mercoledì 25 novembre 2015

Lo scudo anti-afa delle formiche d'argento


Le formiche d’argento del Sahara (Cataglyphis bombycina) escono dal loro nido per una decina di minuti al giorno appena. 
Non c’è da stupirsi, viste le temperature estreme del loro habitat: durante le ore diurne si aggirano attorno a 47 gradi Celsius e il corpo di questi insetti può raggiungere i 48-51 gradi. 
Per sopravvivere, quindi, hanno dovuto sviluppare degli stratagemmi molto efficaci. 
Per esempio hanno gambe più lunghe rispetto alle altre formiche, in modo da mantenere il corpo più lontano dalla sabbia rovente e, quando corrono, usano solo quattro delle sei zampe. 
Ma il più notevole degli stratagemmi evolutivi messi in atto è la fitta serie di peli dalla strana sezione triangolare e dal colore argenteo (da cui il loro nome delle formiche) che ricopre il dorso e i lati del corpo.
 Sembra infatti che questi peli abbiano straordinarie capacità riflettenti e di dispersione termica. 

A testarle sono stati i ricercatori del dipartimento di Fisica Applicata e Matematica Applicata, Columbia University, New York, che hanno simulato i raggi del sole utilizzando una lampada allo xeno. 
Secondo il loro studio, pubblicato su Science, la particolare forma di questi peli riflette la maggior parte della luce che li colpisce.
 La parte dell’energia nello spettro visibile che viene invece assorbita è convertita in luce infrarossa, che viene poi dissipata in modo molto efficace.
 La liscia superficie argentea nella parte inferiore delle formiche, inoltre, riflette anche il calore che proviene dalla sabbia. 

Insieme, questi adattamenti evolutivi permettono alle formiche d’argento di uscire alla ricerca del cibo – piccoli insetti e artropodi che non sono sopravvissuti al caldo – quando lucertole e altri concorrenti devono restare protetti nelle proprie tane. 
Queste formiche occupano infatti l’unica nicchia ecologica di saprofagi termofili.


Fonte: galileonet.it

Le stelle nane rosse


Rappresentazione artistica dell’esopianeta Kepler-438b e della sua violenta stella madre. 

 Le nane rosse sono stelle di piccola massa e relativamente fredde e prendono il nome dal tipico colore rossastro che le caratterizza. La loro temperatura superficiale è inferiore a circa 3.500 °K, contro i quasi 6.000 °K del Sole. Sono le stelle più diffuse nell'Universo, costituiscono infatti quasi il 70% di tutte le stelle presenti nella Via Lattea e recenti studi indicano che il loro numero potrebbe raggiungere anche l'80%. Hanno masse comprese tra il 40 e l’8% di quella del Sole, un valore quest'ultimo che costituisce il limite minimo perché una stella possa definirsi tale. Al di sotto di questo limite, infatti, non si realizzano le condizioni di temperatura e pressione necessarie ad innescare le reazioni di fusione termonucleare dell'idrogeno in elio. Al di sotto di questa massa limite si trovano le nane brune, oggetti che possiedono una massa troppo piccola per poter innescare le reazioni di fusione nucleare, ma comunque nettamente superiore a quella di un pianeta. Le nane rosse emettono una debole quantità di luce, spesso inferiore a un decimillesimo della quantità di radiazione emessa dal Sole e anche le nane rosse più massicce arrivano a emettere al massimo il 10% della luminosità della nostra stella.


Saremmo quindi tentati di pensare che le stelle più piccole e fredde siano anche più tranquille. E invece un recente studio ha confermato quanto si sospettava da tempo e cioè che le nane rosse mostrano spesso un’attività molto sostenuta, con brillamenti ed espulsioni di massa coronale (Coronal Mass Ejection, CME) molto più intensi e frequenti rispetto a stelle di tipo solare.
 Così, i pianeti che sono stati scoperti orbitare attorno ad esse, pur trovandosi nella cosiddetta fascia di abitabilità, potrebbero essere stati resi del tutto inospitali alla vita proprio a causa dei continui bombardamenti di radiazioni ionizzanti e degli impatti di nuvole di plasma e particelle energetiche provenienti dalle loro stelle madri. 

A sottolineare questa possibilità è un recente di un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Fisica dell’Università di Warwick (Regno Unito), coordinato da David Armstrong.
 In questo lavoro vengono analizzate le caratteristiche delle nane rosse attorno alle quali orbitano i pianeti finora noti con caratteristiche simili alla Terra e che sembrerebbero i più promettenti per ospitare la vita, come Kepler-438b, l’esopianeta più simile al nostro finora conosciuto.
 La sua atmosfera potrebbe essere stata strappata via dai super brillamenti (super-flare) della sua stella madre, una nana rossa da cui dista circa 25 milioni di km, grosso modo un sesto di quanto si trovi la Terra dal Sole.
 Il prefisso “super” è d’obbligo parlando di questi fenomeni esplosivi che avvengono nell’atmosfera di queste stelle, in quanto tipicamente sono circa dieci volte più potenti di quelli solari. 
Ma il maggiore impatto sugli ambienti planetari sarebbe dovuto alle altrettanto violente CME emesse dalle nane rosse che spesso sono associate ai brillamenti. 
 «A differenza del Sole, relativamente quieto, la stella Kepler-438 emette poderosi brillamenti ogni poche centinaia di giorni, ciascuno più potente del più intenso brillamento mai registrato sul Sole» ricorda Armstrong. 
«È probabile che questi brillamenti siano associati a espulsioni di massa coronale, le quali potrebbero produrre effetti talmente gravi da compromettere l’eventuale abitabilità del pianeta».

 Fonte: focus.it

Manjanggul , la grotta di lava


L’isola vulcanica di Jeju, che si trova 130 chilometri dalla costa meridionale della penisola coreana, ha un vasto sistema di tunnel di lava. 
Questi condotti naturali attraverso i quali il magma una volta scorreva ora sono grotte vuote e sono tra le più grandi del mondo. Queste grotte, oltre a fornire opportunità per la ricerca scientifica, sono tra le destinazioni turistiche più popolari.
 Il più impressionante è il Geomunoreum Lava Tube System, formato dal flusso di lava basaltica, quando il vulcano eruttò, circa 300-200.000 anni fa.
 Il vulcano ha un’altezza di 456 metri e la lava scorreva giù per la costa a 13 km. La ” Tube Manjanggul Lava “ rappresenta la più grande grotta in questo sistema.
 Si estende per 8928 metri e i suoi passaggi fino a 30 metri di altezza e 23 metri di larghezza.












Anche se si può visitare soltanto 1 km sui 13 km del percorso di Manjanggul, si tratta comunque di un’esperienza indimenticabile: questo impressionante tunnel di lava permette di ammirare l’opera del vulcano Geomunoreum e in particolar modo le concrezioni dalle numerose forme.

 Fonte: zingarate.com/wanderlustt