mercoledì 8 novembre 2017

Un eccezionale ritrovamento dall'antica Grecia


Due anni fa gli archeologi impegnati negli scavi di una tomba a Pylos, una storica città sulla costa sudoccidentale della Grecia più volte citata nei poemi omerici, si imbatterono in un piccolo oggetto incrostato, lungo meno di 4 cm e di forma ovale, simile a una grossa perla.
 Non riuscendo a decifrarlo, lo lasciarono da parte per concentrarsi sugli altri tesori rinvenuti nel sepolcro appartenuto a un antico guerriero morto intorno al 1450 a.C., uno dei ritrovamenti più importanti compiuti in Grecia negli ultimi decenni.


Ma poi, ripulita la sporcizia, l'oggetto misterioso si è rivelato una pietra preziosa, incisa con precisione mirabile: un frammento di agata decorato con una scena di combattimento tra tre guerrieri. Uno sta per infilzare con la spada l'avversario, che si copre invano con lo scudo. Un terzo giace a terra, senza vita, in una rappresentazione che ricorda un momento drammatico dell'Iliade, o dell'Odissea, di Omero.
 L'oggetto - come spiegano gli archeologi dell'Università di Cincinnati - è montato per essere indossato al polso come un orologio, e il guerriero che impugna la spada nell'incisione ne sfoggia uno simile.


Due sono i misteri che riguardano la pietra: come è stato possibile decorarla così nel dettaglio (e dove, a quell'epoca)? 
Ed è davvero una scena dei poemi omerici, quella rappresentata? Il Guerriero del Grifone, l'uomo sepolto nella tomba insieme alla pietra, morì attorno al 1450 a.C., in un periodo cruciale di transizione in cui l'eredità della civiltà minoica si stava trasferendo da Creta all'interno del Peloponneso.

 I capi locali, come il nostro guerriero, esibivano oggetti di fine artigianato come questo per mostrare di appartenere alle élite del potere.

 Per la qualità della lavorazione, la pietra non poté che essere incisa a Creta: a quell'epoca in nessun altro luogo della Grecia era possibile una simile maestria. 
Il dettaglio nei particolari fa pensare che sia stata usata una lente di ingrandimento, anche se gli archeologi non ne hanno mai trovate. Altri hanno ipotizzato che l'incisore fosse miope e quindi costretto a lavorare da vicino, ma pare più improbabile. 

La pietra reca una riproduzione in piccolo di una scena su larga scala, forse dipinta a parete, come quelle che decoravano il Palazzo di Cnosso a Creta. 
 La relazione con i poemi omerici appare più complicata. I due guerrieri sconfitti nel disegno appartengono allo stesso esercito (sono vestiti allo stesso modo), e il significato della scena era probabilmente ben noto nell'iconografia minoica.

 Ma se un tempo si pensava che l'Iliade raccontasse eventi storici, che ci si affrettava a riconoscere nei vari reperti rinvenuti, ora si procede con maggiore cautela. 
 Si ritiene che i poemi omerici riportino secoli di tradizione orale, e che la distruzione di Troia avvenuta nel 1.200 a.C. possa essere rimasta impressa nella narrazione comune per circa 500 anni, prima che queste opere fossero messe per iscritto, nel 700 a.C.

 La sepoltura del Guerriero del Grifone precede la caduta di Troia, ed è ancora più distante, nel tempo, dalla stesura dei poemi omerici. Tuttavia si pensa che le narrazioni orali su cui essi si basano risalgano ai tempi dell'introduzione della Lineare B, il primo sistema di scrittura greco adattato dalla Lineare A minoica dai Micenei. 
 Le più antiche attestazioni di Lineare B risalgono al 1450 a.C., il tempo del nostro guerriero: può darsi, perciò, che le tradizioni orali alla base di Iliade e Odissea fossero già diffuse alla sua epoca.
 Non si può quindi dire che l'eroe nella scena sia Achille, o Ettore; è però probabile che il disegno si richiami a un ciclo di storie familiare a Minoici e Micenei. 

 Fonte: focus.it

Il mito greco del pavone


La bella e giovane ninfa Io stava rientrando a casa dal padre Inaco quando lo sguardo di Zeus si posò su di lei. 
Tentò di fuggire correndo nel bosco per nascondersi ma Zeus non ne volle sapere e fece scendere una fitta nebbia, che gli permise di avvicinarla e di farla sua.

 Giunone, moglie di Zeus, si insospettì vedendo tutta quella oscurità e così, gelosa, scese sulla terra ed eliminò la nebbia per capire cosa stesse accadendo. Zeus si accorse che la moglie era nei paraggi e per sviarla, tramutò Io in una giovenca.

 Giunone la vide e volle averla in regalo tanto era bella. Zeus accettò per non insospettirla e Giunone, che in realtà aveva intuito la verità, la affidò ad Argo dai cento occhi, che l’avrebbe custodita con attenzione.


Un giorno la giovenca Io si avvicinò a un fiume specchiandosi nelle sue acque ma vedendosi, si ritrasse intimorita.
 Vide suo padre e le sue sorelle che purtroppo non la riconobbero. 
Il padre però le porse dell’erba, lei tracciò con la zampa una scritta sulla polvere in modo da farsi riconoscere. 

Proprio in quel momento giunse Argo che la trascinò via. Ma Zeus si impietosì per la ragazza e decise di farla liberare da Mercurio. Quest’ultimo nei panni di un pastore si presentò ad Argo suonando una dolce musica e narrando la storia di Pan e Siringa.
 Argo si addormentò e Mercurio gli tagliò la testa dai cento occhi. 

Quando Giunone lo scoprì, si arrabbiò moltissimo e costrinse Io a peregrinare per il mondo finché raggiunse le sponde del Nilo.
 Qui Io supplicò Zeus di avere pietà. Quest’ultimo riuscì a convincere Giunone a liberarla e Io si trasformò finalmente in una fanciulla.


Giunone raccolse la testa di Argo e per omaggiarlo mise i suoi cento occhi di luce sulla coda della sua creatura sacra, il pavone. 

Questi occhi simboleggiano le stelle, l’universo, la luna, la volta celeste. 

I Romani non a caso chiamavano il pavone “uccello di Giunone” e dicevano che accompagnasse le anime delle imperatrici nell’aldilà.



Tratto da : eticamente.net