mercoledì 7 ottobre 2015

Le misteriose ‘Grotte di Mustang’


Nascoste tra le cime dell’Himalaya, esiste un luogo con circa 10 mila grotte artificiali scavate nella roccia viva a circa 60 metri d’altezza, in una gola così grande da superare di gran lunga il Gran Canyon.
 L’impressionante numero di grotte si trova nel nord del Nepal, nel Distretto di Mustang, e rappresenta uno dei più grandi misteri archeologici del mondo.
 Alcune di esse sono uniche, con un solo ingresso aperto su un vasto fronte di rocce frastagliate. Altre, invece, sono state realizzate in gruppo, una sull’altra, presentando accatastamenti verticali anche su nove livelli.
 Gli archeologici non sanno chi le abbia costruite, né quale fosse la loro funzione. Inoltre, non si riesce a comprendere come facessero le persone a salire verso queste cavità realizzate a diversi metri dal suolo.

 A metà degli anni ’90, archeologi provenienti dal Nepal e dall’Università di Colonia hanno cominciato ad esplorare l’interno delle grotte, trovando una dozzina di corpi umani, tutti antichi di almeno 2 mila anni.
 Da allora, gruppi di ricercatori hanno continuato ad indagare le ‘Grotte di Mustang’. 
Coloro che hanno avuto la fortuna di visitare le misteriose grotte hanno raccontato di aver avuto l’impressione di trovarsi di fronte ad un gigantesco castello di sabbia.







Uno di questi è Cory Richards, un fotografo d’avventura, che insieme all’archeologo Mark Aldenderfer, allo scalatore Pete Athans e ad una squadra di esploratori, si è recato sul sito alla ricerca di reliquie nascoste e grotte inesplorate. 
“Onestamente, quando sono arrivato mi sono reso conto che il sito è più grande di qualsiasi cosa abbia mai potuto immaginare”, racconta Richards.

 In alcune cavità sono stati rinvenuti diversi murales e manoscritti che illustrano la storia buddista.
 I ricercatori pensano che l’utilizzo delle grotte di Mustang sia divisibile in almeno tre periodi. 
 Le grotte venivano utilizzate già nel 1000 a.C. come camere funerarie. Ma non si esclude che le cavità siano state utilizzate successivamente dalle antiche popolazioni locali come rifugio in caso di attacco.
 La maggior parte delle grotte, infatti, risulta essere vuota, anche se in alcune di esse sono stati trovati segni di vita domestica: focolari, attrezzi e contenitori.
 Richards è entusiasta dell’esperienza vissuta. 
Come egli stesso afferma, cercherà di trasmettere la bellezza delle Grotte di Mustang con la sua attività di fotografo: “Essenzialmente, alla fine di questa esperienza, ciò che per me è stato illuminante è il connubio tra scienza, esplorazione e cultura”, conclude il foto-esploratore.

 Fonte : ilnavigatorecurioso.it

Il nostro pianeta



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Scoperta la prima Tartaruga Biofluorescente


Mentre erano impegnati al largo delle Isole Salomone, un team di scienziati ha fatto una sorprendente scoperta: una tartaruga marina biofluorescente.
 Questa tartaruga a rischio di estinzione è la prima al mondo che è stata vista in grado di utilizzare la biofluorescenza. 
Questa capacità consente ad una superficie di assorbire la luce blu ed emettere un colore diverso, comunemente verde, arancione o rosso. 

E’ importante non confondere questa proprietà con la bioluminescenza, attraverso la quale l’animale produce una luce propria attraverso reazioni chimiche (come le lucciole).

 La biofluorescenza può essere utilizzata come un mezzo per attirare preda, per la difesa o per la comunicazione. 
In questo caso è presumibile che sia un tipo di camuffamento della tartaruga marina che le consente di mimetizzarsi con le alghe e i coralli circostanti.


Anche se la biofluorescenza è stata documentata in varie altre specie, tra cui pesci, razze, alcuni crostacei e coralli, questa è la prima volta i ricercatori l’hanno osservata in un rettile marino. 

Come si può vedere nel video qui sotto, la biofluorescenza non può essere rilevata ad occhio nudo, e richiede una combinazione di luci blu e filtri gialli per percepire correttamente il fenomeno.

 La scoperta di questa tartaruga di mare apre ad un nuovo settore degli studi scientifici, e rimarca l’importanza della conservazione di queste splendide creature marine.

 

Fonte: vanillamagazine.it

Cosa sono i neutrini

I neutrini sono particelle subatomiche senza carica elettrica e di massa piccolissima. 
«La fisica delle particelle celebra un altro straordinario successo dopo quello del bosone di Higgs», ha commentato l’assegnazione del Nobel Fernando Ferroni, presidente dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn).
«I neutrini sono particelle misteriose, strutturalmente diverse da tutte le altre particelle che conosciamo e potrebbero essere la porta su una nuova fisica».



COME FANTASMI.
I neutrini sono particelle-fantasma che si creano nelle reazioni nucleari e che sono abbondantissime nell'universo: ogni secondo, a migliaia di miliardi attraversano il nostro corpo alla velocità della luce, senza che noi ce ne accorgiamo.
La loro caratteristica principale, infatti, è che non interagiscono quasi per niente con la materia, e proprio per questo è difficile osservarli: la maggior parte di loro attraversa i rivelatori (e perfino tutta la Terra!) da parte a parte, senza lasciare traccia.
Attraverso esperimenti mirati, però, è possibile intrappolarne una piccola percentuale e studiarne le proprietà, seppur indirettamente.



ENIGMA GIAPPONESE.
La prima parte della nostra storia ha luogo in Giappone, nel rivelatore Super-Kamiokande, entrato in funzione nel 1996 e situato in una miniera di zinco 250 km a Nord-Ovest di Tokyo. Super-Kamiokande è stata un'imponente impresa scientifica, realizzata per osservare i neutrini che si generano nell'atmosfera terrestre a causa dell'impatto con i raggi cosmici (particelle ad alta energia) che da ogni direzione ci raggiungono dallo spazio. Per poter osservare i neutrini, l'osservatorio è stato costruito a mille metri di profondità, in modo che nessun'altra particella (a partire dai raggi cosmici) potesse disturbare le misure.
Super-Kamiokande è costituito da una vasca alta e larga 40 metri, riempita con 50mila tonnellate di acqua purissima e limpidissima, le cui pareti sono rivestite da 11mila rilevatori di luce.
I neutrini atmosferici, che arrivano in questa vasca da tutte le direzioni anche dopo aver attraversato tutta la Terra, di solito passano da una parte all'altra senza lasciare traccia. Ogni tanto, però, un neutrino colpisce un elettrone o un nucleo atomico, generando altre particelle che possono essere misurate dai rilevatori.
In questo modo, Super-Kamiokande è in grado di distinguere – tra i neutrini atmosferici che osserva – quelli di tipo elettronico e quelli di tipo muonico, ma non i tau.



L’osservatorio per neutrini Super-Kamiokande in Giappone contiene 50.000 tonnellate di acqua che vengono osservate da oltre 10 mila fotomoltiplicatori. L’interazione di un neutrino con gli elettroni o i nuclei dell’acqua può produrre una particella carica che, muovendosi nell’acqua a una velocità superiore a quella della luce nell’acqua stessa, produce un lampo di luce.
Questo fenomeno, chiamato effetto Cherenkov, viene registrato dai fotomoltiplicatori, portando informazioni sul neutrino che lo ha prodotto.
E QUI ARRIVIAMO AL PUNTO.
Dopo un paio di anni di osservazioni, gli scienziati hanno osservato un'anomalia nei neutrini muonici: quelli che giungevano direttamente da sopra l'osservatorio erano di più di quelli provenienti dalla direzione opposta, dopo aver attraversato tutta la Terra.
Poiché la Terra è praticamente trasparente al passaggio dei neutrini, l'ipotesi più naturale fu, appunto, che i neutrini mu nel corso del tempo cambiassero identità e si trasformassero in neutrini tau, che l'esperimento non era in grado di osservare.
I neutrini mancanti, insomma, erano quelli che, nel tempo necessario ad attraversare la Terra, cambiavano identità. Gli indizi erano forti, ma mancava la prova definitiva.
DAL SOLE A NOI.
Un contributo determinante alla soluzione dell'enigma arrivò pochi anni dopo, dal Sudbury Neutrino Observatory (Sno) in Canada, costruito per misurare i neutrini solari, cioè quelli che si creano all'interno del Sole (che sono tutti di tipo elettronico). In questo caso l'osservatorio era una sfera con un diametro di 18 metri, situata a 2100 metri di profondità, rivestita di 9.500 rivelatori e riempita di mille tonnellate di acqua pesante (una molecola simile a quella di H2O dell'acqua, ma in cui gli atomi di idrogeno sono sostituiti da atomi di deuterio, che ha un neutrone in più).
In questo caso, gli scienziati hanno constatato che i neutrini solari provenienti dal Sole erano meno di quanto ci si aspettava. Come se, durante il tragitto di 150 milioni di chilometri dalla nostra stella a noi, avessero cambiato natura.
METAMORFOSI QUANTISTICA.
Questi due esperimenti per primi hanno confermato l'ipotesi che i neutrini cambino natura, trasformandosi ciclicamente da uno dei tre tipi agli altri.
La possibilità che questo accada è una delle tante stranezze della meccanica quantistica, la teoria che descrive il comportamento del mondo microscopico.
Secondo la teoria quantistica, infatti, le particelle hanno anche una natura ondulatoria, che rende possibili fenomeni di sovrapposizione e interferenza. Nel caso dei neutrini, queste proprietà rendono possibile l'oscillazione di identità osservata, ma solo a patto che queste particelle abbiano una massa, per quanto piccola, e che le masse dei tre tipi di neutrini differiscano lievemente tra loro.



Il primo a ipotizzare il fenomeno dell'oscillazione dei neutrini è stato l'italiano Bruno Pontecorvo (1913-1993) nel 1957.

Le masse dei singoli neutrini sono minuscole e non ancora perfettamente note, ma considerate tutte insieme danno un contributo importante alla composizione dell'universo.
Si stima che la massa di tutte queste particelle messe insieme equivalga a quella di tutte le stelle dell'universo.
VERSO UNA NUOVA FISICA.
Secondo il Modello Standard, infatti, i neutrini non dovrebbero avere massa. Dunque gli esperimenti che hanno portato al Nobel di quest'anno aprono una prima breccia nel muro che segna il limite delle nostre conoscenze a livello fondamentale.
In molti si chiedono che cosa ci sia oltre quel muro, e proprio dal mondo dei neutrini arrivano nuove domande:
- Quali sono esattamente le loro masse?
- Quali sono le loro antiparticelle (nel mondo, speculare al nostro, dell'antimateria)?
Ci sono, come in molti sospettano, altri tipi di neutrini, capaci per esempio di spiegare l'origine e l'esistenza della materia oscura?
Di certo queste particelle-fantasma hanno ancora molto da dire sulla composizione dell'universo, sulla sua origine e sul suo destino.

CHI SONO I DUE NOBEL.

Takaaki Kajita è nato nel 1959 a Higashimatsuyama, Giappone, e ha conseguito il dottorato nel 1986 presso l’Università di Tokyo, dedicandosi in seguito alla ricerca come direttore dell’Istituto per le ricerche sui raggi cosmici della stessa Università. Nel 1998 ha scritto una ricerca fondamentale sulla mutazione dei neutrini, catturati nell’osservatorio Super-Kamiokande, dove vengono studiati i neutrini che si formano nelle reazioni tra i raggi cosmici e l’atmosfera terrestre.

Arthur B. McDonald è nato a Sydney, in Canada, nel 1943 e ha conseguito il suo dottorato di ricerca presso il California Institute of Technologu di Pasadena, in California. Presso il Sudbury Neutrino Observatory ha studiato i neutrini provenienti dal Sole con il suo gruppo di ricerca, trovando prova della mutazione dei neutrini.

Due camere segrete nella tomba di Tutankhamon? I primi riscontri

L'esame della stanza in cui era sepolto il faraone bambino sembra confermare l'esistenza di possibili passaggi murati dietro i quali potrebbe celarsi la tomba di Nefertiti. Prende corpo la teoria avanzata da Nicholas Reeves



Questo materiale più grezzo corrisponde a quello che copriva un'altra porta murata, quella aperta dall'archeologo Howard Carter nel 1922 (nella foto).
Carter, che conduceva i suoi scavi con una meticolosità inusuale per l'epoca, tenne da parte questo materiale, che si trova ancora in una stanza laterale della tomba, dove Reeves e altri hanno potuto esaminarlo.
Ma per quanto Carter fosse meticoloso, non disponeva degli strumenti oggi in possesso degli archeologi. Reeves ha iniziato a sviluppare la sua teoria dopo aver esaminato le scansioni laser eseguite da Factum Arte, il team di tecno-conservatori e artisti che ha costruito una replica perfetta della tomba a Luxor.



Il ministro Mamdouh Eldamaty e l'archeologo Nicholas Reeves esaminano la sezione della parete che potrebbe essere stata murata. Il prossimo passo, spera Reeves, sarà quello di effettuare altre analisi con strumenti radar e termici, che potrebbero fornire ulteriori indizi su ciò che si cela dietro i presunti passaggi.
Ciò potrebbe avvenire già a novembre se le autorità egiziane, che finora hanno sostenuto il suo lavoro, daranno il loro benestare. Se l'esistenza delle camere segrete verrà dimostrata, il ministro dovrà decidere come procedere: cosa non facile dal momento che l'eventuale passaggio si cela dietro un dipinto di inestimabile valore.
Una possibilità, spiega Reeves, potrebbe essere quella di esplorare il locale con una telecamera su fibra ottica creando un minuscolo foro; oppure, come già fatto da esperti giapponesi in altri siti archeologici, rimuovere il dipinto lasciandolo intatto.

Secondo la teoria di Reeves, queste porte murate testimonierebbero che la tomba sarebbe stata originariamente destinata a un altro sovrano, Nefertiti, moglie principale di Akhenaton, il faraone eretico che si ritiene abbia generato Tutankhamon con un'altra moglie
Nella stanza che conteneva il sarcofago di Tutankhamon, spiega l'archeologo, la linea sul soffitto coincide con la parte di muro che sembra essere stata intonacata. “Ciò indica che la stanza fosse in realtà un corridoio".

Se dietro la parete si scoprissero un'altra mummia e un altro corredo funerario, ciò confermerebbe in pieno la teoria di Reeves, il quale è comunque convinto che la scena dipinta inizialmente ritraeva Nefertiti (nella foto, un ritratto), e fu poi modificata per rappresentare Tutankhamon. “Qualunque cosa si celi lì dietro è la sepoltura della persona rappresentata.
E quella persona sembra essere Nefertiti”, conclude Reeves.



Nel corso del tempo, Reeves iniziò a notare una serie di dettagli che indicavano che alcune parti della maschera potessero essere state pensate originariamente per la sepoltura di un altro regnante. “Reeves elaborò una tesi brillante secondo cui la maschera era stata inizialmente creata per una donna”, racconta Ryan.
“Negli ultimi anni, osservando il corredo funerario di Tutankhamon, sono arrivato alla conclusione che l'80 per cento dei manufatti siano stati creati per qualcun altro, una donna", dice Reeves.
Quella donna, secondo lui, è Nefertiti, che avrebbe regnato come faraone con il nome di Neferneferuaten, una figura misteriosa oggetto di accesi dibattiti fra gli egittologi.

di Peter Hessler

Tratto da - National Geographic