mercoledì 17 ottobre 2018

In Cina c’è un Buddha gigantesco nascosto in mezzo alla foresta


In Cina, nascosto tra la fitta foresta, c’è un Buddha gigantesco. 
È il Buddha di Leshan, la più grande statua di pietra di Buddha al mondo. 
 L’enorme statua è scolpita direttamente nella roccia.
 È talmente grande che le sue spalle sono larghe 28 metri, le dita sono lunghe 8,3 metri, le orecchie 7 metri e sull’unghia più piccola dei piedi ci sta comodamente una persona seduta. 

 In Cina si dice che “la montagna è un Buddha e il Buddha è una montagna”, in quanto la catena montuosa in cui la statua si trova ha una vaga somiglianza con la forme di un Buddha dormiente e la statua gigante al centro.
 Il luogo in cui sorge, infatti, è incredibilmente affascinante: è posta di fronte al Monte Emei, nella provincia di Sichuan, con i tre fiumi Minjiang, Dadu e Qingyi che scorrono ai suoi piedi. La statua è alta 71 metri e rappresenta un Buddha Maitreya in posizione seduta, con le mani appoggiate sulle ginocchia.


La sua costruzione risale all’anno 713, durante la dinastia Tang, e fu ultimato più di novant’anni dopo.

 Fu un monaco di nome Hai Tong ad avere l’idea della sua costruzione. 
Poiché le acque dei tre fiumi causavano numerosi incidenti tra le barche, il popolo attribuiva questi disastri alla presenza di uno spirito. Quindi Hai Tong decise di scolpire una statua nei pressi del fiume, pensando che il Buddha potesse controllarlo. 
Inoltre, le pietre che sarebbero cadute durante le incisioni avrebbero diminuito la forza dell’acqua.


Il fascino del Buddha non dipende soltanto dalla dimensione, ma anche nella maestria architettonica con cui è stato scolpito, a partire dal sistema di drenaggio.
 Questo sistema è formato da canali nascosti, distribuiti sulla testa e sulle braccia, dietro le orecchie e nei vestiti e aiuta a far uscire l’acqua piovana e a mantenere la statua asciutta al suo interno garantendone la conservazione. 

 Dal 1996 il Buddha di Leshan è entrato a far parte della lista dei Patrimoni dell’Unesco.

 Fonte: siviaggia.it

Lolita, l'orca più sola al mondo non sarà liberata e rimarrà all'acquario


L’orca Lolita resta al Seaquarium di Miami, va in frantumi il sogno di migliaia di persone che chiedevano la sua liberazione. 
I giudici della Corte d’Appello federale degli Stati Uniti respingono la petizione per farla tornare a nuotare in mare aperto e farle dimenticare l’orrore della cattività. 

 Era stata catturata nel 1970 a Penn Cove al largo dell’isola Whidbey, dal mare all’acquario di Miami, il più piccolo d'America. Da meravigliosa creatura marina a fenomeno da baraccone in un angusto spazio tra flash e risate, costretta a giocare con una pallina, addomesticata come un animale da compagnia.


Lolita è rimasta l’unica, tutte le altre orche sono morte.

 Negli ultimi mesi, gli ambientalisti avevano cercato in tutti i modi di perorare la causa di liberazione, appellandosi al fatto che l’animale era stato catturato in un’area che appartiene alla tribù Lummi.
 Secondo un trattato del 1855, i nativi hanno il diritto di proteggere tutto ciò che sorge nella loro zona, quindi anche il mare e i suoi abitanti.
 Lolita era stata catturata proprio nel mare di Salish vicino l’isola di Orcas, dimora dei Lummi.
 Per la povera Lolita sembrava, quindi, essersi accesa una speranza: la tribù poteva diventare custode dell’orca, specie che, come sappiamo, è considerata in via d’estinzione.
 Lolita avrebbe potuto vivere i suoi ultimi anni libera in un santuario marittimo, ma le cose sono andate diversamente.
 Lolita, l’orca più sola al mondo, rimarrà nella sua prigione... probabilmente fino alla morte.


People for the Ethical Treatment of Animals, The Animal Legal Defense Fund e Orca Network si erano appellati alla Corte federale per la sua liberazione, ma i giudici hanno deciso che sull’animale non vi è alcuna minaccia che mostri la violazione del suo mancato benessere dentro l’acquario e hanno espresso forti dubbi sulle modalità di spostamento.

 Una decisione che lascia veramente basiti.
 Quasi 50 anni in cattività, strappata alla sua mamma quando aveva appena tre anni, costretta a divertire un pubblico, stressata dal poco spazio e totalmente immersa nella solitudine, non sono forse motivazioni valide per farla tornare nel suo habitat naturale?
 Il fatto che Hugo, il suo compagno di prigionia si sia suicidato nel 1980 battendo la testa contro la vasca, non è un campanello d’allarme di un malessere?

 “Questa sentenza condanna un’orca molto intelligente, profondamente sola e angosciata da una vita di danni fisici e psicologici, confinata in una piccola cella di cemento senza famiglia, amici o libertà» dice Jared Goodman, vice-consigliere generale per la legge sugli animali della Fondazione PETA.

 Adesso la battaglia non si arresta, le organizzazioni animaliste hanno preparato un’altra causa, ma nel frattempo Lolita rimane lì, vittima di un business difficile da smantellare. 

 Dominella Trunfio