giovedì 31 ottobre 2019

L’affascinante storia del colore bianco degli abiti da sposa


I matrimoni contemporanei sono spesso un simbolo di amore tra la sposa e lo sposo, ma durante la maggior parte della storia le unioni erano spesso un affare fra due famiglie.

 Gli abiti da sposa costituivano una vetrina dello status sociale della famiglia della sposa, che andava presentata sotto la migliore luce per attestare il livello economico delle famiglie coinvolte.
 L’abito, in realtà, altro non era che il miglior vestito da cerimonia che aveva a disposizione la ragazza, anche se era di colore scuro, diverso dall’abito da sposa bianco che va tanto di moda durante la nostra epoca.

 Durante lunghi periodi storici infatti molte donne nel giorno delle nozze indossavano un abito nero, naturalmente non un abito da sposa corto in pizzo ma lunghi e coprenti vestiti in grado di nascondere ogni parte del corpo.
 In genere si tendeva a evitare soltanto alcuni colori, fra cui il verde che veniva considerato “sfortunato”, mentre il blu era uno di quelli più in voga perché rappresentava purezza, pietà e attaccamento alla Vergine Maria.
 Oltre alle ragioni più spirituali, il blu aveva il pregevole vantaggio di nascondere perfettamente le macchie e le imperfezioni, e poteva essere indossato più volte senza essere lavato. 

 Nonostante ci siano diversi esempi di spose vestite in bianco a partire già dal 1406, quindi ancora in epoca medievale, la svolta per l’abito cangiante fu il matrimonio del 1840 della Regina Vittoria con suo Cugino Alberto, che decretò l’inizio di una tradizione che dura a tutt’oggi.


Il suo magnifico abito bianco ispirò migliaia di spose, che si vestirono di bianco imitando la monarca inglese.

 Un decennio più tardi il Godey’s Lady’s Book, una delle prime riviste femminili negli Stati Uniti, dichiarò il bianco come la tonalità più adatta all’abito da sposa.

 Da metà ‘800 in poi le spose sono state vestite con abiti bianchi realizzate con le migliori qualità di tessuto. 
Il bianco però era un colore duro da ottenere e difficile da conservare, e solo le donne delle classi sociali più abbienti potevano permettersi un tale lusso.

 L’abito bianco subì una forte frenata durante la Grande Depressione, quando un’economia più instabile spinse moltissimi a scegliere un abito che avrebbe potuto esser riutilizzato più volte. Passata la Grande Depressione e poi la Seconda Guerra Mondiale, il bianco tornò in voga, e divenne popolarissimo in seguito al matrimonio di Grace Kelly con il Principe Ranieri di Monaco, nel 1956.


Il bianco non è un colore universale, e le spose asiatiche indossano spesso un colore rosso o bianco-rosso perché auspica una buona sorte alla coppia. 

Nei matrimoni in Giappone gli abiti vengono cambiati spesso dalla sposa, e sono tutti colorati.



Fonte: vanillamagazine.it

mercoledì 30 ottobre 2019

Scoperti tunnel segreti dei templari sotto la città israeliana di Acri. Forse c’è anche un tesoro


Una spedizione di archeologi guidata dall'esploratore Albert Lin della National Geographic ha scoperto sotto la città portuale di Acri, in Israele, una fitta rete di tunnel segreti utilizzata dai cavalieri templari al tempo della Terza Crociata o Crociata dei re (1189 – 1192). 
Alcuni di questi tunnel sono già noti da molto tempo, ma quelli appena individuati sono sepolti e non sono mai stati esplorati dagli studiosi.

 Lin e colleghi hanno rilevato anche una casa di guardia e i resti di una torre ad essa associata.
 Forse si tratta della famosa torre del tesoro, dove i membri dell'ordine religioso cavalleresco trasferivano oro dal porto, proprio passando attraverso i tunnel segreti. 

 Per scoprire questa meraviglia archeologica, sepolta sotto metri di terra e roccia, il dottor Lin e colleghi si sono avvalsi della più moderna tecnologia applicata alle scienze. Nello specifico hanno sfruttato la LiDAR, acronimo di Laser Imaging Detection and Ranging, una tecnica di telerilevamento che attraverso impulsi laser permette di scrutare sotto la superficie senza dover scavare.


Il famoso ordine dei cavalieri templari (Pauperes commilitones Christi templique Salomonis) si stabilì nella città di Acri – conosciuta anche come Tolemaide – per un centinaio di anni; vi arrivò attorno al 1.190 dopo Cristo, in seguito alla sconfitta del loro centro di comando a Gerusalemme per mano dei soldati guidati da Saladino.

 Il nuovo quartier generale dell’ordine religioso, nato dopo la Prima Crociata per proteggere i pellegrini europei in visita alla Terra Santa, fu costruito proprio ad Acri. 
Qui i cavalieri rimasero fino al 1291, quando furono costretti a trasferirsi a Limassol sull’isola di Cipro. 

 Oltre al quartier generale, si ritiene che sotto la città di Acri vi fosse anche la torre con il leggendario tesoro dei templari; potrebbe essere proprio quella rilevata dalla tecnologia LiDAR, utilizzata per non compromettere l’integrità dei monumenti storici della città israeliana. 

Al momento non sono ancora previsti scavi per accedere ai tunnel e alle altre costruzioni sotterranee individuate, ma è possibile che una spedizione venga organizzata in futuro.
 Gli scienziati guidati dal dottor Lin hanno utilizzato i dati laser per ricostruire al computer in 3D la fitta rete di tunnel dei templari. I dettagli di questa affascinante scoperta sono stati rilasciati durante una puntata della serie di documentari “Lost Cities” della National Geographic. 

 Fonte: scienze.fanpage.it

lunedì 28 ottobre 2019

Podostroma cornu-damae, il corallo mortale


Corallo di fuoco avvelenato è il nome comune di un fungo mortale (il Podostroma cornu-damae) che di corallo ha solo l'aspetto.

 Già noto agli esperti, fa notizia il luogo del suo ultimo ritrovamento: una foresta pluviale appena fuori Cairns, cittadina australiana, a migliaia di chilometri cioè dalle montagne di Corea e Giappone che si riteneva fossero il suo habitat naturale.
 La scoperta, ad opera di un appassionato, conferma definitivamente che il P. cornu-damae non è endemico di Corea e Giappone, ma può crescere naturalmente anche altrove.


Matt Barrett, micologo della James Cook University (Australia), spiega che questa specie di fungo può causare una "orribile varietà di sintomi" se ingerito, inclusi vomito, diarrea e febbre.
 La morte sopraggiunge rapidamente a seguito del collasso degli organi interni e dei danni cerebrali.


 Descritto per la prima volta nel 1895, sono noti numerosi decessi in Corea e Giappone - perché può essere scambiato per un fungo utilizzato nella medicina tradizionale. 

 Oltre a essere mortale se ingerito, il P. cornu-damae è tossico al solo contatto: le tossine assorbite attraverso la pelle provocano dermatiti e reazioni allergiche. «La maggior parte dei funghi, anche l'amanita falloide, possono essere maneggiati senza rischi.
 Il corallo di fuoco avvelenato no, non deve essere neppure sfiorato», afferma Barrett. 

Prima di questo avvistamento, il fungo era stato segnalato a Giava (Indonesia) e in Papua Nuova Guinea. 

 Fonte: www.focus.it

giovedì 24 ottobre 2019

Ruota degli Esposti a Forcella e Basilica della Santissima Annunziata Maggiore


Nel centro storico di Napoli, a Forcella, sorge la settecentesca Basilica della Santissima Annunziata Maggiore, un’imponente capolavoro dall’aspetto tardo-barocco, legata alla Ruota degli Esposti. 
Napoli ha un legame particolare con questo luogo proprio perché dalla storia della ruota nasce il cognome napoletano più diffuso: Esposito.


Un grande complesso monumentale, realizzato nel XIII secolo dagli Angioini rimaneggiato nel Cinquecento e ampliato nel Settecento, dall’architetto Luigi Vanvitelli e dal figlio Carlo, costituito in origine, oltre che dalla chiesa, da un ospedale, un convento ed un conservatorio. 

L’istituzione, che ancora oggi ospita l’ospedale ginecologico e pediatrico, accoglieva anche creature che venivano abbandonate da famiglie povere o da madri che li avevano concepiti di nascosto.


I bambini abbandonati venivano introdotti in una specie di tamburo di legno di forma cilindrica e suddiviso in due parti, previdentemente chiuso da uno sportello: la prima rivolta verso l’interno e la seconda verso l’esterno. 
Tale meccanismo permetteva alle persone, senza che nessuno potesse vederle, di depositare i propri neonati. 

Il trapasso attraverso il pertugio trasformava il bambino in figlio della Madonna (‘o figliu d’ ‘a marònna). 

 Per un eventuale successivo riconoscimento da parte di chi l’aveva abbandonato, venivano inseriti nella ruota assieme al neonato monili, documenti con i nomi dei genitori o altri segni di riconoscimento.

 Al di sopra della ruota degli esposti, vi era un puttino di marmo con la scritta: “O padre e madre che qui ne gettate / Alle vostre limosine siamo raccomandati“.




Dalla Sacra Ruota degli Esposti ha origine il più noto cognome dei napoletani: Esposito ( da Esposti, degli Esposti ). 

Anche se la ruota fu chiusa definitivamente nel 1875, per diversi anni i piccoli continuarono ad essere esposti, nottetempo, sui gradini della chiesa.


 Ancora oggi, a via dell’Annunziata a sinistra dell’arco cinquecentesco d’ingresso, è ancora possibile vedere la ruota degli esposti, ovviamente non più in funzione, mentre gli ambienti interni sono stati restaurati e resi visitabili.


All’interno della Basilica è presente lo Succorpo Vanvitelliano,una piccola chiesa sotterranea, indipendente dalla principale, realizzata nel ‘700 in coincidenza della maestosa cupola e la Cappella Carafa, che ha conservato marmi e monumenti sepolcrali del XVI secolo. 


 Ai piani superiori, dove si trovano le abitazioni delle suore, è custodita una statua della Madonna che ha le fattezze di una bambola di porcellana e porta del lunghi boccoli biondi fatti di capelli veri

 Annualmente (ogni 25 marzo) viene condotta giù nella chiesa affinché le siano cambiate le scarpine consumate. 
La credenza sostiene, infatti, che l’Annunziata, cammini di notte sfamando i poveri e gli orfanelli e portando conforto a tutti. 

Fonte: napoli-turistica.com

lunedì 21 ottobre 2019

Almeno 20 bare colorate e ben conservate scoperte nell'antica necropoli egiziana


La scoperta di almeno 20 sarcofagi egiziani molto colorati e ben conservati è stata descritta dagli esperti come “una delle scoperte più grandi e importanti che siano mai state annunciate negli ultimi anni”.
 I sarcofagi sono stati trovati nella necropoli di El-Assasif vicino a Luxor ed erano state riposte su due livelli con un sarcofago posto sopra l’altro. 
Sono tutti ancora sigillati e nella posizione in cui sono stati posizionati originariamente, ognuno ben conservato con colori vibranti e iscrizioni complete ancora visibili. 
Non è ancora chiaro a quale epoca appartengano o chi potrebbe essere sepolto al loro interno, ma l’area in cui sono state trovate ha ospitato alcuni dei leader più famosi dell’antico Egitto.


El-Assasif è una necropoli in Cisgiordania a Tebe in Egitto.
 Questa regione è conosciuta come Alto Egitto e contiene sepolture di tre dinastie che regnarono nell’antico Egitto tra il 1550 e il 525 a.C. 

La prima, la 18esima Dinastia d’Egitto, tra il 1550 e il 1292 aC., era anche conosciuta come la dinastia dei Thutmosid ed era governata da alcuni dei più famosi faraoni egiziani, tra cui Tutankhamon , Hatshepsut e Akhenaton.
 In particolare, questa era aveva anche due donne che governavano come faraoni ed è stata classificata come la prima dinastia del Nuovo Regno d’Egitto. 
 La 25esima dinastia, nota anche come la dinastia nubiana o dell’impero kushita, era governata da una stirpe di faraoni provenienti dal Regno di Kush in quello che oggi è il nord del Sudan e avvenne tra il 744 e il 656 aC. 
In seguito  la 26esima dinastia , chiamato anche il periodo Saite, fu l’ultima dinastia di egiziani a governare prima dell’invasione persiana, comandando nella regione tra il 664 e il 525 a.C.


Negli ultimi anni, il Ministero delle Antichità egiziano ha scoperto una miriade di sepolture in tutto il paese. 
A maggio, i funzionari hanno scoperto un cimitero di 4.500 anni fa situato nella periferia del Cairo, che ospitava alcuni ricchi e potenti sepolti in Egitto accanto a manufatti sontuosi. 
Solo due mesi prima, l’agenzia aveva annunciato il recupero di uno scheletro non datato, ma antico, di una ragazza adolescente situato vicino a una piramide di 4.600 anni. 
Gli scavi subacquei di luglio di due città sottomarine hanno rivelato una tesoro in oro, ceramiche e templi, mentre ad aprile sono state scoperte decine di mummie egiziane in una tomba 

Tratto da www.iflscience.com

venerdì 18 ottobre 2019

Nuova eccezionale scoperta a Pompei: trovato l’affresco dei gladiatori combattenti


Uno straordinario e ben conservato affresco raffigurante dei gladiatori combattenti è stato scoperto dagli archeologi nell’antica città romana di Pompei.
 La scena dell’affresco raffigura la fine di un combattimento tra due tipi di gladiatori, un Mirmillone e un Trace, distinguibili dalle diverse armature, in cui uno vince e l’altro soccombe. 

 È l’ultima scoperta a Regio V, un sito di 21,8 ettari a nord del parco archeologico che non è ancora stato aperto al pubblico. L’affresco è stato trovato su una parete sotto delle scale di quella che probabilmente era una taverna frequentata dai gladiatori e che forniva anche alloggio al piano superiore per farli dormire con le prostitute.


“E’ molto probabile che questo luogo fosse frequentato da gladiatori”, ha affermato Massimo Osanna, direttore generale del parco archeologico di Pompei. 

“Siamo nella Regio V, non lontani dalla caserma dei gladiatori da dove, tra l’altro, provengono il numero più alto di iscrizioni graffite riferite a questo mondo”. 

 “In questo affresco”, continua Osanna, “di particolare interesse è la rappresentazione estremamente realistica delle ferite, come quella al polso e al petto del gladiatore soccombente, che lascia fuoriuscire il sangue e bagna i gambali.

 Non sappiamo quale fosse l’esito finale di questo combattimento. Si poteva morire o avere la grazia.
 In questo caso c’è un gesto singolare che il trace ferito fa con la mano, forse, per implorare salvezza; è il gesto di ad locutia, abitualmente fatto dall’imperatore o dal generale per concedere la grazia”.


In tutto il parco è stato svolto un gran lavoro, che ha favorito l’arrivo di quasi 4 milioni di visitatori all’anno dal 2013, da quando, cioè, l’Unesco ha minacciato di inserire Pompei in nella lista dei siti in pericolo del patrimonio mondiale a meno che il governo non avesse migliorato la sua conservazione. 


 “Il sito archeologico di Pompei, fino a qualche anno fa, era conosciuto nel mondo per la sua immagine negativa: i crolli, gli scioperi e le file dei turisti sotto il sole”, ha detto il Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo, Dario Franceschini, “Oggi è una storia di riscatto e di milioni di turisti in più. Oggi è un sito accogliente, ma soprattutto è un luogo in cui si è tornati a far ricerca, attraverso nuovi scavi. La scoperta di questo affresco dimostra che davvero Pompei è una miniera inesauribile di ricerca e di conoscenza per gli archeologi di oggi e del futuro”. 

 Fonte: keblog.it

martedì 15 ottobre 2019

Machu Picchu è stata costruita volutamente dagli Incas in un’area altamente sismica


Durante il GSA Annual meeting conclusosi a Phoenix, in Arizona, il geologo brasiliano Rualdo Menegat, del Departamento de Paleontologia e Estratigrafia, Universidade Federal do Rio Grande do Sul, ha presentato la relazione “How Incas used geological faults to build thei settlements” secondo la quale l’antico santuario Inca di Machu Picchu, considerato una delle meraviglie architettoniche dell’umanità, la città nascosta costruita in una remota area andina in cima a una stretta cresta, in alto sopra un canyon che precipita in un fiume, sarebbe stato costruito volutamente in un’area a fortissimo rischio sismico. 


 Machu Picchu è famoso per la sua perfetta integrazione con il paesaggio spettacolare che l’ha nascosta ai conquistadores spagnoli, ma la posizione della città/santuario ha a lungo sconcertato gli scienziati: perché gli Incas hanno costruito il loro capolavoro in un posto così inaccessibile? 
La ricerca di Menegat suggerisce che la risposta potrebbe essere legata alle faglie geologiche che si incrociano sotto il sito e da una dettagliata analisi geo-archeologica viene fuori che gli Incas avrebbero costruito intenzionalmente Machu Picchu, come altre loro città, in luoghi in cui si incontrano faglie tettoniche.
 Menegat è convinto che «La posizione di Machu Pichu non è una coincidenza. 
Sarebbe impossibile costruire un sito del genere in alta montagna se il substrato non fosse fratturato».


Utilizzando una combinazione di immagini satellitari e misure sul campo, Menegat ha mappato una fitta rete di fratture e faglie che si intersecano sotto il sito peruviano patrimonio mondiale dell’Unesco e a sua analisi indica che queste caratteristiche variano ampiamente: «Alle minuscole fratture visibili nelle singole pietre ai grandi allineamenti di 175 chilometri che controllano l’orientamento di alcune delle valli fluviali della regione». 

Menegat ha scoperto che queste fratturazioni «Si verificano in diversi insiemi, alcuni dei quali corrispondono alle principali zone di faglia responsabili del sollevamento delle Ande centrali negli ultimi 8 milioni di anni. 
Poiché alcuni di questi difetti sono orientati a nord-est-sud-ovest e altri a nord-ovest-sud-est, creano collettivamente una forma a “X” dove si interseca sotto Machu Picchu»
 La mappatura del ricercatore brasiliano suggerisce che le suddivisioni urbane della città/santuario Inca e i campi agricoli circostanti, ma anche i singoli edifici e le scale, siano tutti orientati lungo queste tendenze: 
«Il layout riflette chiaramente la matrice della frattura alla base del sito – ha detto Menegat – Anche altre antiche città Inca, tra cui Ollantaytambo, Pisac e Cusco, si trovano all’intersezione di faglie, ognuna è precisamente l’espressione delle direzioni principali dei difetti geologici del sito».

 I risultati dello studio di Menegat indicano che la rete di faglie e fratture sottostante alla città sacra è parte integrante della costruzione di Machu Picchu quanto le sue leggendarie pietre che stanno insieme senza malta e così perfettamente montate che è impossibile far scivolare tra di loro una carta di credito.

 Menegat spiega che «Come capimastri, gli Incas hanno approfittato degli abbondanti materiali da costruzione nella zona di faglia. 
L’intensa fratturazione ha predisposto le rocce a rompersi lungo questi stessi punti di debolezza, riducendo notevolmente l’energia necessaria per scolpirle».






Oltre a contribuire a modellare le singole pietre, la rete di faglie di Machu Picchu probabilmente offriva agli Incas altri vantaggi, secondo Menegat «Il principale tra questi era una fonte d’acqua disponibile. 
Le fratturazioni tettoniche dell’area hanno incanalato l’acqua di fusione e l’acqua piovana direttamente nel sito. La costruzione del santuario in un crinale così in alto ha anche avuto il vantaggio di isolare il sito da valanghe e frane, rischi fin troppo comuni in questo ambiente alpino».

 Le falde e le fratture sotto Machu Picchu hanno anche contribuito a drenare il sito durante gli intensi temporali della regione amazzonica peruviana: «Circa i due terzi dei lavori di costruzione del santuario hanno comportato la costruzione di drenaggi sotterranei – conclude Menegat – 
Le fratture preesistenti hanno aiutato questo processo e hanno contribuito alla sua notevole conservazione. Machu Picchu ci mostra chiaramente che la civiltà Inca era un impero di rocce fratturate». 

 Fonte: greenreport.it

venerdì 11 ottobre 2019

Il mistero del limpidissimo lago giapponese sempre ricoperto dalla nebbia


Così cristallino da essere uno dei laghi più chiari del mondo. Peccato che per la maggior parte del tempo sia coperto dalla nebbia e dalle nuvole.
 Una «maledizione» che rende il lago Mashu uno dei luoghi mistici del Giappone. 

 Siamo nel Parco nazionale Akan-Mashu, sull'isola di Hokkaido, e questo lago non è nient'altro che una una caldera nata settemila anni fa da un'eruzione vulcanica.
 Al suo centro si trova un'isoletta, che in realtà è quello che resta del vulcano, ormai spento.

 Camminare sulle rive del lago Mashu è severamente proibito dal Ministero dell'Ambiente giapponese: non tanto perché è considerato sacro dagli indigeni giapponesi Ainu ma per motivi di sicurezza.
 I suoi bordi sono frastagliati e si sbriciolano facilmente. 
E la nebbia fitta fa il resto, alimentando il suo antico intrigo.




Il lago è ricoperto dalla nebbia più di 100 giorni all'anno. Ed è inutile dire che l'inaccessibilità stia contribuendo a preservare le sue acque incontaminate, con una visibilità da 20 a 30 metri.

 La popolazione Ainu chiamava questo lago «Mashinko» che significa lago del diavolo. 
Gli abitanti del luogo credono che le divinità del lago Mashu siano in grado di influenzare le nostre vite e che la nostra sorte dipenda da com'è il giorno in cui si osserva il lago, se è nebbioso o sereno.


La caldera è enorme. E visto che non ci si può avvicinare, per ammirarla sono state create delle terrazze panoramiche. 
Due si trovano sul lato ovest del lago; una terza, meno conosciuta, si trova ad est ed è la più vicina alle acque mistiche del lago, tanto da essere considerata un luogo di pace e riflessione. 

 Fonte:lastampa.it

giovedì 10 ottobre 2019

Un tempio di Tolomeo IV ad Afroditopoli


La costruzione di un impianto fognario a Tama, in Egitto, ha portato alla luce un tempio ellenistico di 2.200 anni.
 Finora sono stati scavati solo due muri, ma i cartigli hanno già identificato il nome di Tolomeo IV, il quarto faraone dell’Egitto tolemaico (221-204 a.C.). 

Qui sorgeva Afroditopoli (l’egizia Wadjet), la capitale del decimo distretto dell’Alto Egitto.
 La scoperta è stata fatta nel villaggio di Kom Ishqau, nel comune di Tama. 

Il segretario generale del Consiglio supremo delle antichità (SCA) Mostafa Waziri ha dichiarato che i lavori, iniziati lo scorso Settembre, sono stati interrotti e che una missione archeologica è stata incaricata di scavare le rovine. 
La squadra ha scoperto due muri e l’angolo sud-occidentale del tempio, decorato con incisioni del dio egizio Hapi – il dio della fertilità della terra e delle inondazioni annuali del Nilo. 
Hapi è raffigurato mentre porge offerte rituali, circondato da uccelli e altri animali. 
Altre iscrizioni menzionano invece Tolomeo IV, il quarto faraone della dinastia tolemaica in Egitto. 

I Tolomei erano Greci macedoni che governarono in Egitto dal 305 a.C. al 30 a.C., assumendo spesso i simboli reali e religiosi dei precedenti sovrani egizi.








Tolomeo IV, figlio di Tolomeo III e Berenice II, governò dal 221 a.C. al 204 a.C.

 Secondo gli storici, il declino della dinastia tolemaica in Egitto iniziò proprio con lui. 
Fanatico del culto dionisiaco, era più interessato al lusso e all’intrattenimento che a gestire il regno, e probabilmente ne lasciò gran parte della gestione a due ambiziosi sacerdoti di nome Agatocle e Sosibio.
 Ciononostante, nel 217 a.C. vinse la battaglia di Rafah contro l’impero Seleucide di Antioco III ed evitò di perdere la Celesiria (la regione tra Libano e Siria): fu una delle battaglie più grandi dell’antichità e forse quella che coinvolse più elefanti da guerra, almeno 175. 

Il regno affrontò in seguito gravi crisi interne e la ribellione del popolo egizio. 
Quando Tolomeo IV morì per cause ignote nel 204 a.C., Agatocle e Sosibio fecero assassinare la sua sposa-sorella Arsinoe III e presero il potere facendo da reggenti al giovane Tolomeo V, di 5 anni. 

 Fonte: ilfattostorico.com

mercoledì 9 ottobre 2019

Trovata al largo di Maiorca nave affondata 2000 anni fa piena di antico “ketchup romano”


Al largo della costa di Maiorca è stato rinvenuto un relitto in perfette condizioni, con 100 anfore contenenti alimenti come il garum, il cosiddetto “ketchup romano“, destinati alla capitale dell’Impero. 

Si tratta di un piccolo relitto, la cui missione principale era il trasporto di cibo dalla costa spagnola a Roma. 
Tuttavia, all’epoca, qualcosa è andato storto, la nave infatti è affondata con tutto il suo contenuto. 

 Duemila anni dopo, però, è stata recuperata in perfette condizioni e con le iscrizioni intatte grazie al lavoro dell’Instituto Balear de Estudios de Arqueología Marítima.

 Il contenuto del relitto è molto prezioso, sono state trovate 100 anfore perfettamente sigillate con cibo all’interno destinato a raggiungere la capitale dell’impero.
 Cosa contenevano esattamente? 
Olio d’oliva, vino e garum, una salsa a base di pesce molto apprezzata a Roma e conosciuta oggi popolarmente tra gli storici come “ketchup romano”. 
Si trattava di una preparazione con cui condire il cibo, realizzata da budello di pesce messo in una grande ciotola e mescolato con una serie di spezie aromatiche e molto sale per poi lasciarlo asciugare per diversi mesi all’aperto .
Quando la miscela fermentava, il liquido veniva filtrato e si utilizzava per gli stufati.


Il garum trovato nelle anfore, rimasto per tutti questi secoli sul fondo del mare, è ovviamente cristallizzato ed è pertanto necessario eseguire un procedimento per riportarlo allo stato originario. 
Solo tra un paio di mesi gli esperti potranno vedere il contenuto così come si presentava all’epoca in cui la nave stava tentando di trasportare il cibo a Roma. 

 Le buone condizioni delle anfore, vasi tradizionali con due manici e un collo stretto, permetteranno loro di essere esposte nel museo della città, ma la loro rilevanza è maggiore considerando proprio che gli archeologici sono stati in grado di recuperare il loro contenuto intatto. 

 Gli esperti ritengono che la nave non sia affondata durante una tempesta ma a causa di una manovra sbagliata che avrebbe causato una perdita nello scafo. 
Questa teoria è la più plausibile dato l’ottimo grado di conservazione in cui è stato trovato il suo carico. 
In caso contrario, infatti, questo sarebbe stato disperso e spezzato in diverse parti. 

 Francesca Biagioli

lunedì 7 ottobre 2019

Uluru chiude ai turisti ma i 50 mila bulbi di luce che lo illuminano rimarranno per sempre


A tempo indeterminato.
 Il suggestivo campo di luci che illumina Uluru, l'enorme monolite sacro del deserto rosso australiano, rimarrà per sempre. 

L'artista Bruno Munro ha creato un incantevole allestimento con 50 mila bulbi ad energia solare che di notte trasformano il parco nazionale di Uluru-Kata Tjuta in una tavolozza di colori. L'installazione sarebbe dovuta rimanere fino al 31 marzo 2019 ma, visto il successo, è stata prima prorogata sino al 31 dicembre 2020 e ora - grazie ad un riallestimento da un milione di dollari - potrà rimanere lì per sempre, cambiando così i progetti che prevedevano di ripiantare i fiori di vetro in giro per il mondo.




I bulbi ad energia solare sono stati collegati a chilometri di fibra ottica che garantiranno continuità, permettendo così all'opera di Munro di brillare ancora a lungo.

 Ormai da tre anni, quando il sole tramonta, la duna rocciosa sacra agli aborigeni s'illumina di mille colori. 
Una vista spettacolare, che giustifica appieno il suo titolo «Tili Wiru Tjuta Nyakutjaku», ovvero «Guardando molte belle luci».


Una bella notizia, che coincide quasi con la chiusura di Uluru: dal 26 ottobre scatterà infatti il divieto di arrampicarsi sulla formazione di arenaria di 550 milioni di anni. 
E' stato infatti riconosciuto il diritto del popolo Anangu di preservare il loro luogo sacro, dopo un lungo dibattito iniziato nel 2010. 

 «Sono davvero onorato che il campo di luce rimarrà a Uluru», ha dichiarato Munro. 
L'antico paesaggio rosso continuerà a ispirare i miei pensieri, sentimenti e idee che modelleranno la mia vita e il mio lavoro».

 E ai turisti non resta che meravigliarsi nell'ammirare quest'incredibile spettacolo della natura da lontano, al cospetto di sette campi da calcio costellati da 15 tonnellate di sfere di vetro smerigliato. 


 Fonte: lastampa.it

venerdì 4 ottobre 2019

Göreme e i camini delle fate


Il paesaggio della Cappadocia, in Turchia, è unico al mondo: qui guglie, luci, forme irregolari creano sfumature sorprendenti, ed il suo patrimonio storico e culturale, con mura e rocce che trasudano storia e mistero, è premiato dall’Unesco. 
I suoi panorami sono stati spesso descritti come “lunari”. Ed effettivamente un po’ lo sono, perché la Cappadocia sembra davvero un mondo diverso, quasi parallelo, lontano anni luce dalla nostra concezione di civiltà e di società.

 Da qui sono passati Ittiti, Frigi, Assiri, Hattiani, Greci, Romani, Armeni, Saraceni, Mongoli e Selgiuchidi. E la convivenza nello stesso pezzo di terra e roccia ha contribuito a rendere la Cappadocia una dimensione fuori dallo spazio e dal tempo.
 Qui i primi colonizzatori della fede di Cristo, per sfuggire alle persecuzioni subite da alcuni imperatori romani e da altri conquistatori, costruirono o ampliarono città sotterranee preesistenti.


La sua formazione geologica, un tufo calcareo, ha subito l’erosione per milioni di anni, modificando in continuazione le forme originali e creandone di nuove. 
Il materiale non è duro, quindi l’uomo ha scelto questi posti anche per costruire le sue abitazioni ricavandole dalla roccia, dando vita a insediamenti rupestri e a bizzarri edifici, a cavità e a grotte, abitate ancora oggi. 

In molte chiese scavate si possono ancora ammirare affreschi policromi: forse i più antichi e significativi esempi di architettura religiosa cristiana.








Si ritiene che il toponimo “Cappadocia” derivi dalla parola Katpadukya, ovvero “terra dei bei cavalli”. 

 Il Parco nazionale di Göreme, è Patrimonio UNESCO dal 1985 ed è il punto ideale per avventurarsi lungo i sentieri disseminati di Camini delle fate alla scoperta della Cappadocia. 

Un museo a cielo aperto, il luogo ideale per vedere, e vivere. 

 Tratto da: siviaggia.it

giovedì 3 ottobre 2019

Trovato in Bulgaria un balsamario a testa di pugile


Lo scheletro di un appassionato di sport è stato scoperto accanto ad un contenitore di 1800 anni fa a forma di testa di lottatore o di pugile.

 Il balsamario, un contenitore utilizzato per conservare liquidi come balsami o profumi, è stato trovato in una sepoltura nel sudest della Bulgaria, l'antica Tracia. 

Il balsamario risale ad un'epoca in cui l'impero romano controllava la Tracia, una regione che comprendeva parti della Bulgaria, della Grecia e della Turchia.
 Realizzato in ottone, il balsamario raffigura un uomo con  il naso che sembra storto o piegato, come se fosse stato rotto e non fosse completamente guarito. 
Indossa un berretto ricavato dalla pelle di un felino, probabilmente una pantera o un leopardo.




Esempi di balsamari con caratteristiche simili sono stati trovati altrove nell'impero romano e sono spesso interpretati come riproduzioni di pugili o lottatori.
 Il berretto felino indossato dall'uomo può alludere al leone di Nemea, una creatura che il dio greco Ercole ha combattuto e sconfitto. 


Lo scheletro rinvenuto nella sepoltura apparteneva ad un uomo morto all'età di 35-40 anni. 
Sepolta con l'uomo, gli archeologi hanno rinvenuto anche una lama per raschiare il sudore e la sporcizia dalla pelle.
 "A nostro parere la tomba appartiene ad un aristocratico Trace, che ha praticato sport nella sua vita quotidiana, piuttosto che ad un atleta professionista", ha detto Daniela Agre, archeologa dell'Istituto Archeologico Nazionale e del Museo dell'Accademia Bulgara delle Scienze, che ha guidato gli scavi nel sito.


La tomba dell'uomo fa parte di un complesso funerario più grande, trovato all'interno di un tumulo di tre metri. 

"Pensiamo che il tumulo sia stato usato come necropoli familiare e che il defunto facesse parte di questa famiglia", ha detto la Dottoressa Agre. 

Gli scavi del tumulo sono iniziati nel 2015. 


Fonte : livescience