martedì 9 febbraio 2016

Perché si gettano soldi nelle fontane?


Gettare monete nelle fontane o nei pozzi per propiziarsi la fortuna è un gesto con origini antiche ed è probabilmente da attribuire alla credenza che l’acqua fosse abitata da divinità.
 In particolare, le popolazioni celtiche e germaniche erano solite sistemare statue di legno vicino ai pozzi e gli stessi Germani gettavano le armi dei nemici sconfitti in corsi o specchi d’acqua come offerta alle divinità che pensavano vi dimorassero. 
 Fra i più celebri dèi collegati all’acqua vi era Mimir, famoso nella mitologia nordica per la sua saggezza e custode di una fonte magica.

Fare un’offerta alle divinità era quindi un modo per garantirsi la fortuna e la realizzazione del desiderio espresso, ma aveva anche funzioni igieniche. 
Le monete erano infatti composte perlopiù da rame o argento, che a contatto con l’acqua producevano una reazione chimica che ne impediva l’inacidimento. 
 Oggi questa usanza è spesso un business, che nelle fontane più famose del mondo aumenta di molto nei periodi di maggiore affluenza turistica.
 Il denaro raccolto, di solito, è comunque destinato ad opere di carità. 

 Fonte: focus.it

Fuochi fatui: “luci fantasma” tra leggenda e scienza


In tutto il mondo si narrano leggende su strane luci spettrali osservate dai viaggiatori nel cuore della notte.
 Le apparizioni si mostrano come bizzarre fiammelle solitamente di colore blu che si manifestano a livello del terreno in particolari luoghi come i cimiteri, le paludi e gli stagni nelle brughiere. Il fenomeno è conosciuto con una varietà di nomi: in italiano sono noti come “fuochi fatui”, nome che mira più a descrivere il modo in cui si manifesta il fenomeno, mentre nei paesi anglosassoni, sono conosciuti come “Will-o’-the-Wisp”, oppure “Jack-o’-lantern”, in base alla leggenda cui fanno riferimento.

 Anche la scienza si è interrogata sul fenomeno. 
Benché non esistano prove sulla reale esistenza dei fuochi fatui in natura, sono state avanzate diverse teorie, tra cui quella quella sull’ossidazione del fosfano e metano, prodotto dalla decomposizione anaerobica del carbonio organico, che può provocare una luce splendente dovuta a chemiluminescenza. Tuttavia, come riporta l’Enciclopedia del CICAP, l’origine del fenomeno è tutt’altro che chiarita. 

 Le leggende che riguardano i fuochi fatui sono davvero tantissime e riportate in tutto il mondo, anche se quelle meglio attestate si tramandano nel folklore inglese e in gran parte di quello europeo. 
 I racconti britannici si somigliano un po’ tutti e sottolineano l’aspetto malefico della luce in sé o di chi la porta con sé. 
Quelli più noti sono quelli di “Will-o’-the-Wisp”, o “Jack-o’-lantern”.
 Il termine Will-o’-the-Wisp si basa sul racconto di fabbro malvagio di nome Will, il quale, giunto alla fine dei suoi giorni, ebbe da San Pietro la possibilità di redimersi.
 Essendone incapace, fu condannato a vagare sulla Terra per sempre, con in mano un carbone ardente per scaldarsi.
 Fedele alla sua malvagità, Will si serviva del carbone luminoso per attirare in trappola gli ignari viaggiatori che notavano la luce, conducendole in fitte foreste e terribili paludi dalle quali non riuscivano più ad uscire.
 La leggenda di Jack-O’-Lantern, invece, risale all’Irlanda. La storia racconta dell’alcolizzato Jack che fu anche lui costretto a vagare per l’eternità con una lanterna in mano, in quanto escluso sia dal Paradiso che dall’Inferno, non solo per la sua vita immorale, ma anche per aver addirittura tentato di ingannare il diavolo. 

Nell’Europa continentale, le luci vengono associate allo spirito dei defunti, alle fate o ad altri esseri soprannaturali che cercano di far perdere il sentiero agli ignari viaggiatori.
 Altre volte, si ritiene che le luci notturne siano gli spiriti dei bambini non battezzati o nati morti, i quali, non potendo accedere né al paradiso, né all’inferno, volano sospesi nel limbo.
 Storie simili si narrano in nord Europa. 
In Svezia, ad esempio, la leggenda vuole che il fuoco fatuo sia l’anima di una persona non battezzate che attira i viaggiatori verso l’acqua, nella speranza di riceve il battesimo.
 In Danimarca e Finlandia, invece, il fuoco fatuo era associato alla presenza di un qualche tesoro sepolto nelle profondità del terreno o di una palude. 

 Anche l’Asia conosce numerose leggende associate a questi enigmatici fuochi notturni. 
Nel folklore giapponese sono conosciuti come Hitodama, letteralmente “sfera di spirito”. 
 Sono le anime delle persone morte da poco e appaiono come piccole sfere luminose di colore blu pallido o verdastro con una piccola coda, generalmente nei cimiteri e soprattutto in estate. Sarebbe talvolta possibile osservarle accanto a persone gravemente malate come manifestazione dell’anima che lascia gradualmente il corpo. 
 Altri tipi di fuochi fatui presenti nella tradizione giapponese sono gli onibi (fuochi demoniaci), originari della tradizione cinese dove sono noti come guǐhuǒ, che accompagnano le manifestazioni di esseri spirituali di origine non umana, accusati di attirare i viandanti lontano dal sentiero per farli perdere nel bosco.


Il primo tentativo di spiegare scientificamente le cause dei fuochi fatui è da attribuire al fisico italiano Alessandro Volta, il quale, nel 1776, scoprì il metano.
 Egli propose che alcuni fenomeni elettrici naturali, come i fulmini, potrebbero interagire con i gas prodotti dalla palude producendo il noto fuoco fatuo. 
 Molti scienziati sposarono la tesi di Volta, che però fu presto messa in discussione dato che le testimonianze non accennavano a condizioni meteorologiche favorevoli ai fulmini, riportavano assenza di calore e lo strano comportamento del fuoco fatuo che sembra retrocedere quando avvicinato da qualcuno.
 Tuttavia, l’apparente ritiro del fuoco fatuo poteva essere facilmente spiegato con lo spostamento dell’aria generato da oggetti in movimento in prossimità del fenomeno e la conseguente dispersione dei gas.

 La tesi fu dimostrata con una serie di esperimenti prodotti nel 1832 da Louis Blesson.

 Nella scienza moderna, è generalmente accettato che la maggior parte dei fuochi fatui sono causati dall’ossidazione di fosfina (PH3), difosfano (P2H4) e metano (CH4). 
Queste molecole, prodotte dalla decomposizione organica, a contatto con l’ossigeno possono provocare emissione di fotoni.
 Un tentativo di replicare un fuoco fatuo in laboratorio fu tentato nel 1980 dal geologo britannico Alan A. Mills dell’Università del Leicester. 
 Lo scienziato riuscì a produrre una nube incandescente fredda mescolando fosfina, greggio e gas naturale, ottenendo una luce di colore verde, ma anche una copiosa quantità di fumo acre, fattore in contrasto con la maggior parte delle testimonianze oculari di fuoco fatuo.
 Lo stesso Mills, in uno studio prodotto nel 2000, propose che i fuochi fatuo fossero “fiamme fredde”, ovvero aloni luminescenti precombustione che si verificano quando vari composti sono riscaldati appena sotto il punto di accensione. 
 Nel 2008, i chimici italiani Luigi Garlaschelli e Paolo Boschetti hanno replicato gli esperimenti di Mills segnando qualche progresso.
 La luce era ancora verdastra, ma regolando le concentrazioni di gas e le condizioni ambientali (temperatura e umidità) è stato possibile ridurre il fumo e l’odore a livelli non rilevabili.

 Fonte: accademiadellescienze

Mocona falls , 3 Km di cascate parallele al fiume Uruguay


Le cascate di Iguazu possono anche essere considerate le cascate più popolari in Argentina, ma le cascate di Mocona vincono sicuramente il titolo per le più singolari.
 Esse non seguono la normale traiettoria verso il basso e in avanti come la maggior parte cascate fanno, ma  lungo la lunghezza del fiume e la fuoriuscita dell’acqua è di lato!
 Hanno 3 km di lunghezza e sono forse uniche in tutto il mondo.


Mocona Falls, note anche come Yucuma Falls, si trovano nel fiume Uruguay, in provincia di Misiones, in Argentina, 337 km dalla città di Posadas e 322 km da Iguazu Falls. 
Dal momento che il fiume Uruguay funge da confine naturale tra Argentina e Brasile, questa caratteristica geologica unica è condivisa da entrambi i paesi.
 Il nome Moconá significa “ingoiare tutto” nella lingua Guarani e viene utilizzato soprattutto in Argentina. 
Yucuma significa “la grande caduta” ed è popolare in Brasile.


Una particolarità del fiume Uruguay è la presenza di una gola o trench sommerso al fondo del canale del fiume. 
Il canyon, che si pensa sia nato durante l’era glaciale, quando il clima era più secco e il fiume era più stretto, è profondo circa 100 metri. 
 Le cascate non sono visibili per 150 giorni l’anno in cui il fiume è in piena. 
Durante questo periodo, le cascate diventano più simili a rapide. 

Quando il livello dell’acqua si abbassa e scende sotto il bordo del canyon, inizia a formarsi questo suggestivo paesaggio.

 L’area in cui si trovano le cascate Mocona è considerato un Parco Provinciale che comprende la Riserva della Biosfera Yabotí.




Tratto da: http://blog.zingarate.com/