lunedì 25 gennaio 2016
La triste verità sugli elefanti che trasportano i turisti
A vederli passeggiare con un mantello giallo e rosso sul dorso, e un ombrellone che ripara dal sole, ai turisti può sembrare che vada tutto bene, che questa sia una tradizione locale.
In Asia, infatti, è normale vedere un elefante che porta le persone a passeggio per le città, mentre l’addestratore fa da guida turistica, come se i passeggeri fossero su un autobus a due piani.
Ma prima di diventare degli elefanti a disposizione delle gite dei visitatori, gli animali vengono ingabbiati, picchiati, lasciati per giorni senza cibo né la possibilità di dormire.
«La pratica inflitta agli elefanti selvaggi si chiama “schiacciamento”, e consiste nel legarli con delle corde e colpirli violentemente fino a quando, stremati, non si sottomettono all’uomo - spiega il veterinario Jan Schmidt Burbach, consigliere dell’organizzazione no profit londinese “World Animal Protection” -. E’ un modo per distruggere le loro anime, per ridurre in pezzi le loro vite e fare business».
Di solito, i giovani elefanti vengono sottratti alle loro madri, in modo che l’addestramento sia più rapido e semplice.
Quando i cuccioli vengono scelti, hanno pochi mesi, con la conseguenza che non conoscono un’altra vita all’infuori di questa: far salire sulla propria schiena una o più persone, e accompagnarle in giro per le strade delle località che vogliono visitare. «L’addestramento è molto duro - prosegue Jan Schmidt Burbach - e li fa soffrire moltissimo.
Questa pratica nutre l’industria del turismo, dove sono sempre più richiesti».
Anche se la cattura degli elefanti selvaggi in Asia non è legale, di solito gli addestratori riescono a prenderli e ingabbiarli ugualmente, «per poi sottometterli e addestrarli il più in fretta possibile - prosegue il veterinario - etichettandoli come animali “in cattività”. E se l’animale non è più selvaggio, le misure di salvaguardia della specie non possono più essere applicate».
Fonte: http://www.lastampa.it/
Il ponte di ghiaccio di Leonardo da Vinci
Un ponte realizzato interamente in ghiaccio, progettato niente meno che da Leonardo da Vinci, sarà realizzato in Finlandia, nella cittadina di Juuka.
Si tratterà del più lungo ponte di ghiaccio di tutto il mondo e avrà la particolarità – appunto – di non essere il risultato dell’ingegneria moderna, della tecnologia contemporanea o dell’innovazione di oggi, ma della fantasia e della creatività del genio toscano.
Juuka è conosciuta in tutto il pianeta perché ogni anno vi si svolge una manifestazione molto speciale, che attira persone da ogni angolo del globo: va in scena, infatti, il Festival del Ghiaccio. Ebbene, in occasione dell’ultima edizione della kermesse, poche settimane fa, è stato dato il via alla costruzione del ponte di ghiaccio: una vera e propria struttura da Guinness dei Primati, se è vero che avrà una lunghezza di 65 metri e una larghezza di 16 metri.
Chi non vuole perdere l’opportunità di osservarlo da vicino, o addirittura di camminarci sopra, non deve fare altro che attendere pochi giorni, visto che l’apertura al pubblico è prevista per il prossimo 16 febbraio.
Occorre affrettarsi, però, perché – come si può facilmente immaginare – con l’arrivo della stagione primaverile il ponte è destinato a sciogliersi: d’altro canto, scegliendo un materiale effimero come il ghiaccio non ci si poteva aspettare altro.
Ciò non toglie che, fino a quando sarà in vita, il ponte di Juuka potrà ospitare e sostenere il peso di veicoli del peso di due tonnellate, oltre – ovviamente – al via vai delle persone.
Ma come è possibile che questa costruzione sia stata progettata secoli e secoli fa da Leonardo Da Vinci?
Molto semplicemente, i disegni che sono stati impiegati si ispirano al ponte che Leonardo avrebbe voluto realizzare all’inizio del XVI secolo e più di preciso nel 1502
Il ponte leonardesco, nelle intenzioni del genio, avrebbe dovuto congiungere Pera, sul Bosforo di Istanbul e la Punta del Serraglio, al fine di soddisfare una richiesta che era stata espressa direttamente da Bayezid II, il sultano dell’Impero ottomano.
Quel ponte, tuttavia, non è mai stato costruito, ma in un certo senso rivivrà in Finlandia, un po’ più a nord rispetto alla collocazione per la quale era stato ideato in origine.
L’ingegneria scandinava, dunque, almeno in questo caso c’entra poco o nulla, anche se la realizzazione del ponte è stata favorita dalla Structural Ice Association con la collaborazione dell’amministrazione comunale di Juuka. Non solo: ad organizzare gli eventi di ghiaccio nelle vicinanze sono in molti, con il coinvolgimento di più di 15 tra istituti internazionali e università. L’utilizzo di più di 800 tonnellate di una miscela composta da fibre legnose e ghiaccio, chiamate pikrete, è il punto di partenza per questa costruzione.
Si tratta, per altro, di un procedimento molto ecologico e rispettoso dell’ambiente.
La Structural Ice Association ha spiegato che la creazione del ponte può essere considerata un’eredità della tradizione degli igloo, ovviamente con tutti i miglioramenti tecnici del caso, anche se sono pochi i ricercatori impegnati in questo settore e coloro che studiano e lavorano per rendere gli edifici ghiacciati una realtà più diffusa. Anche per questo motivo il ponte di Juuka può essere considerato un traguardo importante, oltre che – a sua volta – uno strumento di ricerca, un modo per scoprire fino a che punto il ghiaccio può essere adoperato come materiale da costruzione.
La campata prevista per il ponte di Leonardo era di 240 metri, anche se all’epoca si riteneva che dare vita ad un ponte con queste dimensioni non fosse possibile.
In realtà, il progetto leonardesco ha già preso vita nel 2001, sempre in Scandinavia ma questa volta in Norvegia: in legno, però e non con il ghiaccio.
La struttura finlandese fatta con il pykrete sarà una riproduzione in piccolo, nel senso che la campata sarà di appena 35 metri, ma si tratterà comunque di un esperimento di grande rilevanza, con il ricorso a uno stampo di base costituito da una struttura gonfiabile.
Fonte: http://meteofan.it/
Asclepio e l'uso dei sogni per curare le malattie con l'aiuto degli dei
Tutti noi abbiamo familiarità con la figura di Asclepio, dal momento che il simbolo che utilizziamo oggi per la medicina, il bastone con due serpenti intrecciati, è la raffigurazione della verga utilizzata dal dio greco.
Era figlio di Apollo e della principessa Coronide.
Secondo il mito, Apollo si innamorò di Coronide mentre ella faceva il bagno in un lago.
I due consumarono la loro passione, poi il dio andò via, lasciando un corvo a guardia della ragazza. Coronide decise di sposarsi con Ischys, e il corvo, quando li vide assieme, volò da Apollo per riferire.
Quando scoprì che Coronide era incinta, decise di punire il corvo, tramutandogli le piume da bianche in nere, poiché non aveva allontanato Ischys da Coronide.
Artemide uccise Coronide trafiggendola con un dardo, su richiesta del fratello disonorato.
Apollo, però, decise di salvare il piccolo che Coronide aveva in grembo, e chiese ad Ermes di prenderlo dal corpo della madre. Apollo decise di dare al piccolo il nome di Asclepio.
Un’altra versione del mito racconta che Apollo stesso uccise Coronide e, compreso il suo errore, estrasse il feto di Asclepio. Asclepio è quindi un semi-dio (oggi diremmo un ‘ibrido’).
Fu allevato da una misteriosa figura mitologica greca, il centauro Chirone, il quale allevò Asclepio istruendolo nell’arte della medicina.
Il giovane divenne talmente bravo da essere in grado di ridare la vita ai morti.
Tuttavia, il dio dell’Ade si lamentò con Zeus, dato che Asclepio riusciva a strappare un gran numero di persone alla morte. Il risultato fu che Zeus decise di mettere fine alla vita di Asclepio distruggendolo con un fulmine. Dopo la sua morte, Asclepio ha raggiunto la sua dimora presso la costellazione di Ofiuco (Colui che porta il serpente).
Certamente, quella di Asclepio, in confronto alle narrazioni della mitologia greca sullo stile di vita delle divinità, è una figura in controtendenza.
Rispetto ai suoi ‘simili’, Asclepio sembrava realmente interessato alla salute e al benessere dell’uomo, tanto da volergli fare addirittura il dono dell’immortalità.
I templi dedicati al signore della medicina erano centri di culto, ma allo stesso tempo avevano anche la funzione di ospedali, i primi ad essere eretti nella storia occidentale.
Si stima che nella Grecia antica si contassero circa 320 Asclepeion (ospedali).
Ma ciò che più interessa è l’approccio olistico nelle cure tramandate e fatte discendere direttamente dall’insegnamento di Asclepio.
Le malattie erano considerate il risultato di molteplici fattori sociali, ambientali, psicologici, spirituale, emotivi e fisici.
In effetti, non si prendeva in considerazione solo il corpo del paziente, ma l’interezza della sua persona.
La terapia aveva lo scopo di armonizzare e bilanciare tutti questi fattori.
Come sottolinea John Black su Ancient Origins, i nostri antenati avevano sviluppato il perfetto equilibrio tra scienza e spiritualità. Nell’Asclepeion, il paziente veniva inizialmente posto in un ambiente piacevole a godere di teatro e musica; poi veniva sottoposto ad un regime dietetico più salutare; infine, venivano prescritte sedute di idroterapia e psicoterapia.
Quando i terapeuti reputavano il paziente pronto, questi veniva portato al tempio per pregare e poi dormire al suo interno.
La mattina dopo, il paziente raccontava al medico cosa aveva sognato e cosa aveva provato, in quanto si credeva che la visita in sogno di Asclepio fosse la chiave per curare tutte le malattie. Dall’interpretazione del sogno sarebbero arrivate la terapia che il paziente doveva eseguire per ottenere la completa guarigione.
Tra i centri di guarigione più importanti, forse il più conosciuto ed enigmatico è quello che si trova alla base dell’acropoli di Pergamo, in Turchia.
La città fu fondata nel 4° secolo a.C., attorno ad una sorgente ritenuta sacra che scorre ancora oggi.
Nel corso dei secoli è diventato uno dei centri di cura più conosciuti del mondo antico, secondo per importanza solo a Epidauro, in Grecia, considerato il primo ospedale psichiatrico del mondo.
L’influente medico Galeno nacque proprio a Pergamo e qui vi pratico l’arte medica intorno al 2° secolo d.C., affermando la sua buona reputazione come guaritore di gladiatori.
Il trattamento medico per eccellenza somministrato a Pergamo era garantito dalla sorgente sacra, la quale si è scoperto più tardi avere proprietà radioattive.
Le sorgenti sacre sono state visitate da personaggi importanti come l’imperatore romano e filosofo Marco Aurelio, e innumerevoli altre persone comuni in cerca di cure per i loro disturbi fisici e mentali.
I pazienti cominciavano la terapia percorrendo la Via Sacra, alla quale si accedeva attraverso un passaggio sotterraneo.
Il tunnel era costellato di cubicoli su entrambi i lati, dove alcuni pazienti vi trascorrevano la notte per poi raccontare i loro sogni ai sacerdoti-medici, in modo da facilitare la diagnosi della loro malattia.
Al mattino, una volta saliti al tempio, i pazienti percorrevano un sentiero circolare in modo da camminare in una sorta di processione senza fine.
Dopo di che, si veniva sottoposti ad una serie di trattamenti che comprendevano la psicoterapia, massaggi, rimedi erboristici, fanghi e trattamenti balneari, interventi chirurgici e la somministrazione dell’acqua della sorgente sacra.
All’interno dell’Asclepeion c’era anche un teatro, per intrattenere i pazienti che vi sarebbero rimasti per settimane.
Tutto questo veniva fatto nella convinzione che la guarigione era un’arte sacra e che le anime delle persone avevano bisogno di essere curate, così come i loro corpi.
Secondo le cronache del tempo, pare che i rimedi proposti a Pergamo avessero una grande efficacia nel guarire le malattie. Ancora oggi, migliaia di persone si recano in pellegrinaggio all’antico sito di Pergamo nella speranza di ottenere la guarigione. Nei nostri ospedali moderni, dove per lo più impera la burocrazie e la spersonalizzazione delle cura, forse non sarebbe male recuperare lo spirito ‘olistico’ che animava l’arte medica dei greci antichi.
E’ interessante sottolineare il fatto che 3 mila anni fa l’approccio alla malattia e alla guarigione era completamente differente rispetto ad oggi, e forse anche molto più efficace.
Da dove veniva questo valido approccio olistico, in cui il paziente veniva trattato con umanità e curato nell’interezza della sua persona?
E perché, da parte nostra, abbiamo permesso che l’arte medica diventasse il monopoli di potenti case farmaceutiche che più che curare, hanno interesse a prolungare la malattia (in modo da mungere l’ammalato come una vacca che produce profitti interessanti)?
Anche in questo, parliamo di una disciplina insegnata agli esseri umani direttamente dagli dei.
Asclepio, ispirato dal desiderio di insegnare agli uomini l’arte medica, ha pagato con la vita l’ira di Zeus, il quale concepiva l’immortalità come appannaggio unico delle divinità.
In una bizzarra trasposizione moderna, la storia di Zeus ed Asclepio ricorda tristemente il rapporto tra le case farmaceutiche, divinità che tengono nelle loro mani il monopolio bastardo delle cure mediche, e la ricerca di terapie mediche che sappiano guardare all’interezza della persona umana e che siano realmente efficaci.
Fonte: ilnavigatorecurioso.it
Era figlio di Apollo e della principessa Coronide.
Secondo il mito, Apollo si innamorò di Coronide mentre ella faceva il bagno in un lago.
I due consumarono la loro passione, poi il dio andò via, lasciando un corvo a guardia della ragazza. Coronide decise di sposarsi con Ischys, e il corvo, quando li vide assieme, volò da Apollo per riferire.
Quando scoprì che Coronide era incinta, decise di punire il corvo, tramutandogli le piume da bianche in nere, poiché non aveva allontanato Ischys da Coronide.
Artemide uccise Coronide trafiggendola con un dardo, su richiesta del fratello disonorato.
Apollo, però, decise di salvare il piccolo che Coronide aveva in grembo, e chiese ad Ermes di prenderlo dal corpo della madre. Apollo decise di dare al piccolo il nome di Asclepio.
Un’altra versione del mito racconta che Apollo stesso uccise Coronide e, compreso il suo errore, estrasse il feto di Asclepio. Asclepio è quindi un semi-dio (oggi diremmo un ‘ibrido’).
Fu allevato da una misteriosa figura mitologica greca, il centauro Chirone, il quale allevò Asclepio istruendolo nell’arte della medicina.
Il giovane divenne talmente bravo da essere in grado di ridare la vita ai morti.
Tuttavia, il dio dell’Ade si lamentò con Zeus, dato che Asclepio riusciva a strappare un gran numero di persone alla morte. Il risultato fu che Zeus decise di mettere fine alla vita di Asclepio distruggendolo con un fulmine. Dopo la sua morte, Asclepio ha raggiunto la sua dimora presso la costellazione di Ofiuco (Colui che porta il serpente).
Certamente, quella di Asclepio, in confronto alle narrazioni della mitologia greca sullo stile di vita delle divinità, è una figura in controtendenza.
Rispetto ai suoi ‘simili’, Asclepio sembrava realmente interessato alla salute e al benessere dell’uomo, tanto da volergli fare addirittura il dono dell’immortalità.
I templi dedicati al signore della medicina erano centri di culto, ma allo stesso tempo avevano anche la funzione di ospedali, i primi ad essere eretti nella storia occidentale.
Si stima che nella Grecia antica si contassero circa 320 Asclepeion (ospedali).
Ma ciò che più interessa è l’approccio olistico nelle cure tramandate e fatte discendere direttamente dall’insegnamento di Asclepio.
Le malattie erano considerate il risultato di molteplici fattori sociali, ambientali, psicologici, spirituale, emotivi e fisici.
In effetti, non si prendeva in considerazione solo il corpo del paziente, ma l’interezza della sua persona.
La terapia aveva lo scopo di armonizzare e bilanciare tutti questi fattori.
Come sottolinea John Black su Ancient Origins, i nostri antenati avevano sviluppato il perfetto equilibrio tra scienza e spiritualità. Nell’Asclepeion, il paziente veniva inizialmente posto in un ambiente piacevole a godere di teatro e musica; poi veniva sottoposto ad un regime dietetico più salutare; infine, venivano prescritte sedute di idroterapia e psicoterapia.
Quando i terapeuti reputavano il paziente pronto, questi veniva portato al tempio per pregare e poi dormire al suo interno.
La mattina dopo, il paziente raccontava al medico cosa aveva sognato e cosa aveva provato, in quanto si credeva che la visita in sogno di Asclepio fosse la chiave per curare tutte le malattie. Dall’interpretazione del sogno sarebbero arrivate la terapia che il paziente doveva eseguire per ottenere la completa guarigione.
Tra i centri di guarigione più importanti, forse il più conosciuto ed enigmatico è quello che si trova alla base dell’acropoli di Pergamo, in Turchia.
La città fu fondata nel 4° secolo a.C., attorno ad una sorgente ritenuta sacra che scorre ancora oggi.
Nel corso dei secoli è diventato uno dei centri di cura più conosciuti del mondo antico, secondo per importanza solo a Epidauro, in Grecia, considerato il primo ospedale psichiatrico del mondo.
L’influente medico Galeno nacque proprio a Pergamo e qui vi pratico l’arte medica intorno al 2° secolo d.C., affermando la sua buona reputazione come guaritore di gladiatori.
Il trattamento medico per eccellenza somministrato a Pergamo era garantito dalla sorgente sacra, la quale si è scoperto più tardi avere proprietà radioattive.
Le sorgenti sacre sono state visitate da personaggi importanti come l’imperatore romano e filosofo Marco Aurelio, e innumerevoli altre persone comuni in cerca di cure per i loro disturbi fisici e mentali.
I pazienti cominciavano la terapia percorrendo la Via Sacra, alla quale si accedeva attraverso un passaggio sotterraneo.
Il tunnel era costellato di cubicoli su entrambi i lati, dove alcuni pazienti vi trascorrevano la notte per poi raccontare i loro sogni ai sacerdoti-medici, in modo da facilitare la diagnosi della loro malattia.
Al mattino, una volta saliti al tempio, i pazienti percorrevano un sentiero circolare in modo da camminare in una sorta di processione senza fine.
Dopo di che, si veniva sottoposti ad una serie di trattamenti che comprendevano la psicoterapia, massaggi, rimedi erboristici, fanghi e trattamenti balneari, interventi chirurgici e la somministrazione dell’acqua della sorgente sacra.
All’interno dell’Asclepeion c’era anche un teatro, per intrattenere i pazienti che vi sarebbero rimasti per settimane.
Tutto questo veniva fatto nella convinzione che la guarigione era un’arte sacra e che le anime delle persone avevano bisogno di essere curate, così come i loro corpi.
Secondo le cronache del tempo, pare che i rimedi proposti a Pergamo avessero una grande efficacia nel guarire le malattie. Ancora oggi, migliaia di persone si recano in pellegrinaggio all’antico sito di Pergamo nella speranza di ottenere la guarigione. Nei nostri ospedali moderni, dove per lo più impera la burocrazie e la spersonalizzazione delle cura, forse non sarebbe male recuperare lo spirito ‘olistico’ che animava l’arte medica dei greci antichi.
E’ interessante sottolineare il fatto che 3 mila anni fa l’approccio alla malattia e alla guarigione era completamente differente rispetto ad oggi, e forse anche molto più efficace.
Da dove veniva questo valido approccio olistico, in cui il paziente veniva trattato con umanità e curato nell’interezza della sua persona?
E perché, da parte nostra, abbiamo permesso che l’arte medica diventasse il monopoli di potenti case farmaceutiche che più che curare, hanno interesse a prolungare la malattia (in modo da mungere l’ammalato come una vacca che produce profitti interessanti)?
Anche in questo, parliamo di una disciplina insegnata agli esseri umani direttamente dagli dei.
Asclepio, ispirato dal desiderio di insegnare agli uomini l’arte medica, ha pagato con la vita l’ira di Zeus, il quale concepiva l’immortalità come appannaggio unico delle divinità.
In una bizzarra trasposizione moderna, la storia di Zeus ed Asclepio ricorda tristemente il rapporto tra le case farmaceutiche, divinità che tengono nelle loro mani il monopolio bastardo delle cure mediche, e la ricerca di terapie mediche che sappiano guardare all’interezza della persona umana e che siano realmente efficaci.
Fonte: ilnavigatorecurioso.it