giovedì 25 gennaio 2018

Questa remota regione dell'Australia era anticamente collegata con il Canada


Circa 1,7 miliardi di anni fa, l'America del Nord e l'Australia erano unite, facendo parte di un unico continente, chiamato Nuna.

 Lo sostiene un nuovo studio condotto dagli scienziati della Curtin University.

 I ricercatori hanno scoperto delle rocce nel nord del Queensland che presentavano sorprendenti somiglianze con le loro "sorelle" del Nord America.
 Ciò lascia pensare che in un'epoca remota parte dell'Australia settentrionale era in realtà parte del Nord America e viceversa. 

Adam Nordsvan, dottorando della Curtin University, ha spiegato che i risultati sono significativi e sbloccano importanti informazioni sul supercontinente di 1,6 miliardi di anni. 
 "La nostra ricerca mostra che circa 1,7 miliardi di anni fa, le rocce di Georgetown si depositarono in un mare poco profondo quando la regione faceva parte del Nord America.
 Georgetown poi si staccò dal Nord America e si scontrò con la regione di Mount Isa nel nord dell'Australia circa 100 milioni di anni dopo". 

 Sappiamo che i continenti della Terra sono costantemente in movimento e che formavano un unico grande supercontinente: la Pangea. 
Ciò risale però a 290 milioni di anni fa, quando la Pangea si formò proprio a causa del processo della tettonica delle placche, a partire da altri due supercontinenti: la Laurasia a Nord e la Gondwana a sud. 
Dalla frammentazione della Pangea derivano gli attuali continenti. 

Nel caso dell'Australia e del Nord America bisogna tornare ancora più indietro nel tempo per risalire all'ultima volta in cui queste masse continentali facevano parte di un unico continente. 
Prima della Laurasia e della Gondwana, circa 2,5-1,5 miliardi di anni fa, i continenti erano uniti in unico blocco chiamato Nuna.
 Fu in quel momento che una parte del moderno Queensland del Nord, in Australia, si staccò dall'attuale Canada, precisamente dall'area in cui oggi si trova la Baia di Hudson.


"Il team è stato in grado di determinare ciò utilizzando sia nuovi dati sul campo sedimentologico che dati geocronologici nuovi ed esistenti, da Georgetown e Mount Isa". 

 I ricercatori hanno scoperto che quando il supercontinente si è spezzato circa 300 milioni di anni dopo, l'area di Georgetown non si è allontanata ma è rimasta ancorata all'Australia mentre dall'altra parte le terre rimasero unite fino a creare quello che è l'attuale Nord America 

 Secondo il coautore dello studio, il prof. Zheng-Xiang Li, la ricerca ha fornito nuove prove sulla formazione delle montagne sia nella regione di Georgetown che di Mount Isa:
 "La continua ricerca del nostro team dimostra che questa cintura di montagne, in contrasto con l'Himalaya, non sarebbe stata molto alta, suggerendo che il processo di assemblaggio continentale finale che portò alla formazione del nuovo supercontinente non fu un duro scontro come la più recente collisione dell'India con l'Asia". 

 Si tratta di un passo fondamentale per capire come si sia formata Nuna, il primo supercontinente della Terra. 

 Francesca Mancuso

Il tempio perduto di Ta Prohm


Non è la grandezza architettonica delle sue decine di torri. 
Né la prodezza ingegneristica che ha comportato costruirlo, nel 1186. 
E nemmeno immaginarsi come era la vita a quei tempi, con migliaia di persone che vi pullulavano intorno. 

La colpa del suo fascino è la giungla.
 La giungla che lo ha invaso, che lo ha conquistato e che germoglia magica e potente tra sue rovine. 
Questo lo rende il tempio più imponente del sito archeologico di Angkor, in Cambogia. 

Ta Prohm è unico. 
Qualcosa di incredibile. Il tempio, che un tempo faceva parte della capitale dell’Impero Khmer, fa capolino timidamente tra le enormi radici di alberi secolari. 
La vegetazione si avvinghia alle sue statue e si incrosta tra le sue mura, come se cercasse di farle sparire, di ingoiarle. 
E non sarebbe la prima volta che ci riesce. 

Con la caduta dell’Impero Khmer nel XV secolo, i templi furono abbandonati e dimenticati. 
400 anni dopo, gli esploratori europei li scoprirono. Il suo aspetto attuale è molto simile a quello del giorno in cui venne trovato, giacché si decise di lasciare Ta Prohm così com’era. 
La ragione era mostrare la potenza della natura sull’uomo. Ma anche la sua fotogenia.




A Ta Prohm le uniche modifiche che sono state fatte, sono state realizzate per prevenirne il crollo. 
Questo permette ai suoi visitatori di sentire l’ebbrezza dell’avventura che hanno vissuto allora gli esploratori francesi che lo scoprirono. 
Permette loro di camminare lungo stretti sentieri, mentre le cime degli alberi eclissano il sole e l’umidità della giungla circonda tutto. 

Prima della sua decadenza, Ta Prohm era un importante monastero e un’università buddista. 
Fu costruito dal re Jayavarman VII in onore a sua madre, la cui immagine fu utilizzata come modello per la statua principale del tempio, Prajñāpāramitā, simbolo di saggezza. 
Un’iscrizione in sanscrito dà un’idea della sua importanza: circa 80.000 persone si occupavano della sua manutenzione, e al suo interno conservava più di 500 chili d’oro, 35 diamanti e varie pietre preziose.
 La ricchezza del tempio si intuisce anche dalle sue dimensioni: con le sue 39 torri, è uno dei più grandi complessi di Angkor.




Per rivivere il suo glorioso passato, è necessario farsi strada tra rami e radici e camminare attraverso la lunga catena di edifici collegati, percorrendo bui corridoi.
 La natura lo ha trasformato in un labirinto che costringe il viaggiatore a utilizzare una buona mappa, o una guida che conosca la strada. 
Perché l’emozione del viaggio, come sapevano i francesi che arrivarono per primi a Ta Prohm, risiede anche nel fatto di poter tornare e raccontarlo.



 Fonte: passenger6a