mercoledì 31 luglio 2019

Petra, storia della città rosa


Petra, l’antica città rosa, situata nel deserto meridionale della Giordania, si trova a circa 250 km dalla capitale Amman. 

Petra fu Scoperta nel 1812 dall’esploratore svizzero J.L. Burckhardt che partì seguendo antiche leggende che narravano di una civiltà perduta.


 Oggi Petra è uno dei siti archeologici più famosi al mondo inserito dal 1985 nella lista del patrimonio dell’umanità UNESCO e considerata una delle sette meraviglie del mondo moderno. 


Secondo gli studi archeologici i primi insediamenti all’interno della città di Petra sono attribuibili all’età del ferro. 
Prima di allora solo alcune zone poco lontane (circa 15 km) presentavano segni d’insediamenti neolitici nella città che oggi è chiamata la piccola Petra, anch’essa scoperta da Burckhardt.
 Gli insediamenti stabili all’interno di Petra, invece, sono attribuibili al popolo degli Edomiti e risalgono a un periodo compreso tra la fine dell’VII e l’inizio dell’VII secolo a.c. 
Gli Edomiti erano un popolo principalmente nomade e vivano di commercio spostandosi sul territorio limitrofo. 


 Nel VI secolo a.c. gli Edomiti lasciarono la città sotto la pressione dei Nabatei, popolo di origine nomade proveniente da occidente che si stanziarono nella città. 
Abili commercianti, accumularono ricchezze che fecero del sito una gloriosa città dell’antichità.

 Il periodo più fiorente del regno Nabateo è individuato durante il regno di Areta IV. 
Fanno parte di questo periodo i monumenti più famosi del sito, la casa del Djin, la tomba dell’obelisco, il Siq, il palazzo El Khazneh, le tombe della strada delle facciate e l’altura del sacrificio.






Nel 106 a.c. la città Nabatea ormai fiore all’occhiello del mondo antico, dovette arrendersi e annettersi al governato romano in Siria sotto l’imperatore Traiano. 
I romani fecero della città un importante avamposto strategico per controllare i territori limitrofi. 
Il periodo romano fa si che cambi anche il volto della stessa. 
Di questo periodo, infatti, sono databili le modifiche alla viabilità e alle grandi opere cittadine. 
-Un esempio di queste opere sono l’anfiteatro, il complesso delle tombe imperiali, la strada colonnata e la porta Traianea, il grande tempio e le modifiche al Qasr al-Bint.








Il Cristianesimo giunse a Petra attorno al IV secolo d.c. sotto il periodo dell’imperatore Costantino. 
Risalente a questo periodo è la testimonianza di un tremendo terremoto che danneggiò in modo grave i monumenti presenti sul sito. 

Solo nel V secolo d.c. cominciano a sorgere chiese all’interno della città che modificarono alcuni monumenti precedenti. 
Alcune di questi sono la chiesa o monastero al Deir che si arricchisce di sculture cruciformi nelle stanze interne; così come la chiesa di Petra che presenta pavimenti in mosaico di stampo bizantino.




Il vento islamico sembra non riuscire a penetrare nelle strette gole di arenaria di Petra. 
Di conseguenza la città rimane sotto il dominio cristiano sino a circa 1200 secondo poche testimonianze di pellegrini che certificano il loro passaggio. 

 Le informazioni si perdono fino alla riscoperta nel 1812. 
Dal 1828 cominciarono i primi studi e i primi scavi archeologici ancora attivi oggi.

 Fonte: archetravel.com

giovedì 25 luglio 2019

Pompei, riemerge una splendida antefissa di Athena


Scavi di Pompei: un tesoro meraviglioso! 

Continua a stupire il sito archeologico più visitato al mondo, dove proseguono le operazioni di recupero di sempre nuovi reperti di rara bellezza.
 Ora è la volta di un’antefissa e di alcune terrecotte figurate offerte come ex-voto. 

 Dopo l’affresco di Narciso e quello di Leda e il cigno e molti altri ritrovamenti, questa volta gli archeologi in collaborazione con l’Università Federico II di Napoli hanno portato alla luce al Foro Triangolare nel santuario di Athena altri straordinari fregi dell’epoca romana. 
 Come spiega il direttore generale del Parco Archeologico di Pompei, Massimo Osanna, si tratta di un’antefissa (in genere un elemento della copertura dei tetti) che raffigura la dea Athena a decorazione del tempio dorico e probabilmente risalente alla fine del IV secolo avanti Cristo, e di terrecotte figurate offerte come ex-voto nello spazio sacro, che si datano al III secolo avanti Cristo.


Tutti i materiali confermano, secondo gli esperti, la dedica del tempio che affacciava sul golfo di Napoli alla coppia Eracle e Athena, in maniera del tutto analoga a un santuario in località Privati che sorgeva alla vicina Stabiae, dall’altro lato del corso del Sarno, sempre del al IV secolo avanti Cristo, che ha restituito un’antefissa di Athena simile a quella pompeiana. 
Non si esclude la possibilità che le antifisse di Pompei e di Stabiae siano state realizzate dalla stessa persona.

 Germana Carillo

mercoledì 24 luglio 2019

Scoperto, vicino a Gerusalemme, il più grande insediamento neolitico mai trovato in Israele


L’insediamento si estende per circa mezzo chilometro e al culmine del suo splendore avrebbe ospitato tra 2.000-3.000 abitanti della nuova età della pietra. 

Eppure, incredibilmente, gli archeologi non si aspettavano di trovare niente in quel posto 
Si credeva che questa parte di Israele fosse stata disabitata e che gli insediamenti di queste dimensioni esistessero solo dall’altra parte del fiume Giordano o del Levante settentrionale, hanno spiegato in una dichiarazione i ricercatori dell’Israel Antiquities Authority (IAA) . 
Invece, grazie agli scavi condotti nell’ambito di un progetto per costruire una nuova autostrada a Gerusalemme, hanno scoperto la città a molti centimetri sotto terra


“Questa è la prima volta che viene scoperto un insediamento su larga scala del periodo neolitico, 9.000 anni fa, in Israele,” come hanno riferito i direttori dello scavo per l’IAA, il dottor Hamoudi Khalaily e il dottor Jacob Vardi. 
“Almeno 2.000-3.000 residenti viveano qui, un ordine di grandezza che è paragonabile alle città di oggi!” 

Scoperto a soli 5 chilometri da Gerusalemme, l’insediamento ha rivelato grandi edifici, case e stanze che evidentemente erano usate come strutture pubbliche e luoghi di rito.
 Tra gli edifici, i vicoli hanno rivelato un sito complesso che suggerisce un’urbanistica avanzata.


Anche le tombe sepolcrali hanno rivelato un’affascinante intuizione non solo delle relazioni e delle visioni dei popoli antichi con i morti, che avvenivano attraverso offerte e doni, ma anche della comunicazione e dello stato commerciale della città con altri luoghi lontani. 

“In un luogo dove vivono le persone, ci sono anche i cimiteri: i luoghi di sepoltura sono stati posti tra le case, dove sono state collocate varie offerte di sepoltura, oggetti utili o preziosi, che si ritiene servissero ai defunti nel prossimo mondo.
 Questi doni testimoniano il fatto che già durante questo periodo antico, i residenti di questo sito hanno condotto rapporti di scambio con altre città anche distanti”. 

Gli oggetti trovati includono figurine scolpite nella pietra, un bue di argilla, ossidiana vulcanica o oggetti di vetro originari dell’Anatolia, conchiglie che provenivano dal Mar Rosso e dal Mediterraneo, braccialetti di pietra, perle di alabastro e braccialetti e medaglioni fatti di madreperla.








In tutto l’insediamento, gli archeologi hanno trovato gli strumenti che pensano siano stati prodotti, tra cui punte di freccia in selce, asce per abbattere alberi, falci e coltelli. 

Le ossa di animali trovate in loco hanno anche rivelato che i residenti degli insediamenti facevano sempre più affidamento sull’allevamento delle pecore, mentre la caccia diminuiva. 

Incredibilmente, hanno anche trovato capanne di cereali che contenevano ancora grandi quantità di legumi, in particolare lenticchie, che erano sorprendentemente conservati. 


Il periodo neolitico, che iniziò circa 12.000 anni fa, fu caratterizzato dallo sviluppo dell’agricoltura. 
I ricercatori dicono che la rivoluzione neolitica avrebbe raggiunto la sua vetta nel periodo in cui questa città stava raggiungendo il suo picco. 

 La scoperta di questa città e dei suoi beni materiali per questo periodo in questa regione non ha precedenti, ha detto il dott. Vardin al Times of Israel .
 “È un punto di svolta, un sito che cambierà drasticamente ciò che sappiamo sull’era neolitica”.


 Fonte: iflscience.com

giovedì 18 luglio 2019

Chambord, il castello della Valle della Loira compie 500 anni


Compie 500 anni nello stesso anno che si celebra l’anniversario di morte di uno dei suoi creatori.
 Chambord e Leonardo da Vinci uniti insieme dalle date, dall’architettura e dalla Storia.
 Entrambi simbolo del Rinascimento, del Cinquecento che ha lasciato grandi tracce dietro di sé.

 Nel settembre 1519 il castello della Valle della Loira vedeva la luce e per festeggiare degnamente il compleanno sono tante le iniziative importanti in questo 2019.
 Come la mostra “Chambord, 1519-2019: l’utopia all’opera”, visitabile dal 26 maggio al 1 settembre 2019 e allestita al secondo piano del castello.


Il percorso della visita affronta la costruzione del monumento inserito nel patrimonio mondiale dell’UNESCO dal 1981 e offre l’occasione per interrogarsi sull’architettura e la costruzione del castello di Chambord nel contesto intellettuale, politico e artistico del Rinascimento.
 Nei 2.000 mq di mostra, i visitatori possono ammirare circa 150 opere, provenienti in prestito da 34 prestigiose istituzioni internazionali.
 Tra questi tesori, manoscritti miniati datati dal IX al XVI secolo, libri rari, disegni, quadri, plastici e oggetti d’arte, di cui tre fogli originali del Codice Atlantico di Leonardo da Vinci.


Inoltre, tra le altre iniziative importanti per l’anniversario ci sono progetti di restauro e di conservazione, un orto appositamente creato, le illuminazioni del castello, una mostra dedicata ai laboratori di architettura delle più grandi università del mondo che presentano 18 progetti prospettici per un Chambord reinventato. 


Una splendida occasione per visitare o rivisitare questo castello simbolo del Rinascimento francese, ma inserito nella contemporaneità come con l’utilizzo di nuovi dispositivi di mediazioni digitali (touch screen, video, plastici digitali, ecc.): ogni visitatore potrà esplorare nel dettaglio i segreti del Quattrocento attraverso l’opera di Leonardo da Vinci o scoprire i misteri del castello di Chambord, come quello della famosa scala a doppia elica.




E’ proprio l’opera progettata dal genio italiano, si dice su insistenza del re Francesco I, il centro delle visite guidate al castello.

 Costruita dalla sovrapposizione di due scale a vite che evolvono attorno al nucleo cavo centrale, esattamente al di sotto e come supporto della lanterna in cima al castello con il giglio di Francia, fu un’autentica rivoluzione: due persone che utilizzano ognuna una rampa di scale possono intravedersi attraverso le apertura praticate nel centro, ma non si incontreranno






Ad ogni piano, intorno alla scala si spiegano quattro hall che formano una croce e le sale che costituivano gli appartamenti della corte.
 Purtroppo Leonardo, se fosse stato davvero lui ad ispirare questa scala (pare che furono trovati alcuni bozzetti tra le sue carte), non la vide in funzione: morì, a Clos Lucè, prima che Chambord fu iniziato nel 1519, esattamente cinquecento anni fa.

 Chambord, più di tutti gli altri castelli della Valle della Loira, viene identificato con Francesco I Valois, il re che proprio qualche anno fa venne festeggiato qui alla grande per i cinquecento anni della sua salita al trono.
 Il suo simbolo, la salamandra, è ovunque, a capolino tra i muri, sul cammino, sul soffitto, quasi a testimoniare a chi sia legato il palazzo.


Voluto come residenza di campagna e come riserva di caccia, è, per la sua architettura, il castello degli eccessi: 156 metri di lunghezza, 56 metri di altezza, 77 scale, 282 camini e 426 stanze. 
Eppure, nonostante le dimensioni eccezionali, seduce con la grazia e l’equilibrio.
 Qui il tufo calcareo si fa materiale malleabile ai decori e alle rifiniture, lasciando un’immagine di leggiadria.
 Sarà stato fiero del risultato il giovane sovrano, che amava questi luoghi sulla Loira.


Anche se in 32 anni di regno, Francesco è rimasto a Chambord solo 72 giorni e non lo vede completato del tutto. 

All’epoca, la corte di 4000 persone era itinerante, il re si spostava di castello in maniero sia per farsi vedere dal suo popolo che per conoscere i francesi: così, tutto doveva essere improntato alla praticità. 
 Come i mobili, tavoli, letti e sedie, che erano smontabili, facilmente trasportabili e assemblabili.
 Per questo, pochi sono arrivati intatti a noi e le stanze del castello appaiono vuote: le cassapanche e il resto dell’arredamento sono originali del Rinascimento, ma non di Chambord.

 Poco importa a chi viene qui a scoprire le bellezze volute da Francesco e rimane incantato davanti ai soffitti decorati con la F, monogramma del re, e dalla salamandra, animale mitico che vive nelle fiamme, capace di estinguere il fuoco nemico.


Si viene colti da sorpresa anche sulla terrazza panoramica, dove si ammirano da vicino i decori del tufo, le torrette, le cupole, la lanterna del giglio, e dove lo sguardo si perde tra il fiume lontano e l’enorme parco.




Chambord è al centro di una foresta di oltre 5000 ettari, circondata da mura lunghe 32 chilometri, quasi quanto la superficie di Parigi, riserva nazionale di caccia con cinghiali e cervi. 
 Gli stessi che amava cacciare il re, che quando è vissuto qui abitava nell’appartamento nell’ala est, oggi visitabile e composto da una camera da letto, alcune piccole stanze private e un oratorio. Il castello custodisce oggetti preziosi come arazzi, dipinti e arredi, oltre a curiosità di vario genere.

 Ad esempio, il palazzo di oggi è il risultato dei lavori fatti da Enrico II, figlio di Francesco, e poi da Luigi XIV, entrambi appassionati di caccia e fruitori di queste stanze. 
Anzi, il Re Sole fece cambiare l’alloggio a nord quasi a somiglianza di Versailles: sala delle guardia, doppia anticamera e camere private. 
Mentre quello che oggi è chiamato l’appartamento della regina fu abitato proprio dalla moglie di Luigi XIV, Maria Teresa d’Austria, e dalla favorita del sovrano, Madame de Maintenon. 

 Ma nonostante il passare dei secoli, il palazzo rimane un esempio del Rinascimento ed è consacrato a Francesco, protagonista di quel periodo storico.
 Oggi che il castello compie cinquecento anni, anche grazie alla mostra e ai festeggiamenti, la meraviglia di Chambord è messa ancora più in evidenza. 

 Fonte: latitudinex.com

mercoledì 17 luglio 2019

L’Altopiano di Ennedi: remota e affascinante meta nel Ciad


Non ha spiagge meravigliose come il Kenia, non ha città imperiali come il Marocco, non ha parchi lussureggianti come il Sudafrica, ma ciò non significa che il Ciad, in Africa Centrale, non offra attrattive spettacolari, anzi. 

 Proprio là dove il Sahara ha ricoperto con le sue sabbie le regioni settentrionali del paese, ci sono delle imponente formazioni di arenaria, modellate nel corso dei millenni, meraviglie geologiche inserite nel Patrimonio mondiale dell’UNESCO nel 2016.


Il deserto non è una meta per tutti: bisogna amare i silenzi sconfinati, gli orizzonti infiniti e il misterioso fascino della solitudine.

 Arrivare all’altopiano di Ennedi significa spingersi verso una frontiera lontana da qualsiasi cosa chiamata “civiltà”, un luogo frequentato solo da un paio di tribù nomadi che ancora si aggirano tra le sabbie del Sahara e le piccole oasi, in cerca di pascoli per i loro cammelli, le capre e le pecore. 
Sono pastori, come lo erano quegli uomini del neolitico che hanno lasciato incisioni e pitture rupestri tra i 7000 e 3000 anni fa, nelle grotte che usavano come rifugio.




L’altopiano di Ennedi è quasi un baluardo naturale nel bel mezzo del Sahara, con le sue torri, i pilastri, gli archi e i ponti di arenaria, che occupano un territorio (40.000 chilometri quadrati) grande quasi quanto la Svizzera.




Queste straordinarie formazioni geologiche iniziarono a strutturarsi milioni di anni fa, durante la cosiddetta “era della vita antica” (tra i 550 e i 250 milioni di anni fa), quando l’oceano ancora ricopriva quello che oggi è il deserto del Sahara. 

 Modellato prima dall’acqua del mare e poi dal vento del deserto, l’altopiano di Ennedi è una straordinaria testimonianza di un mondo ormai scomparso, con il suo ecosistema che consente ancora la sopravvivenza di centinaia di specie animali e vegetali, compreso il raro coccodrillo del deserto.


E’ molto suggestiva l’ipotesi, non confermata da alcuna prova, che nelle aree più remote dell’altopiano possano ancora vivere il raro ghepardo sudanese, l’onice del Sahara (una specie di antilope considerata estinta dal 2000), e forse addirittura la tigre di Ennedi (un tipo di gatto dai denti a sciabola), conosciuta solo grazie alla descrizione dei nativi.


La vita delle tribù nomadi, così come di animali e piante, è possibile grazie all’acqua dolce delle gueltas (stagni del deserto), che dissetavano anche, migliaia di anni fa, gli animali dipinti nei petroglifi: coccodrilli, cammelli, cavalli, uccelli, leoni, rappresentati insieme a figure principalmente femminili.


Remoto, quasi irraggiungibile, ma straordinariamente affascinante: il massiccio di Ennedi, Riserva Naturale e Culturale, sito patrimonio dell’UNESCO, potrebbe e dovrebbe rappresentare una risorsa economica per uno dei paesi tra i più poveri al mondo. 


 Fonte: vanillamagazine

martedì 16 luglio 2019

La statua dell’aquila più grande del mondo nata da una leggenda


Rajiv Anchal riporta in vita un vecchio mito che i residenti del villaggio di Chadayamangalam nel distretto di Kollam, nel Kerala, raccontano da sempre alle generazioni successive e che ora possono vedere materializzato nella pietra.


La storia fa parte del Ramayana (Rāmāyaṇa), un testo sacro e uno dei più grandi poemi epici dell’induismo. 
 Vi si racconta che un’aquila gigante, Jatayu cadde proprio su quell’altura mentre combatteva contro Ravana, per difendere la dea indù Sita.

 La leggenda narra che Jatayu cercò di salvare Sita rapita da Ravana mentre questi si stava dirigendo a Lanka. 

La gigantesca aquila combatté valorosamente con Ravana, ma essendo molto vecchio, Ravana riuscì ad avere la meglio su di lui. 

Rama mentre cercava con il fratello Lakshmana, la sua sposa rapita Sita si imbatterono nel vecchio Jatayu colpito e morente che li informa della lotta tra lui e Ravana e dice loro che il rapitore si era diretto a Sud. 


Da un anno, una gigantesca aquila accasciata sul dorso svetta sulla cima del Jatayupara, sovrastando le verdi distese del Chadayamangalam.


 I lavori sono iniziati nel 2011 e gli operai che hanno affiancato l'artista nel progetto ci hanno messo due anni a scoprire che si trattava di un'aquila.

La sagoma è stata realizzata in calcestruzzo, ad eccezione degli artigli, che sono in acciaio inossidabile. Materiali che dovrebbero durare nel tempo.


Ma quest'incredibile opera non è solo una scultura: è parte integrante di un edificio di cinque piani che ospita al suo interno un museo e un teatro multidimensionale dedicati all'epica battaglia tra Jatayu e Ravana.




Per Anchal non è solo un progetto turistico. 
«C'è stato un tempo in cui l'uomo e la natura vivevano in armonia e Jatayu è un simbolo di quel tempo».

 Ecco perché il suo obiettivo è sempre stato «proteggere la roccia e preservare la natura circostante. 
Nulla domina la roccia poiché tutta la costruzione, compresa la scultura, è strutturata per sembrare una parte integrante del paesaggio».
 Come se quell'aquila fosse sempre stata lì, dalla notte dei tempi.

 Fonti: lastampa

          caffebook.it

lunedì 15 luglio 2019

Sarebbe stata scoperta la leggendaria città biblica di Ziklag


Secondo alcuni archeologi israeliani, le rovine di Ziklag, la città a lungo perduta famosa come rifugio di re David, così come detto nella Bibbia ebraica, sarebbero state finalmente scoperte 


 La città è stata oggetto di un acceso dibattito negli ultimi decenni, con numerosi archeologi che si sono imbarcati in scavi per trovare la sua posizione.

 Questa volta, tuttavia, la squadra è più certa che mai che queste rovine appartengono a ciò che stavano cercando 

Situato tra Kiryat Gat e Lachish, un gruppo internazionale guidato dalla Israel Antiquities Authority, insieme alla Macquarie University di Sydney e all’Università ebraica, studia il sito di Khirbet al-Ra’i dal 2015.
 I loro scavi sul sito collinare hanno trovato prove di un insediamento dal XII al XI secolo aC sotto strati di un insediamento rurale risalente agli inizi del X secolo aC, secondo un annuncio fatto lunedì scorso da parte dell’Autorità per le Antichità di Israele.




Tra le decine di pezzi di ceramica, vasetti di olio e brocche di vino, molti dei manufatti mostrano caratteristiche della cultura filistea, il gruppo di persone che si dice che vivevano qui nella Bibbia ebraica. 
Anche la datazione al radiocarbonio si allinea perfettamente con il tempo in cui si pensava che la città di Ziklag fosse in piedi. Tuttavia, non tutti sono convinti. 

Alcuni esperti indipendenti non coinvolti nel progetto sono riluttanti nel saltare alla conclusione che questo sito è davvero la città degna di nota di Ziklag.
 Il professor Aren Maier, un archeologo israeliano nato negli Stati Uniti dalla Bar-Ilan University, ha detto ad Haaretz : “È molto difficile da accettare”. “I riferimenti a questo sito nei testi biblici sono sempre molto più meridionali, relativi al Negev, alla tribù di Shimon o al confine meridionale di Judah”, ha aggiunto Maier. “Solo perché ci sono collegamenti con i filistei e poi la distruzione avvenuta nel X secolo aC, questo non lo rende Ziklag”.


Ziklag è famosa come la città in cui il re David cercò rifugio dopo essere caduto in disgrazia con il re Saul, unendosi agli aspri nemici dell’antico Israele, i filistei.
 Questo non fu l’unico incontro di David con i Filistei. 
Uno dei racconti più riproposti della Bibbia nella cultura popolare è la storia del re Davide che uccide il gigante filisteo Golia.


Tutti gli studiosi moderni ritengono che il re David fosse una vera figura storica, non solo un mito o una leggenda, sebbene sia in corso un dibattito sulla portata del suo significato. 

Nonostante la sua apparente importanza nella narrativa biblica, per non parlare della sua vasta presenza nell’arte e nella letteratura nel corso dei secoli, le prove archeologiche della sua vita sono minime.

 Fonte originale: www.iflscience.com