giovedì 28 gennaio 2016

Omo, la rara giraffa bianca della Tanzania


Nel Tarangire National Park, in Tanzania, nel gennaio 2015 venne avvistato un rarissimo cucciolo di giraffa bianco che ora dovrebbe avere 15 mesi e che è stato riavvistato pochi giorni fa dai ricercatori del Wild Nature Institute che dicono che questo eccezionale animale è riuscito miracolosamente a sopravvivere agli attacchi di predatori come leoni, leopardi e iene e, soprattutto, ai bracconieri umani. 
 Il piccolo di giraffa, che è stato chiamato Omo, come la marca di un detersivo che va ancora per la maggiore in Africa, non è albino ma leucistico, cioè le sue cellule superficiali del corpo non sono in grado di produrre pigmenti, così una parte o tutta la superficie del corpo resta “bianca”.
 Al Wild Nature Institute spiegano che «Un modo per capire la differenza tra gli animali albini e leucistici è che negli individui albini la melanina manca ovunque, anche negli occhi, in modo che il colore degli occhi risulta di colore rosso, a causa dei vasi sanguigni sottostanti».
 A differenza degli albini, Omo ha un po’ di colore: la sua criniera è rosso-ruggine, il ciuffo della sua coda e nero e gli occhi sono scuri come quelli della maggior parte delle giraffe, orlati da lunghe ciglia pallide. 
Come scrive Liz Boatman sulla Berkeley Science Review. «Il leucismo è poco pigmento, che è il motivo per cui gli occhi di Omo sono ancora scuri e che ha ancora sui fianchi un debole pattern di macchie delle giraffe».


Il giovane Omo sembra andare d’accordo con le altre giraffe del suo branco che hanno una colorazione normale che non sembrano curarsi del suo aspetto diverso, anzi, sembrerebbero aver protetto il cucciolo bianco in qualche modo, visto che sorprendentemente è sopravvissuto per i primi 15 mesi di vita, che sono il periodo più pericoloso per le giovani giraffe che possono essere uccise da un grande carnivoro. 
 Ma ora Omo deve affrontare un pericolo maggiore, che molto probabilmente lo perseguiterà per tutta la sua vita: i bracconieri umani. 
Infatti, gli animali bianchi diventare un bersaglio molto ambito di bracconieri e cacciatori semplicemente per il loro aspetto. 

Nel 2009 The Indipendent denunciò che un cacciatore tedesco aveva offerto più di 5.400 sterline per poter abbattere un capriolo albino che vive in Gran Bretagna. I serpenti del grano albini costano di più rispetto ai loro simili colorati e in Brasile sono stati rubati da uno zoo 7 alligatori albini per venderli ai collezionisti. Per non parlare della vera e propria persecuzione degli esseri umani affetti da albinismo che in Africa a volte vengono uccisi e mutilati per realizzare pratiche “magiche” frutto di pregiudizi e razzismo. 

Derek Lee, fondatore del Wild Nature Institute, che ha la sua sede ad Arusha, la capitale safari della Tanzania, ha detto a Sam Wood di Philly.com che Omo «Ora ha più di un anno di età, le sue possibilità di sopravvivenza nell’età adulta sono buone se non verrà disturbato».


La Giraffa bianca è stata scoperta per caso: lo staff del Wild Nature Institute scatta foto digitali alle giraffe per poi identificarle individualmente con l’ausilio di software di riconoscimento dei modelli unici delle loro macchie. 
«Stiamo documentando nascite, decessi e movimenti di oltre 2.100 singole giraffe attraverso 4.000 chilometri quadrati di territorio che sono un mosaico di parchi nazionali, allevamenti e Wildlife Ranch turistici, pascoli del bestiame dei Masai e campi agricoli – spiega Lee – Stiamo studiando le giraffe in un territorio in  cui molte persone vivono fianco a fianco con le giraffe, in modo che possiamo imparare dove giraffe stanno bene, dove no e perché, al fine di proteggere e collegare le aree più importanti per la sopravvivenza delle giraffe. 
Guidiamo lungo centinaia di km di piste 6 volte all’anno per raccogliere le nostre catture fotografiche e abbiamo trovato Omo durante una delle nostre indagini periodiche».
 Il piccolo sembra il solo esemplare bianco tra le circa 3.000 giraffe che vivono nell’area del Tarangire. 
 Per quanto riguarda il rischio bracconaggio, Lee ricorda che «In Tanzania è illegale uccidere giraffe, in quanto sono l’animale nazionale, ma è ben noto che la caccia per rifornire il mercato illegale della carne è dilagante intorno al Tarangire.
 Purtroppo tutte le giraffe, non solo quelle bianche come Omo, sono minacciate dal bracconaggio di animali selvatici.
 Fortunatamente, Omo vive in un parco nazionale dove c’è la più alta probabilità di sopravvivenza grazie agli sforzi anti-bracconaggio nella zona. 
Ci auguriamo che la popolarità di Omo aumenterà la consapevolezza globale sui problemi delle giraffe».

 Fonte: greenreport.it

Alla scoperta di Villa d’Este: un capolavoro assoluto del giardino all’italiana


Tivoli, alle pendici occidentali dei monti Tiburtini, ad est di Roma, lungo il fiume Aniene, ha goduto, sin dall’antichità, di condizioni favorevoli dal punto di vista climatico e strategico. 
In questa città tappa obbligata è Villa d’Este, capolavoro assoluto del giardino all’italiana, un modello che ha influenzato, attraverso il suo fascino, l’evoluzione dell’arte del giardino in Italia e in Europa. Inserita tra i siti Unesco, la straordinaria Villa cattura l’attenzione dei visitatori per l’impressionante concentrazione di fontane, ninfei, grotte, giochi d’acqua e musiche idrauliche, sviluppandosi su più terrazzamenti ed è privilegiata da un terrazzo con affaccio sul paesaggio dell’agro romano. 

Voluta dal cardinale Ippolito II d’Este, nominato governatore della città di Tivoli da papa Giulio III, nacque in un luogo che aveva un nome felice: “Valle Gaudente”; un breve vallata che scendeva tra dolci pendici di vigne e oliveti, percorse tra viuzze campestri, popolate da casupole bianche con tetti rossi, da ruderi dorati, da qualche tabernacolo e da una piccola chiesa.
 Villa d’Este, che ha attraversato un grave periodo di decadenza sotto gli Asburgo, per poi ritornare a risplendere col cardinale Gustav Adolf von Hogenlohe Schillingsfurst a metà 800, ha richiesto 20 anni per la sua realizzazione, a partire dal 1550. 

Il cardinale conferì tale incarico all’architetto napoletano Pirro Ligorio, che fece un lavoro davvero notevole, avvalendosi della collaborazione di valenti idraulici tra cui Giacomo della Porta e Claude Venard. 

 Proprio in quegli anni il musicista Franz Liszt compose al pianoforte la famosa "Giochi d'acqua a Villa d'Este, eseguendola in un concerto all’interno della villa.

 



Solo per citare alcuni imponenti numeri riguardanti la sua composizione: 35.000 mq complessivi di giardino, 250 zampilli, 60 polle d’acqua, 255 cascate, 100 vasche e 50 fontane, 30.000 piante a rotazione stagionale, 150 piante secolari ad alto fusto, 15.000 piante e alberi ornamentali perenni, 9000 mq di viali, vialetti e rampe.
 Il visitatore è trasportato in una reggia d’altri tempi, amata dagli artisti del Grand Tour tra 700 e 800, ampiamente riprodotta nelle opere di Fragonard, famoso artista francese settecentesco.
 Il giardino con i suoi cipressi pluricentenari e le sue gigantesche sequoie, era impostato per meravigliare e stupire papi, sovrani e principi e, nella sua conformazione architettonica a terrazzamenti, doveva ricordare i mitici giardini di Babilonia.


Una curiosità: le fontane non sono alimentate da congegni meccanici ma semplicemente sfruttando la pressione naturale dell’acqua del fiume Aniene, convogliata nella Villa attraverso incredibili lavori idraulici.
 Spiccano: la Fontana dell’Ovato, le Cento Fontane (dove l’acqua sgorga da innumerevoli mascheroni e zampilli), la Fontana dell’Organo, la Fontana dei Draghi, quella di Nettuno, di Madre Natura o dell’Abbondanza, dove l’acqua sgorga da numerose mammelle, simbolo di fecondità.








Fonte: http://www.meteoweb.eu

La leggenda dei giorni della merla


Ci sono diverse varianti della leggenda dei giorni della merla, ma in tutte le varianti ci sono due cose che rimangono sempre fisse, una sono i merli e l’altra sono i giorni: il 29, il 30 e il 31 Gennaio. Questi tre giorni si dice che siano “i tre giorni più freddi dell’anno”, quelli che gli “anziani del paese” sanno leggere per prevedere come sarà il clima di tutto l’anno. 

La leggenda più bella è quella che narra della continua “bagarre” tra il mese Gennaio e i merli, che una volta portavano un piumaggio candido con un becco bello arancione. 
Si narra che Gennaio fosse un mese alquanto dispettoso, di soli 28 giorni, e che si divertisse a gelare una merla quando lei cercava di uscire dal nido in cerca di cibo.
 La merla stufa dei continui attacchi del mese antipatico, decise di fare scorte per tutti i 28 giorni, e allo scadere del tempo uscì dal nido a sbeffeggiare il mese… che però non contento decise di chiedere in prestito tre giorni a Febbraio (che all’epoca pare avesse 31 giorni) e attaccò con tutto il freddo che poteva la povera merla, alla quale non restò che un’unica via di salvezza, un caldo comignolo dove ripararsi… Purtroppo quando il terzo giorno la merla uscì dal comignolo, la fuliggine aveva trasformato il suo candido piumaggio in un nero brillante… e da allora tutti i merli sono diventati neri.


Ogni leggenda ha un fondo di verità, per esempio il fatto che Gennaio fosse un mese breve lo possiamo ritrovare confermato nell’antico calendario romano, dove il primo mese dell’anno aveva solo 29 giorni. 
Come dicevo prima gli anziani sanno “leggere” questi tre giorni per prevedere l’andare delle stagioni, ebbene si dice che se i giorni della merla sono terribilmente freddi, la primavera sarà bella e arriverà presto, se invece in quei tre giorni il tempo sarà clemente, la primavera tarderà ad arrivare e non sarà così fiorente.

 Un’altra leggenda narra che i merli da candidi siano diventati neri perché papà merlo lasciò la mamma merla e i suoi pulcini al riparo accanto ad un camino, durante gli ultimi giorni di Gennaio, per andare a cercare del cibo.
 Quando tornò, la fuliggine aveva fatto diventare neri sia la mamma che i piccoli, e lui faticò a riconoscerli… Da quella volta tutti i piccoli nacquero neri.

 Fonte: www.eticamente.net