martedì 12 gennaio 2016

Alla ricerca di Nemo: i pesci pagliaccio riescono davvero a migrare per chilometri


I pesci pagliaccio sono diventati famosi perché protagonisti del film Disney Pixar "Alla ricerca di Nemo", che narrava un immaginario lungo viaggio di un pesce Pagliaccio attraverso l'oceano.
 Quello che sembrava frutto della fantasia degli autori disneyani viene invece confermato da una ricerca scientifica che dimostra come i Pesci Pagliaccio possano effettivamente migrare per chilometri. 
Le larve però, non gli adulti. 
Com'è possibile?
 I ricercatori dell'equipe di Steve Simpson dell'Università di Exeter, Regno Unito, hanno scoperto il fenomeno nel mare arabico al largo dell'Oman. 
In queste acque, a una distanza di circa 400 km in direzione Nord-Sud, vivono due gruppi distinti di Amphirion omanensis (nome scientifico del Pesce Pagliaccio).


Raccogliendo e analizzando dati genetici di individui di entrambi i gruppi di pesci, gli scienziati hanno identificato la presenza di uno scambio genetico tra le colonie: cioè hanno individuato che dal gruppo della colonia a nord si spostano verso la colonia a sud più individui, piuttosto che il contrario.
 Ma non sono gli adulti a muoversi: sono in realtà le larve poiché dopo la deposizione delle uova, queste vengono sospinte in maniera del tutto casuale dalle correnti marine che vanno, appunto, prevalentemente da nord a sud. 
In questo modo gli individui del nord che vivono in acque più fredde si adattano alle acque più calde del sud.
 Qual è l'aspetto importante di tale scoperta?
 Può sembrare una banalità agli occhi di molti non proprio pratici di biologia marina, ma in realtà questa ricerca è importante per la sopravvivenza della specie, poiché sottolinea come la presenza di scambio genetico tra due popolazioni di pesci distanti anche molti km tra loro, permetta di migliorare gli adattamenti all'ambiente di questi animali e consenta loro di affrontare meglio i pericoli che derivano soprattutto dai cambiamenti climatici, come ad esempio l'acidificazione delle acque. 

 Cristiana Piore

La storia degli eunuchi


“Il fanciullo viene narcotizzato con l’oppio e immerso a sedere in un bagno di acqua molto calda, fino a quando cade in uno stato di completa incoscienza. Quindi si apre lo scroto e si asportano i testicoli”. Così il Trattato sugli eunuchi, del 1707, spiegava come procedere alla castrazione, una pratica allora corrente in Italia per allevare cantanti con qualità straordinarie. Ma che affondava le sue radici nell’antichità. 
Un rito pericoloso (due bambini su tre morivano per infezioni ed emorragie) profondamente legato alla religione e, per quanto possa sembrare incredibile, non ancora scomparso.
 L’asportazione dei testicoli prima della pubertà impedisce la differenziazione del sesso maschile perché viene a mancare il testosterone, l’ormone prodotto dai testicoli che ha questa funzione. Conseguenze? Pene e prostata rimangono piccoli, la voce si alza invece di diventare grave, non crescono peli e muscoli. E poiché il testosterone ha anche la funzione di stimolare il desiderio sessuale, il castrato non solo non è fertile ma è anche impotente.

Esiste però la possibilità che altri ormoni di origine surrenale svolgano, ma solo in parte, la funzione del testosterone e in questo caso si ha un eunuco che può in qualche misura avere rapporti sessuali.
 Pare che Farinelli, famoso cantante castrato del 1700, andasse sì a letto con le donne, che impazzivano per lui, ma che all’ultimo momento si facesse sostituire dal fratello Riccardo, che era tutt’altro che eunuco.

 Se invece la castrazione avviene dopo la pubertà, gli effetti sono meno drammatici: i peli si riducono, la pelle diventa più sottile e può anche accadere che la voce riacquisti tonalità femminili. E, quanto ai rapporti sessuali, in questo caso quello che manca è il desiderio, non la possibilità tecnica. 
Quanto alla versione femminile della castrazione, cioè l’asportazione delle ovaie, oltre all’infertilità ha come conseguenza l’immediata menopausa.

 Per quanto se ne sa, quella dei castrati è un’“invenzione” cinese, di almeno 5 mila anni fa. 
Allora si producevano castrati per farne guardiani del potere. Insieme alla mascolinità perdevano la possibilità di normali rapporti familiari e sociali, e vivevano in una condizione psicologica oscillante tra l’odio di sé, la malinconia e la disperazione. Senza nemmeno perdere l’aggressività, perché, spenta a livello fisico dalla mancanza di testosterone, si ristabiliva sul piano psicologico.
 Unica possibilità di riscatto, la fedeltà assoluta al signore, dal quale ricevevano in cambio non solo onori e titoli come guardiani dell’harem o dei templi, maestri delle cerimonie, ma anche importanti incarichi politici e amministrativi.
 Tra il 1505 e il 1510 l’eunuco Liu Chin fu reggente al trono per l’imperatore Witsu, in quel periodo represse con estrema violenza una rivolta di aristocratici, ne fece decapitare molti che avevano incarichi pubblici e li sostituì con compagni di sventura.


Ma gli eunuchi rimanevano comunque degli infelici: molti custodivano religiosamente i testicoli in una scatola, raccomandando che venissero seppelliti insieme a loro, per essere uomini completi almeno nell’aldilà.

 Dalla Cina, la pratica si diffuse in Occidente.
 I Romani importarono dagli Ittiti il culto di Kubaba, divinità della fecondità e della terra che chiamarono Cibele.
 Chi voleva diventare suo sacerdote doveva offrire alla dea pene e testicoli tagliandoseli da sé con un coltello di pietra nel corso di una cerimonia orgiastica che si svolgeva ogni anno il 24 marzo. Poi però i Romani scoprirono che i castrati potevano servire anche per divertimenti molto profani, visto che la loro pelle si manteneva liscia e priva di peli e il loro corpo assumeva sembianze femminili. Perché c’era eunuco ed eunuco. Infatti, si distingueva tra castrazione “nera”, che comportava l’asportazione anche del pene e che rendeva l’eunuco ancora più simile a una donna, e castrazione “bianca”, che salvava il pene. 
Il prezzo di uno schiavo eunuco poteva essere anche 250 volte superiore a quello di uno schiavo da lavoro, secondo la qualità: c’era il semivir, mezzo uomo, l’eviratus, totalmente castrato, il mollis, solo un po’ effeminato, e il malacus, dotato di tratti e movenze così femminili da poter passare per una danzatrice. 


Gli Arabi impararono tardi l’utilità degli eunuchi, perché Maometto aveva vietato la castrazione sia degli uomini sia degli animali.
 Li scoprirono verso il 750, quando conquistarono la Persia, dove l’usanza era giunta dalla Cina.
 Non solo dimenticarono subito il precetto del profeta, ma misero in piedi un sistema di produzione e distribuzione vasto ed efficiente, visto che erano particolarmente adatti come custodi degli harem di califfi, sultani e sceicchi.
 Gli schiavi da Bisanzio, dalla Cina, dalla Nubia, dall’Etiopia e dall’Europa venivano portati nei centri specializzati nella castrazione che si trovavano a Samarcanda, nella città egiziana di Assiut o in quella armena di Derbent per essere poi venduti nei mercati di Baghdad o del Cairo.  

 C'è stato poi un tempo in cui le voci bianche cantavano al posto delle donne. “Mulier taceat in ecclesia”: la donna in chiesa deve tacere. E se non può parlare, figuriamoci cantare.
 Per ottemperare a questa prescrizione e avere comunque cantanti che potessero eseguire le parti femminili, tra il XVII e il XVIII secolo e perfino in pieno ’800 in Italia furono evirati migliaia di bambini.
 Il loro impiego si diffuse poi anche nelle esecuzioni musicali profane. 
 La castrazione si faceva prima della pubertà, cioè prima della muta della voce. In teoria il risultato poteva essere eccellente: si otteneva una voce femminile emessa però da un torace maschile, che può contenere molta più aria, e attraverso corde vocali maschili che per vibrare hanno bisogno di meno aria e possono quindi tenere una nota più a lungo. 
Potevano arrivare a coprire anche tre ottave e mezza, un’estensione vocale fuori dal comune.
 La pratica di utilizzare eunuchi nel coro del Vaticano fu bandita solo nel 1878. 
L’ultimo castrato cantava ancora nella Cappella Sistina nel 1922. 
Si chiamava Alessandro Moreschi e un critico musicale tedesco scrisse: «Non credevo che la voce umana potesse essere il più straordinario di tutti gli strumenti musicali, fino a quando non ho ascoltato Moreschi».


E oggi, esistono ancora? 
Non c’è attualmente un corrispettivo degli eunuchi di un tempo, a meno di non andare a cercare in qualche recesso feudale del Medio Oriente. Inoltre non possiamo considerare tale chi si sottopone al cambiamento di sesso.
 Questa è una scelta libera, che comporta una totale trasformazione degli organi genitali in modo da far diventare il soggetto completamente donna, mentre gli eunuchi di allora tendevano a non cancellare il loro essere maschi. 

 In India, però, è ancora possibile incontrare gli eunuchi.
 La legge indiana vieta la castrazione e quindi quelli che la violano si circondano di segretezza. 
Sono gli Hijras, un milione di adepti della dea Bahuchara Mata, il cui culto impone loro di liberarsi completamente di ogni traccia di mascolinità.
 Escono allo scoperto solo in cerimonie di matrimoni e nascite, alle quali partecipano celebrando riti per favorire la fortuna e la prosperità.


E una giornalista americana, Zia Jaffrey, nel 1995 ha raccontato di aver raccolto personalmente le prove dell’esistenza a Goa, sulla costa occidentale dell’India, di un mercato segreto di schiavi eunuchi, che vengono venduti per servire negli harem del Medio Oriente.

 Fonte: focus.it