lunedì 7 dicembre 2015

Il villaggio cinese dove si fabbrica il nostro inquinante Natale sfruttando i lavoratori


Da dove provengono le decorazioni di Natale in vendita in tutto il mondo?
 Non di certo dalla Lapponia o da qualche altra magica terra di Babbo Natale. 
Nel villaggio di Yiwu, in Cina, non ci sono né elfi né neve, ma 600 fabbriche che producono il 60% delle decorazioni natalizie del mondo.
 Le decorazioni di Natale prodotte in Cina sono destinate ai mercati esteri. 

Il villaggio di Natale di Yiwu non è certo un luogo felice.
 Il costo del lavoro è bassissimo e gli operai lavorano sei giorni alla settimana con turni quotidiani di 12 ore, per un guadagno che non supera i 200 o 300 euro al mese. 
 Non soltanto decorazioni di Natale, in questo luogo della Cina vengono prodotti anche vari giocattoli di plastica a tema natalizio e non, come racconta la BBC, che ha voluto visitare questo luogo, definito come l’epicentro mondiale delle decorazioni di Natale e dei regali di plastica.
 Yiwu si trova a 300 chilometri da Shanghai.
 Se l’albero di Natale, le decorazioni o le luminarie che avete acquistato sono state fabbricate in Cina, forse provengono proprio da qui.

 Il villaggio del Natale, superata l'entrata, sembra un grande centro commerciale, pronto ad accogliere i rappresentanti delle aziende che vorrebbero esportare della merce all’estero.
 Gli operai sono continuamente esposti a polveri, colle, coloranti e vernici. 
Devono indossare delle mascherine per proteggersi dalle sostanze nocive, altrimenti le respirerebbero.
 Le immagini che ritraggono gli operai ricoperti di polvere rossa dalla testa ai piedi ci lasciano senza parole. 
Nessuno pensa a tutelare la loro salute. Si tratta di un lavoro molto faticoso che serve semplicemente ad alimentare il consumismo natalizio. 
Gli operai migranti che lavorano nelle fabbriche cinesi spesso non sanno nemmeno con esattezza che cosa sia il Natale.
 Qui decorazioni e luminarie si producono tutto l’anno.






Lo sfruttamento dei lavoratori per la produzione di cappelli di Babbo Natale, decorazioni per l’albero, luminarie e giocattoli di plastica è evidente.






Marta Albè

Ritrovato dopo 307 anni il galeone San Josè


Era considerato una leggenda fra i grandi velieri antichi affondati, con un carico 11 milioni di dobloni d'oro e quantità enormi di pietre preziose e gioielli e un valore solo ipotizzabile in decine di miliardi di dollari odierni, il più grande tesoro forse di tutti i tempi, che ne facevano una sorta di «Santo Graal» dei relitti. 
Ora, dopo 307 anni indisturbati sui fondali del Mar dei Caraibi, il galeone spagnolo San Josè è stato ritrovato dalla Colombia, appena al largo delle sue coste. E già evoca dagli abissi lo spettro di dispute legali, che si preannunciano dure.
 Il presidente colombiano, Juan Manuel Santos ha confermato , «al di là di ogni possibile dubbio», l'avvistamento al largo di Cartagena, del relitto del grande veliero affondato da pirati inglesi nel 1708, durante la Guerra di Successione spagnola (1701-14). 
In un discorso a Cartagena de Indias, sulla costa caraibica al nord della Colombia, Santos, che aveva anticipato la notizia su Twitter, ha indicato che il galeone è stato ritrovato lo scorso 27 novembre, al largo della penisola di Barù - ad ovest di Cartagena - da esperti dell'Istituto Colombiano di Antropologia e Storia (Icanh), grazie all'appoggio della Marina militare.
 «Si tratta di un a scoperta di importanza mondiale, perché costituisce uno dei più grandi ritrovamenti di patrimonio sommerso, o forse - come dicono alcuni - il più grande che si ricordi nella storia dell'umanità», ha detto il presidente colombiano. 

Costruito nel 1698, il San Josè è salpato da Portobelo (attualmente in Panama) ad inizio del 1708, dirigendosi, insieme ad altre navi spagnole e francesi verso Cartagena de Indias. 
Dopo aver caricato una grande quantità di oro e preziosi, nel ripartire verso la Spagna fu attaccato nella battaglia di Barùdalla marina della Gran Bretagna, che appoggiavano Carlo d'Austria, da una squadra di quattro velieri da guerra al comando del capitano Charles Wager, che cercò, senza riuscirci, di incamerare il colossale tesoro, che invece finì in fondo al mare.






Il direttore dell'Icanh, Ernesto Montenegro, ha spiegato che il galeone è stato identificato grazie ai suoi cannoni di bronzo a forma di delfino, che era stati fusi su misura per l'imbarcazione, mostrando alla stampa varie foto subacquee che «non lasciano alcun dubbio sull'identità della nave». 
Santos, da parte sua, ha sottolineato che il San Josè «appartiene a tutto il popolo colombiano», aggiungendo che «alcune informazioni riguardanti questo straordinario ritrovamento devono ancora rimanere riservate, per motivi legali».
 Una discrezione dovuta al fatto che il prezioso carico del galeone - il cui valore potrebbe superare la decina di miliardi di dollari - potrebbe essere anche reclamato sia dalla Spagna che dalla Sea Search Armada (Ssa), un'azienda americana specializzata nella ricerca di tesori sepolti in fondo al mare e ora in disputa giudiziaria con Bogotà sulla percentuale del tesoro da ricevere in pagamento. La Ssa identificò nel 1981 la zona del relitto. 

Al di là di possibili battaglie giudiziarie, resta il fatto che il ritrovamento del San Josè rappresenta un fatto di importanza storica in Colombia, dove il suo affondamento fa parte della storia culturale e perfino letteraria: l'episodio, infatti, è ricordato da Garbiel Garcia Marques nel suo romanzo «L'amore ai tempi del colera».

 Fonte: http://gds.it