mercoledì 5 settembre 2018

Riemergono le "pietre della fame": cosa sono?


L'eccezionale ondata di calore che questa estate ha colpito l'Europa centrale ha riportato alla luce una miriade di tesori archeologici, da un insediamento preistorico in Irlanda, al design di un giardino inglese del XVII secolo rimasto per secoli coperto dall'erba, a un villaggio tedesco abbandonato da oltre cento anni sommerso dalle acque di un lago.

 Recentemente il basso livello delle acque del fiume Elba registrato vicino alla città di Decin (Repubblica Ceca) ha però fatto emergere qualcosa di ancora più strano: oltre una dozzina di cosiddette hunger stone, pietre della fame. 
Di cosa si tratta?


Gli studiosi chiamano in questo modo le pietre che secoli fa venivano riposte sulle rive dei fiumi in secca.
 I nostri antenati lo facevano per due ragioni: una pratica - documentare i bassi livelli di acqua - e una didascalica, spiegare agli uomini gli effetti drammatici della siccità.

 La pietra della fame più antica tra quelle ritornate alla luce nei pressi della cittadina risale al 1616 ed è considerata il più antico "segnale", punto di riferimento, idrogeologico dell'Europa centrale. Si trova lungo le rive dell'Elba (1.091 chilometri) che nasce proprio nella Repubblica Ceca.


La più famosa della serie invece - come riporta uno studio del 2013 - è quella che "spiega" gli effetti del grande caldo: cattivo raccolto, penuria di cibo, innalzamento dei prezzi e carestia.
 Con effetti tragici soprattutto per la gente più povera.
 Una iscrizione tedesca sulla medesima pietra, visibile 126 giorni all'anno a causa di una diga, dice invece: "Quando mi vedi, piangi". Ed è in buona compagnia con altre pietre che hanno inciso frasi come: "Abbiamo pianto - Piangiamo - piangerete" oppure "Chi mi ha visto una volta, ha pianto, chi mi vede adesso piangerà"
.

Ed effettivamente, a leggere le ultime pubblicazioni dei ricercatori, c'è ben poco da stare allegri: uno studio pubblicato ad agosto rivela che nei prossimi decenni, per effetto del riscaldamento globale, le ondate di calore saranno sempre più mortali, soprattutto alle latitudini tropicali e subtropicali ma, in misura più contenuta, anche in Europa.
 Forse questo in un'economia globale e più industrializzata come quella europea avrà minori conseguenze automatiche, come nei secoli scorsi, sull'alimentazione (pur non risparmiandone le qualità nutrizionali). 
In ogni caso, il messaggio che ci viene da queste pietre del passato è quanto mai attuale e non andrebbe sottovalutato. 


 Fonte: focus.it

Gli dei del monte Nemrut


Nel sud della Turchia, nei pressi della città di Adiyaman, il monte Nemrut ospita un antico complesso, costruito dal quarto, e probabilmente più famoso, re di Commagene, Antiochus I Theos (il “re Dio”). 

 Antioco, sovrano di Commagene dal 70 aC al 36 dC, era un re che non voleva essere dimenticato: affermava di discendere dal conquistatore greco Alessandro Magno, da parte di madre, e dal re persiano Dario il Grande, da parte di padre, una comoda fusione tra occidente e oriente.
 Ma il tratto saliente di questo re era il suo immenso orgoglio, e il suo ego sovra-dimensionato.
 Antioco sosteneva di avere un rapporto speciale con gli dei, ed aveva dato vita ad un culto reale che riprendeva la forma ellenizzata della religione di Zoroastro, con la chiara intenzione di essere adorato come un dio dopo la sua morte.


Antioco commissionò la costruzione di un magnifico santuario sul monte Nemrut, un rilievo alto 2.100 metri, dove la gente potesse recarsi a pregare. 
Il re voleva che la sua tomba-tempio fosse in un luogo alto e santo, vicino agli dei, per essere al loro stesso livello, e abbastanza in alto da poter essere visto anche a molti chilometri di distanza.

 Il santuario fu costruito nel 62 aC ed è costituito da un tumulo di pietre di forma piramidale, alto 50 metri, con due antichi percorsi processuali che partono dalle terrazze est ed ovest.




 Secondo Antioco, il monte Nemrut era il “luogo di dimora comune di tutti gli dei, accanto ai troni celesti”.

 Questo tentativo di radunare tutti gli dei conosciuti sulla stessa montagna, può essere visivamente intuito guardando le terrazze ad oriente e ad occidente del tumulo: sulla quella est c’è una fila di cinque statue colossali (alte 9 metri), così come sulla terrazza ovest, a rappresentazione di diverse divinità greco-persiane; una di essa, ovviamente, ritrae Antiochus I Theos.


Gli dei, in posizione seduta, si affacciano verso l’esterno del tumulo, e sono affiancate da una coppia di statue di animali da guardia, un leone e un’aquila. 

 Un’iscrizione rivela che la cima è il sacro luogo dove Antioco, il “re Dio”, sarebbe stato posto a riposo, e la sua anima si sarebbe unita a quelle di altre divinità nel regno celeste.


Tuttavia, neppure un re così potente da credersi pari ad un dio riuscì a mantenere la memoria di sé nei secoli a venire.
 Misteriosamente, il regno, e con esso il santuario di Antioco I, furono abbandonati nel I secolo dC., e da allora dimenticati per molto, molto tempo, fino al 1883, quando un archeologo tedesco scoprì il sito.

 Dopo diverse missioni archeologiche, ancora non è stata trovata la camera funeraria di Antioco, e neppure il suo sarcofago. 

 Nel 1987 il monte Nemrut è stato dichiarato patrimonio mondiale dell’UNESCO, cosa che presumibilmente avrebbe molto soddisfatto Antioco, il re-dio. 


 Fonte: vanillamagazine.it