lunedì 5 ottobre 2015

L'amore per la natura nei corpi dipinti delle tribù della valle dell'Omo


Corpi armonicamente dipinti e rivestiti di elementi naturali quali fiori, foglie e frutti: questo e molto altro negli splendidi scatti del fotografo e giornalista tedesco Hans Silvester, che all’inizio degli anni Duemila ha percorso in lungo e in largo la valle del fiume Omo, nel sud dell’Etiopia, fotografandone le popolazioni e immortalando il loro legame con la natura.
 Al centro degli scatti di Silvester ci sono tribù di pastori semi-nomadi, come i Mursi, gli Hamar e i Bodi, che vivono lungo il corso del fiume, in una valle ricca di storia, che è stata, nel corso dei millenni, un crocevia di culture ed etnie diverse e che dal 1980 è patrimonio dell’UNESCO per l'immenso valore geologico e archeologico.

 La valle percorsa dal fiume Omo - che si getta con un ampio delta nel lago Turkana dopo un percorso di oltre settecento chilometri - è stata raggiunta per la prima volta da esploratori occidentali solo alla fine del XIX secolo. 
Le popolazioni che la abitano non sono mai state né colonizzate né cristianizzate o islamizzate e hanno conservato, nel corso dei secoli, la loro antica cultura e le loro particolarissime tradizioni. 
 Pur non avendo sviluppato particolari forme di artigianato o di arte, le tribù dell’Omo perpetuano la tradizione di dipingere i propri corpi: tutte le persone di età compresa tra gli otto e i quarant’anni tingono e disegnano i capelli e il corpo (nudo per gli uomini, con i genitali coperti per le donne) con pigmenti realizzati a partire da sabbia, terra o cenere e lo decorano con elementi naturali, quali ad esempio fiori, foglie, frutti o rami di arbusti. 
Uomini, donne e bambini diventano così veri e propri quadri viventi, rivelando una comunione profonda con la natura, un legame armonico e indissolubile che è ormai inimmaginabile nel mondo occidentale.
















Considerate dal governo di Addis Abeba come tribù di primitivi, le popolazioni della valle vivono soprattutto dell’allevamento del bestiame. 
Di recente, loro sopravvivenza è minacciata dalla costruzione di una colossale diga sul fiume Omo, la Gibe III, che dovrà rifornire di acqua e di energia numerose piantagioni, sostenendo lo sviluppo agricolo del Paese africano.
 La diga è un progetto fortemente voluto dal Governo etiope e la sua costruzione è stata appaltata ad una società italiana. 
Oramai quasi ultimata (i lavori sono iniziati nel 2006), l’opera provocherà lo sfratto e il “reinsediamento” di circa 200 mila persone. 
 Quando la diga sarà a regime, infatti, le tribù dell’Omo, i cui mezzi di sopravvivenza sono legati al fiume e alle sue esondazioni annuali, saranno private della terra che abitano da secoli e dovranno rinunciare a gran parte delle loro tradizioni. 
Basti pensare che non potranno più spostarsi con le greggi, come hanno sempre fatto, e che, per essere ammessi nei "campi di reinsediamento" creati per loro dal Governo di Addis Abeba, dovranno liberarsi del bestiame che possiedono. 
 Ciò che è peggio è che, nonostante fosse evidente sin dall’inizio che la diga avrebbe avuto un impatto enorme sulle esistenze di queste persone, nessuno ha ritenuto di doverle consultare o informare preventivamente. 
Ed ecco, allora, che gli scatti di Silvester ci sembrano ancora più struggenti e preziosi, mostrandoci un mondo autentico ed incontaminato che rischia di scomparire per sempre.

 Lisa Vagnozzi

 Foto : Hans Silvester

La Tomba della Scacchiera Una meraviglia sigillata a Bonorva


La Sardegna, oltre ad essere l’isola italiana più amata nel mondo per le sue bellezze naturalistiche, è molto conosciuta soprattutto tra gli archeologi per i suoi nuraghi (antiche torri che ricordano un po' i Brochs scozzesi) e per quelle straordinarie meraviglie scavate nella roccia, conosciute come “Tombe dei Giganti“. 
 Per questo motivo, la Sardegna è davvero in posto incredibile per chiunque sia appassionato di archeologia e monumenti antichi. Eppure, alcuni dei ritrovamenti più interessanti sono rimasti nascosti per secoli, dopo essere stati scoperti dagli archeologi. 

Paola e Diego Meozzi, due giornalisti italiani di archeologia che curano l’ottimo sito Stone Pages, sono stati i primi a comunicare al mondo intero una prodigiosa scoperta avvenuta proprio in Sardegna.
 Durante un tour archeologico sull’isola, i due fratelli hanno pernottato in un agriturismo a Sas Abbilas, situata in una valle un pò appartata nei pressi di Bonovra (Sassari), non molto distante dalla famosa necropoli preistorica di Sant’Andrea Priu. 

 Diego e Paola hanno incontrato il proprietario dell’agriturismo, il signor Antonello Porcu, il quale gli ha mostrato una serie di immagini straordinarie scattate da lui stesso nel 2009. 
 Le immagini mostravano delle ampie spirali di 70 centimetri di diametro, di color rosso ocra, dipinte sulle pareti di quella che sembrava essere una tomba preistorica. 
Si trattava di un sito neolitico scoperto in quello stesso hanno e denominato “La Tomba della Scacchiera”, la quale nasconde una storia, a dir poco, misteriosa.

 Nel 2007, il comune di Bonovra, grazie ad una serie di finanziamenti, avviò un’indagine archeologica nella zona dove c’è la necropoli preistorica di Sant’Andrea Priu, vicino all’agriturismo del signor Porcu.
 Nel 2008, a seguito dell’indagine, fu avviata una campagna di scavi affidata a una società cooperativa locale e con a capo l’archeologo Francesco Sartos, nominato dalla Sopraintendenza Beni Archeologici per Nuoro e Sassari (sezione locale del Ministero dei Beni Culturali).
 Poche settimane dopo l’inizio degli scavi, nonostante l’archeologo capo continuasse a dire che nulla era stato ancora trovato, incuriosito dai continui movimenti dei macchinari, il signor Porcu, entrando in confidenza con gli operai addetti alle scavatrici, si rese conto che sulle colline del Parco Tenuta Mariani era stato trovato qualcosa di straordinario.
 Porcu e suo fratello, fortunatamente, non resistettero alla curiosità e dopo qualche giorno recarono sul luogo degli scavi per capire cosa stesse succedendo.
 Sotto un tappeto messo lì dagli archeologi, i fratelli Porcu scoprirono un ingresso che conduceva in una grande tomba con tre nicchie laterali.
 L’interno della tomba era decorata con vivaci disegni in ocra rossa e con enormi corna tauirine scolpite nella roccia. 
Il soffitto, alto 1,70 metri, era dipinto di blu scuro e di bianco. Ma la cosa che più colpì i due curiosi, fu la serie di sette spirali rosse dipinte su una nicchia laterale, ciascuna di 70 centimetri di diametro, eseguite con una tecnica pittorica molto raffinata. 
 Inoltre, sul soffitto della nicchia, c’era una figura geometria molto rara per le tombe ritrovate in Sardegna: un motivo in bianco e nero a scacchi.
 Probabilmente si tratta di una decorazione unica nel suo genere per un sito apparentemente risalente al Neolitico (dal 3800 a.C. al 2900 a.C.), attribuibile alla cosiddetta cultura di Ozieri.






Affascinato dallo straordinario ritrovamento, Antonello Porcu decise di informare il sindaco di Bonovra della scoperta fatta nel suo territorio. 
Il sindaco si disse sorpreso del fatto che nessuno degli archeologi lo aveva informato di una scoperta così importante. 

 Fortunatamente per noi, Porcu ebbe l’idea di scattare delle fotografie dell’interno della tomba, perché, a conclusione di questa storia, pochi mesi dopo, i rappresentanti ufficiali della Sopraintendenza Archeologica per Nuoro e Sassari, decisero di bloccare definitivamente l’accesso alla tomba con il calcestruzzo, coprendo l’intera superficie don uno spesso strato di terreno, coprendo di nuovo la tomba. 
 La motivazione ufficiale che è stata data a questo atto scellerato è la protezione della tomba dai saccheggiatori. 

Così la tomba e le sue pitture stupefacenti sono tornate di nuovo nell’oblio. Una sorte condivisa anche da altre tombe rinvenute nella stessa area, come quella denominata “Sa Pala Larga“, nella quale è scolpita una testa di toro impressionante, con sopra una serie di spirali che formano una sorta di “albero della vita”. 

 

Tratto da: ilnavigatorecurioso.it

Il Gran Canale della Cina



Il Gran Canale della Cina, conosciuto anche come Gran Canale Jing-Hang e Canale Imperiale, è il canale o fiume artificiale più lungo del mondo e collega Pechino a Zhejiang. in Cina.
Nell'anno 604 d.C., l'imperatore Yang Guang della Dinastia Sui lasciò la capitale, Chang'an (l'odierna Xi'an) per trasferirsi a Luoyang. Nel 605 d.C., l'imperatore ordinò la costruzione di due progetti: trasferire la capitale del paese a Luoyang (nello Henan) e scavare il Gran Canale tra Pechino e Hangzhou. Ci vollero sei anni per costruire il canale, unendo canali preesistenti che si trovarono nel corso dell'opera e collegando il Fiume Giallo al Fiume Azzurro Il Gran Canale inizia a Pechino e finisce a sud di Hangzhou (Zhejiang).
La sua lunghezza totale è di 1.794 chilometri e, oltre a Pechino, passa per Tianjin, Hebei, Shandong, Jiangsu e Zhejiang. Dopo aver lasciato Hangzhou, il canale passa attorno al lago Tai, dirigendosi fino alla città di Suzhou.
Tra Suzhou e Jingjiang, che è la parte sud del canale, è attraversato da cinque ponti di pietra e sulle sue rive si trovano numerosi archi commemorativi e pagode.



Nella zona centrale, la corrente è forte e rende difficile viaggiare verso nord. Questa parte del canale è caratterizzata dalla presenza di numerosi laghi ed è alimentato dalle acque dello Yangzi.
Le terre situate a Ovest del canale sono più in alto rispetto a quelle che si trovano ad Est, per tale motivo queste due porzioni di terra sono note come Shanghe (la parte superiore del fiume) e Xiahe (la parte inferiore del fiume). La parte a Nord è la più lunga di tutto il canale, e si estende dall'antico letto del Fiume Giallo fino a Tianjin. Nella zona dello Shandong, il Canale passa per diverse lagune, che durante l'estate formano un lago (il Zhouyang). Più a nord di questo lago si trova la città di Ziningzhou. Nella zona dove il Fiume Giallo incrocia il Canale, secondo le antiche mappe, esisteva un canale non più utilizzato dal 1853. La parte tra lo Yangzi e il Fiume Giallo appare anche in uno dei libri di Confucio nel quale è indicato che venne costruito nel 486 a.C.
Fu riparato durante il III secolo a.C. La parte sud, tra il Yangzi e il Hangzhou, fu costruita fra il 1280 e il 1283. La parte nord del Canale si utilizza molto poco attualmente anche se è una ottima via di comunicazione fra il nord e il sud.
Il problema è che ormai si trova in abbandono, mal costruita e riceve fango dal bacino del Fiume Giallo che rende difficile la navigazione. Le zone più utilizzate attualmente sono la parte centrale e quella sud.

Il villaggio dei templi perduti nel mezzo della Giungla della Birmania


Anche se sembra un luogo tratto dal Libro della Giungla, il villaggio di Indein in Birmania è molto più reale della parole scritte da Rudyard Kipling.
 Il paese è raggiungibile soltanto passando attraverso uno stretto canale fluviale, dove si incontrano i bufali che nuotano e le donne che lavano i vestiti. 
Dopo un’ora di navigazione si arriva al piccolo paesino di Indein, un centro nel quale gli abitanti dei paesi limitrofi portano i loro prodotti come il tofu, la soia, il pesce o le verdure.

 Il villaggio nasconde un gioiello della storia e della cultura buddista di tutto il mondo, l’agglomerato Pagoda di Shwe Indein, un complesso di circa 1600 stupa risalenti al 1.100 / 1.200 dopo Cristo.
 Alcuni di questi stupa, edifici che contengono reliquie buddiste, sono state completamente restaurate ponendo fine al loro fascino millenario, quando il governo ha deciso di ristrutturarle e farle completamente rivestire di vernice dorata.
 

Fortunatamente gli stupa sono così numerosi che il processo di rinnovamento non è stato fatto che su pochi esemplari, e immergersi attraverso le rovine di questo antico centro religioso buddista è un viaggio nel tempo e nello spazio con pochi paragoni al mondo.


Molti dei piccoli edifici sono stati inghiottiti dalla vegetazione, che ha colonizzato letteralmente i mattoni con alberi e piante di ogni tipo.


L’origine del sito è controversa. La storia afferma che le Pagode furono commissionate durante il regno di re Narapatisithu, ma la tradizione vuole che siano state costruite dal re Ashoka nel 3° secolo Avanti Cristo e che siano state poi restaurate dal re Anawrahta. 

E’ bene precisare però che non vi è alcuna prova archeologica a sostegno di questa teoria tramandata per tradizione orale.


Fonte: vanillamagazine.it