugno il nostro satellite si troverà più vicino al suo apogeo (il punto di massima distanza dalla Terra): per questo il Sole non sarà del tutto oscurato, ma apparirà coperto solo per gran parte del disco centrale, lasciando scoperta la parte esterna. 

Risultato? Un incredibile e affascinante anello di fuoco nel firmamento.

 Come riporta Timeanddate, lo spettacolo sarà visibile nella sua interezza in alcune zone dell’Africa tra cui la Repubblica Centrafricana, il Congo e l’Etiopia, nel sud del Pakistan, nell’India settentrionale e in Cina. 
Se il tempo lo permette, le persone in queste aree vedranno dunque il caratteristico anello di fuoco.

 Il fenomeno sarà visibile parzialmente invece in Europa sud-orientale (incluso il nostro Paese, sempre a Sud-Est), gran parte dell’Asia, Australia settentrionale, gran parte dell’Africa, Oceano Pacifico e Oceano Indiano. 

 ROBERTA DE CAROLIS