lunedì 18 gennaio 2016

I dipinti di eruzioni vulcaniche di 36mila anni fa


Una delle più note testimonianze di un’eruzione vulcanica è senza dubbio quella di Plinio il Giovane, relativa all’eruzione del Vesuvio che, nel 79 d.C., distrusse Stabiae, Ercolano e Pompei.
 Una testimonianza certamente antica, mai però quanto quella scoperta nelle grotte di Chauvet, dove 36 mila anni fa un gruppo di uomini fu testimone di violente eruzioni e lo raccontò sulle pareti delle grotte. 

Il complesso delle grotte di Chauvet (Vallon-Pont-d’Arc, Francia meridionale) fu scoperto nel 1994 e, fin da subito, le ricerche archeologiche scoprirono un gran numero di disegni, alcuni facilmente riconoscibili, come gruppi di animali o impronte di mani, altri di difficile interpretazione. 

Indipendentemente da questa scoperta, una ricerca geologica recente ha accertato che tra 30 e 40.000 anni fa in quell’area vi fu una serie di violentissime eruzioni, in seguito al risveglio di una serie di vulcani che copriva un’area di 500 chilometri quadrati.


Insieme ad eruzioni di lave fluide, si verificarono eruzioni esplosive che certamente potevano essere viste anche da lontano e dalle grotte in questione.

 Seguendo questo indizio Sebastien Nomade, dei Laboratoire des Sciences du Climat et de l’Environnment della Universitè de Versailles, ha rivisitato i graffiti di Chauvet e identificato, sulla testa di un Megaloceros (un cervo oggi estinto), disegni a forma di spruzzo che sembrano fontane di lava eruttate da un vulcano, un dettaglio che finora non sembrava avere un significato preciso. Spiega Nomade: 
«Il disegno è simile a quello che potrebbe fare un ragazzino di oggi se volesse rappresentare un’eruzione vulcanica».
 L’interpretazione del disegno è azzardata ma verosimile, e non è un caso unico. 
Altri “racconti” di eruzioni vulcaniche antiche si ritrovano a Catalhoyuk, nella Turchia centrale, ma risalgono ad appena 8 mila anni fa. 

 Fonte: ilnavigatorecurioso.it

Qual è la differenza tra musulmani sunniti e sciiti?


Nel mondo musulmano si moltiplicano gli scontri tra le due correnti dell’islam, i sunniti e gli sciiti. 
In Medio Oriente, un potente miscuglio di religione e politica ha acuito le divisioni tra il governo sciita dell’Iran e gli stati del golfo, che hanno governi sunniti.
 Ma cosa di preciso divide queste due correnti, e quanto è profonda la spaccatura?


La diatriba affonda le sue radici nel 632 dC, l’anno della morte del profeta Maometto, il fondatore dell’islam. Le tribù arabe che lo seguivano si divisero sulla questione di chi avrebbe dovuto ereditare quella che a tutti gli effetti era una carica sia politica che religiosa. 
La maggioranza dei suoi seguaci, che sarebbero in seguito divenuti noti come sunniti e che oggi rappresentano l’80 per cento dei musulmani, appoggiarono Abu Bakr, amico del profeta e padre della moglie Aisha.
 Secondo gli altri, il legittimo successore andava individuato tra i consanguinei di Maometto. Sostenevano che il profeta avesse designato a succedergli Ali, suo cugino e genero, e diventarono noti come sciiti, una forma contratta dell’espressione “shiaat Ali”, i partigiani di Ali. 
 I sostenitori di Abu Bakr ebbero la meglio, anche se Ali governò per un breve periodo in veste di quarto califfo, il titolo conferito ai successori di Maometto.

 La frattura in seno all’islam si consolidò quando Hussein, figlio di Ali, fu ucciso nel 680 a Kerbala (nell’attuale Iraq) dalle truppe del califfo sunnita al potere.
 I governanti sunniti hanno continuato a monopolizzare il potere politico, mentre gli sciiti hanno vissuto all’ombra dello stato, cercando una guida nei loro imam, i primi dodici dei quali discendevano direttamente da Ali. 
Con il passare del tempo, le credenze religiose dei due gruppi cominciarono a differenziarsi.


Oggi tutti i musulmani del mondo – 1,6 miliardi di persone – concordano sul fatto che Allah sia l’unico dio e che Maometto sia il suo profeta.
 Osservano i cinque pilastri dell’islam – tra cui si trova il ramadan, il mese di digiuno – e condividono un libro sacro, il Corano. Tuttavia, mentre i sunniti basano molto la loro pratica religiosa anche sugli atti del profeta e sui suoi insegnamenti (la sunna), gli sciiti vedono nei loro leader religiosi, gli ayatollah, un riflesso di Dio sulla Terra. 
 Questo ha indotto i sunniti ad accusare gli sciiti di eresia, mentre gli sciiti sottolineano come il dogmatismo sunnita abbia dato vita a sette estremiste come i puritani wahabiti. 

Per la maggior parte delle sette sciite è di fondamentale importanza la credenza secondo cui il dodicesimo e ultimo imam sia nascosto (ossia “in occultamento”) e che un giorno riapparirà per compiere la volontà divina.
 Il loro senso di emarginazione e di oppressione ha dato vita a cerimonie di lutto come la ashura, quando i fedeli sciiti in processione si flagellano per ricordare la morte di Hussein a Kerbala.

 Tra sunniti e sciiti non c’è mai stato uno scontro paragonabile alla guerra dei trent’anni, che ha visto contrapposte tra loro le diverse confessioni cristiane nell’Europa del seicento e ha provocato un numero enorme di morti. 
Questo è dovuto in parte alla scelta degli sciiti, consapevoli della loro condizione di minoranza, di tenere un profilo basso. 

Le linee che oggi dividono i musulmani in Medio Oriente sono tracciate tanto dalla politica quanto dalla religione. 
La “Mezzaluna sciita”, che dall’Iran passa per la Siria governata dal regime di Assad e finisce nel Libano dell’Hezbollah, un tempo era lodata da molti esponenti sunniti. Ma le rivoluzioni in corso nella regione hanno provocato una frattura tra i governi sciiti e gli stati sunniti del golfo Persico, come Arabia Saudita e Qatar, che sostengono i loro correligionari con denaro contante.
 Questa situazione ha rafforzato l’assertività dei sunniti facendo sentire gli sciiti più minacciati che mai. 

 Fonte: http://www.internazionale.it/

 Questo articolo è stato pubblicato su The Economist.