martedì 20 ottobre 2015

L’Autunno in Giappone: a caccia di Momiji


Quando si parla dei meravigliosi alberi del Giappone, spesso si è portati a pensare solo ai ciliegi in fiore, ma questo Paese può essere altrettanto orgoglioso anche dei suoi colori autunnali.
 L’Autunno, infatti, è una delle stagioni più suggestive del Giappone. 
 E’ proprio in questo periodo dell’anno che le foglie dell’acero giapponese (Momiji) raggiungono l’apice della loro bellezza, con una varietà di colori e sfumature che vanno dal verde al giallo, dall’arancio fino al rosso intenso . E i giapponesi, noti cultori del bello e amanti della Natura, non si lasciano sfuggire l’occasione di godere degli splendidi scenari che questa stagione regala, così come in Primavera sono soliti recarsi nei parchi ad ammirare gli alberi di ciliegio in fiore.






Si tratta di un’ antica usanza che risale al periodo Heian (794-1185), quando in Autunno i membri dell’aristocrazia solevano dedicarsi all’ammirazione delle foglie degli aceri, usanza che si è poi estesa anche al resto della popolazione durante il periodo Edo (1603-1868). 
Questo appuntamento ha assunto un’ importanza tale per i giapponesi, che, così come per le previsioni meteo, vengono trasmesse in tv anche le previsioni sull’evoluzione del colore delle foglie d’acero, in base a cui si organizzano gite e scampagnate, in famiglia o con gli amici. 
Tale evoluzione del colore, detta Kōyō , dura circa cinquanta giorni, e vede il suo inizio a Settembre nell’ isola più a Nord del Giappone, l’ Hokkaidō, per poi estendersi tra Ottobre e Novembre, fino a Sud, nell’isola del Kyūshū.


Se per la Primavera si usa il termine Hanami ( da Hana “fiore” e Mi(ru) “guardare”) per indicare l’usanza di ammirare i fiori di ciliegio, il corrispettivo per l’Autunno è Momijigari, letteralmente “andare a caccia di aceri” (da Momiji “acero” e -Kari “caccia”). 
A sua volta il termine Momiji deriva dall’antico termine Momizu, che significa “tingere di rosso“.
 Pare che l’intensità dei colori delle foglie dipenda da fattori climatici, quali sbalzi di temperatura tra il giorno e la notte, umidità stagionale, insolazione massima giornaliera. Ma non solo: anche stress causato dalla siccità, o traumi alle radici, o carenza di concime possono portare ad una modifica del colore rispetto a quello dell’anno precedente.






I luoghi in cui poter ammirare le foglie d’acero, come parchi, templi, foreste, sono molteplici e sparsi per tutto il Giappone. 
E’ opinione diffusa che alcuni dei posti più suggestivi e caratteristici per andare a caccia di Momiji siano la città di di Nikkō e la regione del Kansai, in particolare la città di Kyoto. 

Proprio qui, nell’antica capitale, ci sono dei punti d’osservazione che non ci si può lasciar sfuggire: il tempio Kiyomizu, dalla cui balconata si prospetta uno degli scenari più mozzafiato di tutto il Giappone, tanto più se il terreno si presenta come un tappeto di foglie dai caldi colori autunnali; la zona di Arashiyama, uno dei punti panoramici più famosi a Kyoto, dove in Autunno la montagna regala una tal quiete e degli scenari naturali di alberi carichi di foglie rosse che vale la pena di ammirare, anche per chi avesse già visitato questo posto in un’altra stagione dell’anno.

 Fonte: http://www.dondake.it

Carezza : il leggendario lago arcobaleno nel cuore delle Dolomiti


Quale miglior periodo se non il fresco autunno per ammirare il Lago di Carezza, meta amata dagli escursionisti e suggestivo luogo legato a una leggenda? 
Nelle Dolomiti, nell’alta Val d’Ega, poco distante da Bolzano, stretto da fitti abeti e circondato dalle vette del Catinaccio e del Latemar, troviamo infatti, un meraviglioso specchio d’acqua conosciuto come il lago arcobaleno.
 Il piccolo laghetto alpino, infatti, si distingue dagli altri perché le sue acque, grazie al riflesso del sole, creano un effetto ottico attraverso il quale è possibile ammirare i colori dell’arcobaleno, dal blu fino al verde. 
 Al lec de ergobando, come viene chiamato in ladino, è legata una curiosa leggenda che svelerebbe il perché di questo spettacolo cromatico insolito.




Molti anni fa, viveva nel lago la bellissima ninfa Ondina che con il suo canto allietava il cammino dei viadanti.
 Si narra che il mago Masarè si innamorò di lei e chiese aiuto alla strega Lanwerda per conquistare l'amata.
 Il consiglio fu quello di travestirsi da venditore di gioielli e creare un arcobaleno che unisse il Catinaccio al Latemar. 
Al mago l’idea piacque, così stese il più bel arcobaleno mai visto e si recò al lago dimenticando però di travestirsi.
 Ondina rimase colpita dallo spettacolo ma appena vide il mago, si immerse nell’acqua e sparì per sempre. 
Masarè preso dal dolore e dalla rabbia distrusse l’arcobaleno e i gioielli in mille pezzi e li gettò nel lago.


Per questo motivo oggi il Lago di Carezza è colorato di azzurro, rosso, indaco, giallo e oro e si distingue da tutti gli altri delle Dolomiti.

 Il lago è una delle mete più visitate del Trentino Alto Adige anche nella stagione invernale, quando le acque sono ghiacciate.

 Dominella Trunfio

Scoperto e studiato il fossile di una “cavalla” e il suo feto di 48 milioni di anni fa


Forse sarebbe venuto alla luce poche ore dopo e avrebbe seguito la madre nelle praterie della Germania di allora, dove il clima era molto più caldo di oggi.
 Ma qualcosa, impossibile da capire, causò la morte della cavalla e del piccolo che portava in grembo.
 Madre e feto vennero trasformati lentamente in fossili e dopo 48 milioni di anni sono venuti alla luce e studiati da un gruppo di paleontologi guidati da Jens Lorenz Franzen del Senckenberg Research Insitute di Francoforte (Germania) e del Naturhistorisches Museum di Basilea (Svizzera).

 Si tratta di un animale che lo si può definire il parente prossimo dei cavalli dei nostri giorni, il cui nome, in termini scientifici, è Eurohippus messelensis. 
 Grazie all’uso dei microscopi a raggi X e a microscopi elettronici si sono potuti studiare per la prima volta particolari molto ben definiti del feto che è lungo 12,5 centimetri. 
Gli studi sono stati pubblicati su Plos One. 
 Tutte le ossa sono ben conservate, a eccezione del cranio, che probabilmente è stato schiacciato durante la morte della madre o da qualche altro evento sconosciuto. 
Anche la posizione del feto all’interno della “cavalla” sembra essersi conservato nel tempo nella posizione originaria, così da permettere ai ricercatori di studiare i tessuti molli del piccolo che si sono ben conservati.

 Lo studio ha permesso di stabilire che il sistema riproduttivo di questo tipo di animale era già ben sviluppato durante il Paleocene e forse, anche prima.


L’Eurohippus messelensis è stato trovato per la prima volta nel 2006 e oggi sappiamo che esso non era più grande di un fox terrier, dunque non superava i 40-50 centimetri, e aveva le dita dei piedi: quattro nelle zampe anteriori e tre in quelle posteriori.


Fonte: focus.it