giovedì 23 marzo 2017
North Island, il paradiso dell’occhialino bruno
North Island è una piccola isola delle Seychelles, a nord ovest di Mahé, conosciuta soprattutto per l’esclusività del suo ecoresort immerso nella biodiversità e frequentato da vip.
Non tutti sanno, però, che qui si sta svolgendo un’incredibile storia legata alla conservazione della natura.
Protagonista è un piccolo uccello della famiglia Zosteropidae, l’occhialino bruno delle Seychelles, reintrodotto sull’isola dieci anni fa nell’ambito del progetto di conservazione l’Arca di Noè perché ritenuto sull’orlo dell’estinzione.
La popolazione mondiale era, infatti, stimata in appena 350-400 individui.
A distanza di un decennio dalla reintroduzione sull’isola di 25 individui, un recente censimento ha annunciato che la popolazione di North Island conta ora 105 individui di occhialino bruno, circa un sesto della popolazione mondiale attuale.
North Island è stata ritenuta l’isola ideale per il ripopolamento di questa specie per via del buono stato dei suoi habitat e l’assenza di ratti.
Ora l’occhialino bruno delle Seychelles è passato dallo status “Endangered” a quello “Vulnerable”.
Nel complesso, la popolazione di North Island appare in buona salute e autosufficiente e si prevede un aumento grazie a una serie di azioni in corso per il ripristino degli habitat, tra cui ripulitura di ampie aree dalla vegetazione alloctona in favore di piante e arbusti autoctoni.
Anche l’eradicazione del maina comune, un uccello che su queste isole è considerato specie invasiva e responsabile della predazione di numerosi nidi di occhialino bruno, dovrebbe favorire l’aumento della popolazione.
«Gli sforzi di conservazione formano il nucleo dei nostri valori e permeano tutte le aree di attività» spiegano i gestori dell’isola, sostenitori di un ecoturismo responsabile che salvaguardi e conservi la fauna selvatica attraverso un impatto minimo.
E a riprova dell’impegno, è arrivata la vittoria di North Island al National Geographic Heritage Awards nella categoria Conservazione mondiale della natura, iniziativa che premia aziende, organizzazioni e destinazioni del settore turistico orientate verso pratiche sostenibili.
Fonte rivistanatura.com
Il canyon di Marafa, “la cucina del diavolo”
Si chiama Nyari, “il posto che si rompe da solo”, perché la terra davvero sembra fratturata, ma anche Hell’s Kitchen, tradotto in italiano come “la cucina del diavolo”, per le infernali temperature infuocate che raggiunge.
In Kenya, 30 km a nord ovest di Malindi, un’ora di strada sterrata suggestiva tra radure, villaggi, acacie e baobab, si trova Marafa, paese caratterizzato da questo luogo singolare ed evocativo.
Un canyon surreale, che a seconda dell’ora del giorno cambia colore, raggiungendo al tramonto, l’ora migliore per visitarlo, un rosso infuocato.
Artefici dell’erosione della roccia arenaria, la pioggia e il vento, che hanno dato origine nei secoli a un vero spettacolo della natura. A contrasto con il blu del cielo e il verde della foreste, si alternano pareti verticali con sfumature in chiaroscuro, tra il bianco e l’ocra, guglie rossastre, pilastri di pietra alti anche 30 metri.
Ma gli abitanti del luogo si tramandano su come si è creato il canyon tutta un’altra storia.
Racconta la leggenda della tribù Giriama, che un tempo questa fosse una terra verde e fertile.
Ci abitava una famiglia talmente ricca, grazie a un gregge di mucche, da potersi concedere di fare il bagno e lavare i vestiti con il latte, un bene estremamente prezioso in Africa, dove manca persino l’acqua.
Ma un giorno Dio vide tale spreco e si adirò, facendo sprofondare la ricca famiglia e tutto il suo bestiame in questa gola inospitale che porta i segni del sangue e del latte.
Un’altra versione vuole che, a meritare l’ira, sia stato l’intera Marafa che, sempre a causa dei suoi sprechi, fu sommersa da una grande alluvione, dalla quale sarebbe nato il canyon.
La roccia arenaria tenera continua a consumarsi sotto l’effetto degli agenti atmosferici.
Per la pioggia cede e crolla, facendo cambiare l’aspetto del sito ad ogni acquazzone.
Dall’ alto lo spettacolo è mozzafiato, ma è scendendo all’ interno del canyon, lungo tre km di sentiero, che si definiscono i contorni, tra cespugli e alberi di ebano, rocce dalla conformazione originale, guglie appuntite e pareti levigate.
L’entrata al sito è gestita da una Cooperativa locale, che forma le guide e contribuisce al sostentamento dell’omonimo villaggio.
Fonte: lastampa.it