mercoledì 9 dicembre 2015

Stonehenge è un monumento di seconda mano?


Uno dei più misteriosi complessi archeologici del Neolitico potrebbe essere stato costruito con pietre "riciclate": le pietre vulcaniche di Stonehenge sarebbero state usate prima in un monumento eretto in Galles e poi trasportate fino alla Piana di Salisbury, nel Wiltshire (Inghilterra), dove oggi le ammiriamo. 

 È la sorprendente conclusione che emerge da rilievi archeologici compiuti da studiosi dell'University College London e delle Università di Manchester, Bournemouth and Southampton.
 Fino ad oggi si pensava che le bluestones (così chiamate perché, da bagnate, diventano blu) dell'anello interno di Stonehenge provenissero dalle colline di Preseli nel Pembrokeshire (Galles), a 225 km dal sito attuale.
 Ma i ricercatori hanno trovato incavi in alcuni affioramenti rocciosi in due siti a nord di Preseli, Carn Goedog e Craig Rhos-y-felin, le cui forme e dimensioni sembrano combaciare con quelle delle bluestones. 
Vicino ad essi sono stati rinvenuti alcuni massi estratti e poi abbandonati e un possibile punto di carico da dove iniziava il trasporto delle pietre.




La datazione radiocarbonio delle cave ha permesso di risalire all'epoca in cui le pietre furono estratte: circa il 3400 a.C. per il sito di Craig Rhos-y-felin, e il 3200 per Carn Goedog. 
Ma le bluestones non furono erette a Stonehenge prima del 2900 a.C.: che ci siano voluti 500 anni per trasportarle fino a lì? Improbabile per Parker Pearson, primo autore dello studio pubblicato su Antiquity. 
«Più verosimile che le pietre siano state prima utilizzate in un monumento locale, da qualche parte vicino alle cave, e poi, in un secondo momento, smantellate e trasportate nel Wiltshire».

 Il primo Stonehenge potrebbe essere sorto, un tempo, tra i due siti rocciosi: i ricercatori potrebbero anche aver individuato il luogo più probabile. 
Quello che vediamo sarebbe allora un complesso "di seconda mano".
 Ma c'è anche la possibilità che le bluestones siano state trasportate fino alla Piana di Salisbury nel 3200 a.C., e che i massi di arenaria esterni provenienti dalle vicinanze del sito siano stati aggiunti in seguito. 
 Il materiale costruttivo dovette essere difficile da trasportare - un'impresa che richiese un lavoro corale e che servì da collante sociale - ma non altrettanto da estrarre.
 Pearson ha definito infatti le cave "l'Ikea del Neolitico": «Questi affioramenti rocciosi si formarono 480 milioni di anni fa già come pilastri.
 Gli uomini preistorici non dovettero perciò lavorarci molto. Tutto ciò che dovevano fare era infilare un cuneo nelle fessure della roccia e bagnarlo per farlo gonfiare: così la pietra veniva liberata». 

Fonte: focus.it

La foresta di roccia nella Riserva Naturale Tsingy de Bemaraha


Ci sono luoghi inesplorati sulla Terra dal fascino mozzafiato. Paradisi incontaminati, forme e paesaggi spettrali di cui non si immaginerebbe neppure l’esistenza.
 La Riserva Naturale dello Tsingy in Madagascar risponde perfettamente a questi requisiti; tale sito è ubicato nella parte centro-occidentale dell’isola africana, a 300 km da Antanarivo, capitale del paese.
 È un “giardino dell’Eden” dove si possono ammirare delle formazioni rocciose spettacolari, uniche nel suo genere: la foresta in roccia dello Tsingy.
 Si tratta di lame di roccia calcarea purissima di parecchi metri di altezza modellati dall’erosione superficiale, che hanno dato vita ad un labirinto di canyon e spelonche in cui è facilissimo, una volta addentratisi, smarrirsi. 
“Foresta” perché in lontana sembra di trovarsi di fronte ad una immensa distesa di aghifoglie.






Per l’acuità e l’affilatezza delle sue rocce è anche difficilissimo camminare in modo indolore. 
Il nome stesso Tsingy significa, in lingua locale, “camminare in punta di piedi”. 
 È dunque un posto da sogno per esploratori, ricercatori, studiosi ed appassionati di Geologia e di Scienze Naturali, un incubo invece per i Malgasci. 
 Abbiamo detto che si tratta di uno spettacolo geonaturalistico unico nel suo genere, poiché, pur esistendo morfologie simili in altri luoghi della terra, in nessun’altro le lame di roccia hanno raggiunto simili altezze e dimensioni. 
Ciò perché col passare del tempo “geologico” sarebbero certamente crollate, qui invece si sono potute conservare grazie a condizioni ambientali particolari: quali l’assenza di basse temperature che all’acqua che si è infiltrata in pori e fessure di gelare, la compattezza delle sue litologie che con la loro bassa permeabilità ostacolano l’infiltrazione delle acque, garantendo una certa stabilità a queste lame che altrimenti collasserebbero e poi la presenza di piogge acidificate che implementa la modellazione delle forme. Proprio la particolare inospitalità di questo ambiente ostico lo suggella come un santuario risparmiato da invasive e tossiche colonizzazioni antropiche: un paradiso terrestre che si tutela da solo.


Ma la foresta dello Tsingy non è solo geologia e geomorfologia: qua e là in mezzo alle fessure ed alterazioni di queste lame affilate cercano di farsi valere alcune piante pioniere che vanno così a creare dei suggestivi giardini pensili. 
Oltre all’essenze vegetali, non possiamo non far cenno alla ricchezza della biodiversità animale endemica che popola la surreale foresta: ragni, scorpioni, ma anche uccelli (oltre 200 specie censite), rettili, anfibi…tutti incuriosiscono in primis per le loro capacità di adattamento per resistere a questo ostico ambiente surreale. 


 Fonte: meteoweb.eu

Le gigantesche frecce dimenticate che guidavano i Piloti attraverso l’America


Molto prima della diffusione della radio e prima dei sistemi GPS di navigazione satellitare, negli Stati Uniti il servizio aereo postale utilizzava delle gigantesche frecce in cemento posizionate a terra per ottenere le indicazioni in grado di guidare gli aeroplani da una costa all’altra della nazione.
 Le frecce, gigantesche indicazioni lunghe circa 12 metri, erano sempre associate ad una torretta con un faro a gas che le illuminava, in modo da risultare visibili sia in condizioni di scarsa luminosità sia di notte.


Il servizio Air Mail era stato attrezzato con gli aeroplani reduci della Prima Guerra Mondiale che, adattati per trasportare lettere e pacchi, collegarono San Francisco e New York fra il 1924 e l’inizio della Seconda Guerra Mondiale, quando la tecnologia radio divenne sufficientemente diffusa per rendere superflue le indicazioni a terra.
 Le frecce giganti erano posizionate a terra ogni 10 miglia di territorio, circa 16 chilometri, e la loro dimensione consentiva l’avvistamento a circa 15 chilometri di distanza, in modo da risultare quasi sempre visibili ai piloti dediti al servizio postale.


Le frecce non sono mai state rimosse (anche perché non ce ne sarebbe il motivo) e sono rimaste a testimoniare un’epoca dell’aviazione lontana e romantica, quando guidare per aria era molto più simile a guidare sulla terra.


Tratto da: vanillamagazine.it